di Ivan Quaroni
Il femminile nell’arte non è una categoria statica, né un semplice soggetto iconografico. È una tensione, un principio attivo che attraversa la storia della rappresentazione, trasformandosi attraverso le epoche e le pratiche artistiche. Se in passato la figura femminile è stata prevalentemente oggetto della rappresentazione, oggi si impone come soggetto consapevole, capace di ridefinire il proprio ruolo nella narrazione visiva. Questa trasformazione non avviene in modo lineare, ma attraverso continue negoziazioni tra memoria e futuro, tra tradizione e sovversione dei codici espressivi.
La mostra propone una lettura aperta del femminile nell’arte, evitando di circoscriverlo entro definizioni rigide. Il femminile qui non si riduce a un’identità biologica, ma si configura come un processo di costruzione simbolica, culturale e politica. Le opere esposte rivelano un paesaggio articolato di significati in cui il corpo, la memoria, la natura, la tecnologia e la fragilità convivono in un equilibrio precario, generando una molteplicità di interpretazioni. L’identità femminile emerge così non come un dato acquisito, ma come un orizzonte in continua ridefinizione, attraversato da forze contrastanti e in dialogo costante con il mondo circostante. La riflessione sul femminile in arte trova un fertile terreno teorico negli studi di Donna Haraway, che nel suo Manifesto cyborg[1] (1995) propone un superamento delle dicotomie tra natura e artificio, aprendo a una nuova comprensione del corpo e della tecnologia, intesi non più come poli contrapposti, ma come elementi interconnessi in un processo di ibridazione continua. Invece, Luce Iringary, nell’opera Speculum. L’altra donna[2] (1974), analizza il linguaggio e le immagini che storicamente hanno relegato la donna a uno specchio dell’identità maschile, costringendola a un ruolo riflesso, privo di autonomia simbolica. La sua critica si concentra sulla necessità di un linguaggio nuovo, che non sia subordinato a modelli patriarcali e che possa esprimere un’identità femminile autonoma e non derivata. Parallelamente, in Italia, la scrittrice e critica d’arte Carla Lonzi, nel suo saggio intitolato Sputiamo su Hegel[3] (1970), rivendica un’autonomia creativa che non sia subordinata ai modelli della critica patriarcale, rifiutando la logica della competizione con l’arte maschile per proporre una modalità espressiva autenticamente femminile. La sua visione si sviluppa in un rifiuto radicale delle istituzioni dell’arte tradizionale, viste come strutture che perpetuano il dominio maschile, e nell’affermazione di una pratica artistica e critica alternativa, basata sull’autocoscienza e sull’esperienza condivisa. Georges Didi-Huberman in La somiglianza per contatto[4] (2009) riflettendo, infine, sui concetti di impronta e di memoria come tracce, sottolinea come l’immagine artistica non sia mai un semplice riflesso della realtà, ma una sedimentazione di significati. La sua analisi si concentra sull’idea che la visione non sia mai immediata, ma sempre mediata da una rete di segni, impronte e sovrapposizioni storiche. Questo concetto si applica perfettamente alla rappresentazione del femminile nell’arte, dove l’identità viene continuamente riscritta attraverso la sovrapposizione di memorie individuali e collettive. In questa prospettiva, il femminile nell’arte non è una realtà data una volta per tutte, ma un campo di possibilità in continua evoluzione. Le opere di questa mostra non cercano di fornire una definizione univoca, ma di aprire spazi di riflessione e di confronto, in cui il femminile possa manifestarsi in tutta la sua complessità e pluralità di significati.
Natura e corpo: fragilità e resistenza
Antonella Casazza, Non sento più il canto delle conchiglie, 2024
Se il corpo è il primo spazio della rappresentazione femminile, il suo legame con la natura ne amplifica la dimensione simbolica. Nell’installazione Non sento più il canto delle conchiglie, Antonella Casazza trasforma la conchiglia in una metafora della vulnerabilità e della bellezza effimera, evocando la minaccia dell’inquinamento e della violenza di genere.
Ersilia Sarrecchia, Naturae, 2016
Tematiche legate al rapporto tra uomo e ecosistema emergono anche nel dipinto Naturae di Ersilia Sarrecchia, che rappresenta spesso il corpo femminile come metafora della potenza generativa della natura. Una visione più metamorfica è, invece, quella proposta da Grazia Salierno, che nell’acquerello Mimetismo fanérico[5], mostra una figura femminile che si dissolve nello spazio, in un processo che è, insieme, di fusione e disgregazione.
Grazia Salierno, Mimetismo fanerico, 2024
Nella scultura di Pietro Marchese, intitolata Yes We Can, l’ibridazione tra corpo femminile e guscio di tartaruga rimanda all’antico legame dell’umanità con il mare e, dunque, con la natura. L’ovale di vetro con la rosa essiccata rappresenta, invece i concetti di rinascita e di elevazione spirituale.
Pietro Marchese, Yes we can, 2019
La materialità diventa racconto nelle tessiture di Loredana Galante, che con Il drago sputa fiori ricorre a una pratica tradizionalmente femminile, quella del ricamo, per costruire un’immagine fiabesca, composta da molteplici stratificazioni che impongono una fruizione lenta e meditata.
Loredana Galante, Il drago sputa fiori, 2024
Nel dipinto La piscina delle donne, Milena Sgambato reinterpreta il mito classico di Leda e il cigno e, allo stesso tempo, evoca la simbologia acquatica come elemento di archetipico di trasformazione e conoscenza, collegando il corpo femminile a quella dimensione di fluidità, evocata anche nella qualità liquida della sua pittura.
Milena Sgambato, La piscine delle donne, 2023
Con la sua pittura espressionista, nell’opera Emigranti, Pasqualino Colacitti riesce a condensare la complessità dell’esperienza migratoria in un’intensa composizione figurativa, dove i volti dei suoi personaggi, segnati dal tempo e dall’esperienza del viaggio, trasmettono un senso di attesa, speranza e smarrimento. La finestra del treno sembra separare due distinte situazioni, quella di chi parte verso luoghi sconosciuti e quella di chi resta, pur in una situazione precaria e incerta.
Pasqualino Colacitti, Emigranti, 2013
Il corpo come traccia, assenza, memoria
L’assenza è un altro elemento chiave nella rappresentazione del femminile. Cristina Iotti, nella serie di disegni intitolata L’ombra del corpo, indaga questo aspetto attraverso la rappresentazione delle pieghe e delle tracce lasciate su un letto, memorie di un vissuto, che svela la delicata e fragile bellezza nascosta nella transitorietà dell’esistenza.
Cristina Iotti, L’ombra del corpo #20, 2021
La memoria è il tema di Frammento di Laura Cappellini, dove l’immagine fotografica, impressa sul cemento, diventa una sorta di reliquia moderna, un fossile che rappresenta un aspetto di Gea, che nella mitologia è la personificazione della Terra, madre di tutte le divinità e fonte di ogni forma di vita.
Laura Cappellini, Frammento, 2022
La questione della memoria è al centro anche della ricerca di Oriella Montin, che nella serie programmaticamente intitolata Alla Ricerca del Tempo Perduto, crea immagini suggestive, di sapore squisitamente proustiano. L’artista usa fotografie d’epoca, da lei raccolte e archiviate, sulle quali interviene cucendo altri frammenti fotografici per creare complesse trame iconografiche, che somigliano al modo in cui si accumulano e stratificano i ricordi.
Oriella Montin, Alla ricerca del tempo perduto N24, 2021
Sono volti che sembrano emergere da un lontano passato quelli dipinti da Elisa Filomena, che nel suo piccolo cartone, intitolato Cappello, evoca un’elegante figura muliebre, un’apparizione discreta ed elegante, evanescente come una presenza spettrale sospesa nel tempo.
Elisa Filomena, Cappello, 2022
L’archetipo femminile tra tradizione e innovazione
Andrea Meregalli, Femm(ai)nile – Una nuova estetica/sintetica, 2025
La tecnologia come strumento di riscrittura dell’identità è centrale nelle cosiddette sintografie digitali di Andrea Meregalli, raccolte nella serie Femm(AI)nile. Si tratta, infatti, di immagini sintetiche, ottenute attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, o meglio l’impiego combinato di software Generative Pre-trained Transformer e software text-to-image, in cui l’artista analizza e rielabora gli archetipi femminili della storia dell’arte.
Gianni Depaoli, Ballerine, 2024
Un dialogo tra tradizione e innovazione è presente anche in Ballerine di Gianni Depaoli, dove le sinuose forme anatomiche di queste danzatrici sono delineate con una tecnica che mescola pittura e scarti organici ottenuti dalla lavorazione dell’industria ittica, come, ad esempio, pelle e inchiostro di calamari.
Elisa Cella, 17-C06, 2017
Elisa Cella allude all’archetipo femminile in maniera indiretta, attraverso un segno ripetuto, un cerchio che evoca le strutture molecolari, ma suggerisce anche un legame tra macrocosmo e microcosmo. In 17-C06, il pattern, ovvero lo schema grafico dell’opera, rimanda ai ricami di pizzi e merletti, prodotti di un artigianato femminile capace di tradurre in motivi ornamentali la complessa trama della natura e dell’universo. Nell’opera intitolata Oggettiva-Mente, Vania Elettra Tam ridefinisce l’ideale femminile mostrando il profilo di una donna con il capo ricoperto di oggetti di ogni tipo. Sono utensili, dispositivi, strumenti e accessori che simboleggiano, come afferma l’artista, “la versatilità e complessità” di una figura irriducibile a ogni tentativo di semplificazione.
Vania Elettra Tam, Oggettiva-mente, 2024
In Japanese Master Ilaria Del Monte rilegge, con piglio ironico e surreale, l’iconografia classica del “pittore con la modella”. Nel suo dipinto, infatti, uno Shiba Inu, un tipo di cane giapponese (lo stesso posseduto dall’artista), sta eseguendo il ritratto di una giovane ragazza, la quale, improvvisamente, decide di defilarsi, abbandonando l’estenuante seduta di posa per avventurarsi nel mondo.
Ilaria del Monte, Japanese Master, 2023
Di natura più politica è l’arte di Pierluigi Cocchi, che in Donna Prigioniera, una pittoscultura articolata tra la superficie dipinta e la volumetria del soggetto modellato in terracotta, affronta la difficile relazione tra corpo femminile e ambiente urbano, percepito come elemento di un’architettura sociale repressiva e coercitiva.
Pierluigi Cocchi, Donna Prigioniera, 2020
Segni e Presenze: Percorsi di Introspezione
L’indagine sull’immagine e sui materiali capaci di tradurre l’essenza del femminile attraversa le opere di artisti che esplorano i legami tra forma, sostanza e percezione. Attraverso segni minimali, dissolvenze e manipolazioni della superficie, il corpo e l’identità emergono come elementi in bilico tra presenza e assenza, visibile e invisibile.
Valeria Angelini, L’immensita’ nel puntino, 2025
In L’immensità nel puntino, Valeria Angelini riduce l’immagine alla sua massima essenza: un punto bianco su uno sfondo multiforme. Questo segno minimo, immerso e quasi occultato nella trama cromatica dell’opera, diventa allegoria della dimensione intima e silenziosa del principio femminile, una forza che anima l’eterno ciclo rigenerativo della vita.
Rita Bagnoli, Preghiere, 2023
L’installazione site-specific di Rita Bagnoli, dal titolo Preghiere, trasforma una moltitudine di ciotole di biscuit in oggetti di meditazione. L’opera esplora il tema della ricerca interiore, creando una dimensione intima in cui la ceramica diventa il mezzo per articolare un dialogo con il tempo vissuto. La materia, così plasmata dall’esperienza, trasforma la pratica artistica in un rituale contemplativo.
Tiziana Trezzi, Meditazione, 2014
Alla ricerca interiore è dedicato anche l’opera Meditazione di Tiziana Trezzi, un dipinto che racconta la necessità di distacco da una società caotica e iperconnessa. L’urgenza di ritrovare una dimensione di calma ed equilibrio, lontana dallo stress quotidiano, è simbolizzata dal volto di una donna con gli occhi chiusi, stagliato sullo sfondo di una rumorosa metropoli.
Arianna Lion, Auris Animi, 2024
Una visione intima, introspettiva è, infine, quella plasmata da Arianna Lion nella scultura in bronzo Auris Animi, una piccola figura femminile bendata, forse un riferimento alle capacità chiaroveggenti di una sensibilità acutizzata, che ha sostituito la visione ottica, con una più penetrante vista interiore.
Augusto Mandelli, Composizione, 2025
Un approccio aniconico si riscontra, invece, nella Composizione di Augusto Mandelli, che sintetizza la figura femminile in una grammatica fatta di linee, punti e superfici. Combinando cartoncino vegetale e tela di lino, l’artista costruisce un assemblaggio geometrico di sapore quasi costruttivista, una struttura rigorosa e armonica che richiama il movimento del Minimalismo e quello delle cosiddette Shaped Canvas.
Vittorio Brunello, Orma 2, 2021
Il rapporto coi materiali è centrale nell’opera di Vittorio Brunello, che usa tessuti d’arredamento piegati, stropicciati e plissettati per fissare una pletora di memorie gestuali. Nebulizzati e dipinti, i materiali trattengono, infatti, le tracce di una pratica che procede per stratificazioni, come nel caso di Orma 2, dove memoria tessile e pittorica si fondono senza soluzione di continuità.
L’immagine fotografica, tra visioni e dissolvenze
La fotografia è da sempre uno strumento di indagine, capace di scandagliare la relazione del corpo con il tempo, lo spazio e la memoria. Nei lavori di questi fotografi emerge con forza il carattere transitorio, mutevole e indefinito dell’identità femminile contemporanea.
Gino Montecampi, Purezza/Amore, 2018
Nel lavoro Purezza/Amore di Gino Montecampi usa la fotografia come strumento di una rappresentazione quasi astratta. Attraverso la sfocatura, il soggetto perde la propria nitidezza per trasformarsi in una sorta di fragile impressione visiva. Così, il corpo femminile si dissolve in un gioco di luci e colori evanescenti, dove il bianco e il rosso simbolizzano rispettivamente la purezza e la passione.
Francesca Scarfiello, Fratture, 2021
È un’immagine volutamente fuori fuoco anche quella di Francesca Scarfiello che mostra una figura incerta mentre attraversa un interno architettonico, come una presenza che si dissolve nel tempo. In Fratture, questo il titolo dell’opera, c’è una corrispondenza tra il luogo carico di memorie, evidenti nella diruta struttura cementizia dell’edificio e nei residui di tappezzeria alle pareti, e la donna, che rappresenta una metafora di cambiamento, che riflette il personale percorso evolutivo dell’artista.
Marcello Dell’Oro, Thoughts, 2013
In Thoughts di Marcello Dell’Oro, l’istante di pensiero si materializza in una scena intima e contemplativa. La fotografia, filtrata attraverso il vetro di un autobus, crea un sottile confine tra realtà e percezione. Il volto della donna, parzialmente velato, suggerisce un universo interiore ricco di sfumature emotive, mentre le luci soffuse e le ombre contribuiscono a una narrazione sospesa tra memoria e riflessione.
Carlo Silva, Dietro le quinte, 2020
Infine, Dietro le quinte, la fotografia di Carlo Silva, affronta il tema del perturbante attraverso la visione dei manichini che attendono silenziosi nel retro di un negozio. Sono simulacri ambigui, effigi ingannevoli che Silva usa come paradigmi per rimarcare differenza la mimesi illusoria di un’anatomia artificiale e l’ineludibile verità del corpo organico.
Questa mostra raccoglie, dunque, molteplici visioni del femminile che intrecciano passato e presente, corporeità e astrazione, memoria e tecnologia. Le opere esposte, infatti, non propongono una definizione univoca, ma disegnano una costellazione di possibilità, in cui il femminile emerge non come una categoria rigida, ma come un’energia in continua evoluzione.
[1] Donna Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, a cura di Liana Borghi, introduzione di Rosi Braidotti, Milano, Feltrinelli, 1995.
[2] Luce Iringary, Speculum. L’altra donna, a cura di Luisa Muraro, Milano, Feltrinelli, 2017.
[3] Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. E altri scritti, a cura di Annarosa Buttarelli, Milano, La Tartaruga, 2023.
[4] Georges Didi-Huberman, La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.
[5] Il cosiddetto Mimetismo Fanèrico è, in zoologia, il mimetismo di animali che imitano apparentemente gli atteggiamenti di altre specie o somigliano a queste nella forma e nei colori.





























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