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BEAUTIFUL DREAMERS

22 Set

Il sogno americano tra Lowbrow Art e Pop Surrealism

A cura di Ivan Quaroni e Chiara Canali

Dal 17 settembre al 15 ottobre 2016

La mostra Beautiful Dreamers – organizzata nell’ambito della quinta edizione della rassegna StreetScape, a cura di Chiara Canali e Ivan Quaroni, diffusa nelle piazze e nei cortili della città di Como – include le opere di alcuni dei più interessanti artisti della Lowbrow Art e del Pop Surrealism americani. Spesso provenienti dall’ambito dell’illustrazione e del graphic design, ma poi approdati alla pittura, questi artisti incarnano la propensione fantastica e surreale, insieme pop e folk, della pittura americana contemporanea.

Lowbrow Art e Pop Surrealism sono definizioni, spesso contestate, con cui si designa un vasto e variegato movimento artistico americano formatosi nei primi anni Novanta nell’alveo della cultura underground di Los Angeles. La sua formazione è, però, il risultato di una lunga catena d’influssi, incroci e ibridazioni di differenti subculture, sviluppatesi in California tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Ottanta. Contaminazioni che poi sono confluite in una forma compiuta solo nell’ultimo decennio del Novecento.

Composta principalmente di pittori, scultori, illustratori, toy designer, la Lowbrow Art affonda le radici nella cosiddetta Custom Culture e nelle Hot Rod, due fenomeni tipici dell’America del Secondo dopoguerra, che trasformarono il mondo delle automobili e delle corse su strada in un emblema di libertà, creatività e ribellione giovanile. Da quei primi, seminali fermenti, la Lowbrow Art è cresciuta e si è trasformata accogliendo via via gli influssi dell’Arte Psichedelica e del fumetto underground della vicina San Francisco, dell’estetica punk maturata a Los Angeles negli anni Ottanta, spesso attingendo agli stilemi di pratiche limitrofe come il tatuaggio, l’illustrazione, il design di giocattoli e traendo numerosi spunti tanto dall’immaginario pop della Street Art, quanto dalla tradizione dall’Arte Folk.

Gli artisti qui proposti rappresentano l’evoluzione attuale di quel movimento, la cui data di nascita si può far risalire alla fondazione della rivista Juxtapoz nel 1994, ma che in verità si è sviluppato lungo un cinquantennio nella costa ovest degli Stati Uniti, fino a diventare una oggi tendenza globale, con presenze in Europa, Asia e Sud America.

Gli artisti

 ANTHONY AUSGANG (Nato nel 1959 a Trinidad e Tobago. Vive e lavora a Los Angeles). Ha esposto in diverse gallerie internazionali: Zero Art Gallery di Houston (Texas) con cui ha esordito; Luz de Jesus, Kantor Gallery e Merry Karnowsky Gallery di Los Angeles. Tra le più importanti pubblicazioni, “Pop Surrealism: The Rise of Underground Art”, Ignition Publishing/Last Gasp, 2004. Tra i suoi principali collezionisti: David Arquette, Nicolas Cage, Perry Farrell.

GARY BASEMAN (USA, Los Angeles, 1960) dove vive e lavora. Artista poliedrico, illustratore, designer e autore del famoso cartone animato Disney Teacher’s Pet, vincitore di tre Emmy Awards, Gary Baseman è considerato una delle figure di spicco della scena Pop Surrealista californiana, caratterizzata dalla contaminazione tra arte e cultura pop. Baseman ha iniziato la sua carriera a New York tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, collaborando come illustratore con The New Yorker, The New York Times, Rolling Stone, Time, Atlantic Monthly e The Los Angeles Times. Ritornato in California, Baseman si è dedicato all’esplorazione di diverse forme di ibridazione tra arte, moda, pubblicità, design, musica e cinema e ha coniato il termine “Pervasive Art” per definire la sua estetica, capace di “offuscare la linea di confine tra Fine Art e Commercial Art”. Inserito dall’Entertainment Weekly magazine tra le 100 persone più influenti del mondo dell’intrattenimento, Gary Baseman ha esposto i suoi dipinti in musei e gallerie in tutto il mondo ed ha conquistato una vasta schiera di appassionati grazie alla creazione di vinyl toys, borse, stampe e altri prodotti per il mercato di massa.

TIM BISKUP (USA, Santa Monica, California, 1967) vive e lavora a Los Angeles. I suoi lavori sono stati esposti in importanti musei e gallerie tra cui a Los Angeles, New York, San Francisco, Tokyo, Kyoto, Barcellona, Berlino, San Paolo, Buenos Aires e Melbourne. Tra le numerose mostre ricordiamo le più importanti: nel 2011 Former State, This Gallery, Los Angeles, nel 2010 Fantasilandia, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, Awesome Paintings, All Tomorrow’s Parties Gallery, New York, nel 2009 The Mystic Chords of Memory, Iguapop Gallery, Barcellona, nel 2008 O/S Operating System, Addict Galerie, Parigi, The Artist in You, Jonathan Levine Gallery, New York, nel 2007 Ether, Billy Shire Gallery, Culver City, California, nel 2006 Vapor, Galerie Engler, Berlino, Pervasion, Laguna Art Museum, Laguna Beach, California.

CLAYTON BROTHERS Rob (1963, Dayton, Ohio) e Christian (1967, Denver, Colorado) Clayton hanno frequentato l’Art Center College of Design di Pasadena (California), laureandosi a pieni voti. Hanno tenuto importanti mostre personali al Musee de la Halle Saint Pierre di Parigi (2013), al Pasadena Museum of Art (2011) e al Madison Museum of Contemporary Art (2010) e in diverse gallerie a Los Angeles, New York, Houston, Santa Monica e Pechino (Cina). Hanno, inoltre, partecipato a mostre collettive presso il Santa Monica Museum of Art (Incognito, 2010), il Laguna Art Museum di Laguna Beach (In the Land of Retinal Delights, 2008) e il Marianna Kistler Beach Museum of Art di Manhattan in Kansas (BLAB! A Retrospective, 2008) oltre che ad alcune delle maggiori fiere d’arte internazionali, come Art Basel, in Svizzera, nel 2009 e nel 2010 e Armory Show a New York, nel 2006 e nel 2007.

RYAN HESHKA (Canada, Manitoba, 1970) vive e lavora a Vancouver, Canada. Ha conseguito una laurea in interior design e ha lavorato per molti anni in questo settore, oltre che nell’animazione, prima di fare dell’arte e dell’illustrazione la sua principale attività. Heshka appare nei maggiori annuali d’illustrazione, tra cui American Illustration, Society of Illustrators, Communication Arts, 3 x 3, e Applied Arts. Tra i suoi clienti ci sono Vanity Fair, Wall Street Journal, The New York Times, Playboy, Esquire, Forbes,Topps e Dreamworks SKG. Ha esposto in gallerie nel Nord America ( tra cui Roq La Rue, Seattle, WA; Copro Nason, LA; Orbit Gallery, New Jersey; Rotofugi, Chicago) e in Europa (Feinkust Kruger, Germania; Antonio Colombo Arte Contemporanea, Italia), ed è stato pubblicato numerose volte sulla rivista BLAB! e su alcuni libri dedicati al movimento della New Underground, tra cui THE UPSET (Gestalten Publishing).Ha pubblicato i libri per bambini Welcome to Monster Town (Simply Read Books, 2007) e Welcome to Robot Town (Henry Holt & Co., 2013), tradotti in diverse lingue.

RUSS POPE (USA, 1970) vive e lavora in Massachusetts. L’arte di Russ Pope attinge al contesto sociale e politico che lo circonda nella sua quotidianità. Le ispirazioni di Pope sono lo skateboard, la musica e le persone creative e interessanti che incontra ogni giorno. Le sue pennellate audaci, gli scarabocchi finiti e i quadri accattivanti sono caratterizzati da volti, nature morte e situazioni divertenti. Dai primi tempi in California centrale a fare skateboard, disegnare e partecipare a concerti punk, fino alla sua vita attuale nel New England, Russ Pope ha elaborato la vita e le sue interazioni con il mondo attraverso il prisma di una penna e di un pennello.

ANDY REMENTER (USA, 1981. Vive e lavora a Philadelphia) è un artista grafico americano vincitore di numerosi premi. È cresciuto in una cittadina costiera vittoriana, dove una precoce esposizione alle insegne sbiadite dal sole ha dato origine al suo amore per la tipografia e per i caratteri eseguiti a mano. Un senso di atemporalità e nostalgia permea il suo mondo visivo. Un altro tema ricorrente nell’opera di Rementer è l’isolamento, che egli cita come effetto del suo improvviso trasferimento in un ambiente urbano durante gli anni della formazione ed è spesso rappresentato nei suoi lavori attraverso il disagio di fondo dei suoi personaggi. Si è laureato presso The University Of The Arts nel 2004. Dopo aver lavorato a Fabrica, nel nord Italia, si è trasferito nell’East Coast, dove divide il suo tempo fra il disegno, la pittura, e la narrazione. Il suo lavoro colorato e vivace è stato presentato da una varietà di fonti, che includono una collaborazione in corso con Apartamento Magazine, The New York Times, MTV, The New Yorker, Le Monde, New York Magazine e Creative Review. Ha esposto la sua arte in mostre personali e collettive in Europa, Stati Uniti e Asia.

FRED STONEHOUSE (USA, Milwaukee, 1960) vive e lavora a Milwaukee, in Wisconsin. Diplomato in pittura all’UW-Milwaukee, attualmente Fred insegna disegno e pittura all’UW-Madison (Wisconsin). I suoi lavori fanno parte di numerose collezioni private, come quella di Madonna, e pubbliche: Mary And Leigh Block Museum Of Art, Evanston (Illinois); Milwaukee Art Museum, Milwaukee; San Jose Art Museum, San Jose (California), per citarne solo alcune. Tra le principali mostre personali: nel 2013, The Deacon’s Seat, St. Ambrose College, Davenport (Iowa); nel 2012, Blood Relatives, Taylor Bercier Fine Art, New Orleans; nel 2011, Marsh Night, Koplin Del Rio Gallery, Los Angeles; nel 2010, Marshland, Howard Scott Gallery, New York; nel 2007, Selections From The Natural History Portfolio Of Marshall Deerfiled, Tory Folliard Gallery, Milwaukee. Tra le principali mostre collettive: nel 2014, Don’t Wake Daddy IX, Feinkunst Kruger, Amburgo; nel 2013, Vice And Virtue, Northern Illinois University Art Museum, DeKalb (Illinois); nel 2007, BLAB!, Copro Nason Gallery, Santa Monica (California).

ERIC WHITE (USA, Ann Arbor, Michigan, 1968) vive e lavora a Los Angeles. Il pittore, che negli ultimi anni ha ottenuto un conclamato successo a livello internazionale, ha esposto in rinomate gallerie e musei in tutto il mondo tra cui Jeffrey Deitch Project e Gladstone Gallery a New York, Laguna Art Museum a Los Angeles e MACRO a Roma. Nel 2010 gli è stata assegnata una borsa di studio per la pittura dalla New York Foundation for the Arts. La sua iconografia è apprezzata e seguita da una folta schiera di collezionisti, tra i quali alcune star del cinema oltre che numerosi esponenti dal mondo musicale.

ZIO ZIEGLER (USA, Mill Valley, California,1988) ive e lavora a San Francisco. Ha studiato filosofia alla Brown University e pittura alla Rhode Island School of Design. Le sue opere si possono trovare in diversi luoghi, come wall painting, e gallerie in giro per il mondo, i suoi murales sono a San Francisco, Los Angeles, Puerto Rico. Tra le sue mostre personali ricordiamo nel 2014: Chasing Singularity, Artists Republic 4 tomorrow, Laguna Beach, CA; nel 2013: The Infinite, Gallery 81435, Telluride CO, Chaos/ Clarity, Ian Ross Gallery, San Francisco, CA; nel 2012 Lost Illusions, Project Gallery, Hollywood, CA.Tra le mostre collettive: nel 2013 Winter Group Show, Stolen Space Gallery, London UK, Rise Above, Las Vegas NV, Neu-Folk, Lequivive Gallery, Oakland CA; Confluence, 5024SF Gallery, San Francisco CA, Complex Gallery, Portland, OR, Santurce es Ley, Museum of Contemporary Art Puerto Rico, San Juan Puerto Rico, Young Americans, Singapore Indonesia; nel 2012 FlashBang, Project One Gallery, San Francisco, CA; Primeval, Carmichael Gallery, Culver City, CA; and Chromatic: An Undeniable Experience, Roll-Up Gallery, San Francisco, CA. Il suo lavoro è apparso su importanti riviste come The San Francisco Chronicle, Vice Magazine, Seven by Seven Magazine, Four Magazine, The Las Vegas Sun, Juxtapoz Magazine, Hi-Fructose, Vans, Argot & Ochre, Unruth, Complex, Booooooom, Arrested Motion, RVCA and Marin IJ.


Info:

Beautiful Dreamers.
Il sogno americano tra Lowbrow Art e Pop Surrealism

Mostra realizzata in occasione di StreetScape5
a cura di Ivan Quaroni e Chiara Canali

Evento organizzato in occasione della 12° Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI

SPAZIO PARINI
Via Parini 6, Como

Orari:
lun-ven: 15.00 – 19.30
sab –dom: 10.30 – 12.30 /14.30 – 19.30

Info:
http://www.artcompanyitalia.com
info@artcompanyitalia.com
info@accademiagalli.com
www.accademiagalli.it

In collaborazione con:
Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano

Ufficio Stampa Milano:
Sonia Dametto: soniapress@teletu.it cell. 392 7182787

Ufficio Stampa Como:
Silvia Introzzi mail: silvia.introzzi@manzoni22.it cell. 335 5780314

 

La famosa invasione degli artisti a Milano

21 Mag

La città dei miracoli

(omaggio a Maurizio Sciaccaluga)

di Ivan Quaroni

Alessandro Mendini, La famosa invasione degli artisti a Milano, disegno su carta, 2015

Alessandro Mendini, La famosa invasione degli artisti a Milano, disegno su carta, 2015

Milano e l’arte. Gli artisti e Milano. Come si fa a riassumere in poche parole il rapporto tra queste due realtà senza infilarsi in una pletora di luoghi comuni e di banalità da guida turistica? La città è, in fondo, un condensato di luoghi comuni, una summa di concetti condivisi, d’immagini costantemente reiterate, come certe cose che, a forza di essere ripetute, ci danno l’impressione di essere vere. E il fatto è che sono anche vere. O meglio, erano vere, ma adesso no. Questa non è più, infatti, la Milano di Leonardo e degli Sforza, né la città severa e controriformista di San Carlo Borromeo e dell’iconografia dei Procaccini. Non è il teatro tragico della peste manzoniana, né l’urbe efficiente e neoclassica degli Asburgo. Quella di oggi è un’altra realtà, lontana tanto dalle dinamiche visioni futuriste, quanto dai silenti scorci periferici di Sironi. E se volete saperlo, non è nemmeno più la città di Lucio Fontana e di Piero Manzoni, con buona pace del bar Giamaica, che esiste ancora, ma è diventato un ritrovo per turisti e avventori nostalgici di un’epoca trapassata. E nonostante le masse vocianti che affollano i locali durante l’happy hour, anche la Milano da bere degli anni Ottanta è niente più che un ricordo sbiadito, un’impressione sospesa tra le immagini dello spot dell’amaro Ramazzotti e le note di Birdland dei Weather Report.

Aldo Damioli, MILANO, 2015, acrilici su tela, 50×50 cm

Io che in questa città ci sono nato e cresciuto non so dire che cosa sia diventata. So, piuttosto, che cosa non è. Nel suo rapporto con l’arte, ad esempio, è radicalmente differente dalla vicina Torino, dal suo snobismo culturale, ancora così avvinto dalle suggestioni poveriste e concettuali e così, tragicamente tetragono, salvo rare eccezioni, alla pittura. Ma Milano è soprattutto antitetica a Roma, alla sua grandeur salottiera e civettuola, che passa attraverso i filtri dei potentati politici, ecclesiastici e perfino nobiliari. Perché Roma è, come tutte le capitali, un centro d’immobilismo e conservazione, che riduce al minimo ogni fattore di rischio e tende a ribadire il successo, piuttosto che favorirlo. Con Napoli forma un asse di resistenza impenetrabile, che impedisce all’immigrazione artistica di trovare un terreno fertile per prosperare. A Bologna, invece, lo sappiamo tutti, non c’è proprio nulla, a parte una fiera in cui si consuma l’annuale, e in verità sempre più stanco, rito di rendez vous degli addetti ai lavori.

Intendiamoci, con tutte le dovute eccezioni, per quel che ne so, è sotto questo cielo plumbeo, sulle rive del naviglio, tra il Lambro e il Ticino, dentro e fuori i margini di questa pianura inurbata che si compiono i destini di molti artisti italiani. Come scriveva Maurizio Sciaccaluga, compianto animatore della scena artistica meneghina, “qui passa il mercato, convergono i grandi collezionisti, sono di casa le sole riviste che contano, e dunque, è qui che inizia la discesa, che si ferma il motore o che parte il viaggio”.[1] Magari i semi e le ceneri, le nascite e le morti avvengono altrove, ma è qui che le storie giungono a una svolta, in questa immensa sala d’attesa, dove le code scorrono rapide e presto o tardi arriva il tuo turno.

Paolo De Biasi, Eccetera, eccetera, 2015, acrilico su tela, 106x150 cm

Paolo De Biasi, Eccetera, eccetera, 2015, acrilico su tela, 106×150 cm

Certo, Milano non è l’America, come cantavano i Timoria, ma è la cosa che più si avvicina all’utopica Land of Opportunities. Diceva Maurizio, che forse non è un’officina, un opificio, un laboratorio, ma per qualche strano motivo, è un posto di epifanie e di rivelazioni, dove “si può dare forma e peso specifico ai propri sogni e alle proprie speranze”.[2] Quel che è certo, e ne sono stato il testimone diretto, è che a Milano è fiorito il talento di molti artisti provenienti da tutta Italia.

Sarà l’aria cosmopolita, sarà la prossimità con l’Europa transalpina, sarà che questa città è da sempre un crocevia di traffici, una sorta di fiera permanente per mercati d’ogni genere, un ponte tra il nord e il sud, tra l’est e l’ovest, insomma una terra di mezzo, ma il fatto è che, proprio qui, convergono risorse, visioni e idee maturate altrove. Che qui, e non a Torino, a Roma o a Bologna, ogni tanto si compie un miracolo. Non è a causa di una qualche virtù magica della città, né della particolare lungimiranza della politica o dell’intellighènzia meneghine. Credo semplicemente che lo spirito pragmatico, un po’ sbrigativo, di Milano dia i suoi frutti. Le conoscenze si trasformano presto in occasioni professionali e i rapporti lavorativi sovente sfociano in amicizie durature. A me è capitato così. Molti degli artisti, dotati di talento e poche sostanze, ai quali ho consigliato di trasferirsi a Milano, anche a prezzo di strenui sacrifici, sono diventati miei amici.

Persone come Giuliano Sale e Silvia Argiolas, che ho conosciuto a Firenze, durante la mostra dei finalisti del Premio Celeste, e con i quali si è creato un profondo legame affettivo, o come Vanni Cuoghi, espatriato genovese folgorato sulla via dell’arte nelle aule dell’Accademia di Brera e poi nelle sale della galleria di Luciano Inga Pin, che considero non solo un compagno d’armi, ma un fratello acquisito.

Silvia Argiolas, Olgettine, via Olgetta, 2015, acrilico e smalto su tela, 100x90 cm

Silvia Argiolas, Olgettine, via Olgetta, 2015, acrilico e smalto su tela, 100×90 cm

Qui dicevo – mi si perdoni la reiterazione, forse un po’ sentimentale, dell’avverbio di luogo – sempre secondo Sciaccaluga ci sono “le sole, uniche, obiettive, giuste e sacrosante leggi dell’evoluzione che l’arte possa darsi”. Perché nella città del business, anche l’arte corre veloce e sacrifica spesso le vecchie glorie sull’altare dell’ultima novità. Milano è generosa nel donare opportunità di successo, ma è tremendamente spietata e repentina nel revocarle. Il vero miracolo, semmai, è resistere alle mode del momento, non lasciarsi travolgere dalle tendenze di grido e imparare l’arte di resistere e perpetuarsi nel tempo. In verità, alla fine, solo pochi artisti sopravvivono agli scossoni e agli urti della storia, ma tutti hanno almeno una possibilità di partecipare a quel gioco feroce e crudele che chiamiamo arte.

Insomma, se non ce la fai qui, allora non puoi farcela in nessun’altra parte della penisola. Anche perché, dentro e fuori le due circonvallazioni che abbracciano il centro cittadino, sono disseminate, tra realtà effimere e consolidate, oltre duecento gallerie d’arte, più che in ogni altra città italiana. In mezzo a questo marasma di sedi espositive, senza contare quelle istituzionali, le fondazioni pubbliche e private, le banche, le associazioni culturali e gli altri innumerevoli luoghi di fortuna deputati alla fruizione di opere d’arte, sono pochissime quelle che hanno un’identità, un’atmosfera o un profumo particolari.

Tra queste c’è senz’altro la galleria di Antonio Colombo, dove ho incontrato per la prima volta tanti bravi artisti e dove ho fatto decine di scoperte e di riscoperte interessanti. Nel corso di quasi vent’anni al civico quarantaquattro di via Solferino sono passate molte delle migliori promesse della pittura italiana. Nei suoi locali, a un passo dalla chiusa di Leonardo, dalla sede storica del Corriere della Sera e da Brera, all’ombra del nuovo skyline, che ha spazzato via l’immagine triste e un po’ paesana delle ex Varesine, si sono avvicendate, in verità, tante storie dell’arte. Da Mario Schifano a Marco Cingolani, da Matteo Guarnaccia ai Provos olandesi, da Moby a Daniel Johnston, dalla Nuova Figurazione all’Italian Newbrow, passando attraverso incursioni nell’arte concettuale (ma non troppo), fino ad arrivare all’arte fantastica statunitense e alla Kustom Kulture californiana.

Infatti, anche se Milano non è l’America, Colombo è riuscito a portare in città anche un po’ della vivacità dell’arte contemporanea americana. Insomma, la galleria è stata (ed è tuttora) un luogo di gestazione fertile soprattutto per la pittura, ma non sono mancate le mostre di fotografia, scultura e design. L’idea di celebrare Milano nel bene e nel male, attraverso la visione agrodolce di artisti, architetti, designer e graffitisti è nata ai tavolini del bar vicino alla galleria, sotto la spinta, un po’ pretestuosa, dell’imminente Expo Universale.

A noi serviva un’idea diversa, qualcosa che non avesse niente a che fare col cibo, tema principale della manifestazione, e che non si confondesse con la pletora di mostre a tema che di lì a breve ci avrebbe sommerso. Perciò, mentre prendeva lentamente forma quella che inizialmente chiamavamo Gran Milano e che poi Cingolani avrebbe brillantemente ribattezzato La famosa invasione degli artisti a Milano, è diventato chiaro che l’arte era l’unico nutrimento che c’interessava, l’ingrediente che mai sarebbe mancato alla nostra tavola.

In questa mostra c’è di tutto, il contributo di milanesi doc come gli architetti Alessandro Mendini e Arduino Cantafora e gli artisti Aldo Damioli, Giovanni Frangi e Paolo Ventura, quello di cittadini d’elezione come Tullio Pericoli, Marco Petrus e Massimo Giacon, di espatriati come Nicola Verlato e Andrea Salvino e di un wild bunch di artisti americani americani composto da Zio Ziegler, Ryan Heshka, Clayton Brothers, Esther Pearl Watson, Fred Stonhouse, Anthony Ausgang e Mark Todd.

Siano residenti o turisti, una cosa è certa: gli artisti sono gli unici in grado dirci qualcosa su Milano che ancora non sappiamo. Ma questa, è bene avvertire il lettore, non è una mostra basata su premesse rigorose, non propone alcuna tesi sociologica e, di certo, non piacerebbe a Okwui Enzewor. Questa è una mostra confusa e felice, ma estremamente vitale. Come qualsiasi esperienza che valga la pena di essere vissuta.


[1] Maurizio Sciaccaluga, Ex voto per un miracolo, in Miracolo a Milano, a cura di Alessandro Riva, 19 giugno – 14 luglio 2005, Palazzo della Ragione, Milano, p.109.

[2] Ivi, p. 109.


INFO:

Periodo mostra:
Dal 3 giugno 2015 al 24 luglio c/o Antonio Colombo Arte Contemporanea
Dal 3 giugno 2015 al 27 giugno c/o Sala delle Colonne – Fabbrica del Vapore

Opening: 3 giugno 2015 ore 18.00 / 21.00 (fino alle 23.00 c/o Fabbrica del Vapore)

Indirizzi:
ANTONIO COLOMBO ARTE CONTEMPORANEA – Via Solferino 44 – MILANO
orario mostra: martedì/venerdì 10 / 13 e 15 / 19 – sabato 15 /19
SALA DELLE COLONNE c/o FABBRICA DEL VAPORE – Via Procaccini 4 – MILANO
orario mostra: martedì/sabato 14/19

Artisti
108 | Aka B | Silvia Argiolas | Anthony Ausgang | Atelier Biagetti | Walter Bortolossi | Arduino Cantafora | Gianni Cella | Andrea Chiesi | Marco Cingolani | Clayton Brothers | Vanni Cuoghi | Aldo Damioli | Paolo De Biasi | Dem | Nathalie Du Pasquier | El Gato Chimney | Marco Ferreri | Enzo Forese | Giovanni Frangi | Daniele Galliano | Massimo Giacon | Alessandro Gottardo | Matteo Guarnaccia | Giuliano Guatta | Ryan Heshka | Hurricane | Massimo Kaufmann | Memphis – Galleria Post Design | Alessandro Mendini | Fulvia Mendini | Valerio Melchiotti | Olinsky | Tullio Pericoli | Marco Petrus | Giuliano Sale | Andrea Salvino | Salvo | Marta Sesana | Squaz | Fred Stonehouse | Toni Thorimbert | Mark Todd | Paolo Ventura | Nicola Verlato | Esther Pearl Watson | Zio Ziegler

Curatori
Luca Beatrice
Luca Beatrice è nato nel 1961 a Torino, dove vive e lavora. Critico d’arte docente all’Accademia Albertina e allo IAAD di Torino, nel 2009 ha curato il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. Ha pubblicato volumi e saggi sulla giovane arte italiana, tra cui Nuova Scena (G. Mondadori 1995), Nuova Arte Italiana (Castelvecchi, 1998), la monografia dedicata a Renato Zero dal titolo Zero (Baldini Castoldi Dalai, 2007). E’ autore del libro Da che arte stai? Una storia revisionista dell’arte italiana (Rizzoli 2010) e del volume incentrato sul rapporto tra musica e arte Visioni di suoni (Arcana 2010), mentre nel 2011 ha curato con Marco Bazzini Live! (Rizzoli) e realizzato Gli uomini della Signora (Dalai 2011). Nel 2012 ha pubblicato per Rizzoli Pop. L’invenzione dell’artista come star e nel 2013 Sex. Erotismi nell’arte da Courbet a YouPorn. A fine 2014 è uscita per Barney la raccolta Write on the Wild Side. Articoli di critica militante 2007-2014, mentre nel marzo del 2015 ha pubblicato il suo ultimo saggio Nati sotto il Biscione. L’arte ai tempi di Silvio Berlusconi. Collabora con Il Giornale, scrive inoltre sulle riviste Arte e Riders. E’ presidente del Circolo dei Lettori di Torino.

Ivan Quaroni
Critico, curatore e giornalista, ha collaborato con le riviste Flash Art e Arte. Nel 2008 ha pubblicato il volume Laboratorio Italia. Nuove tendenze in pittura (Johan & Levi editore, Milano). Nel 2009 ha curato la sezione «Italian Newbrow» alla IV Biennale di Praga. Nello stesso anno è stato tra i curatori di «SerrOne Biennale Giovani di Monza». Nel 2010 ha pubblicato il libro Italian Newbrow (Giancarlo Politi editore, Milano). Nel 2012 ha pubblicato il libro Italian Newbrow. Cattive Compagnie (Umberto Allemandi, Torino). Nel 2012 cura la Biennale Italia – Cina alla Villa Reale di Monza. Ha, inoltre, curato numerose mostre in spazi pubblici e gallerie private, scrivendo per importanti artisti, tra cui Allen Jones, Ronnie Cutrone, Ben Patterson, Victor Vasarely, Alberto Biasi, Aldo Mondino, Turi Simeti, Paolo Icaro, Marco Lodola, Salvo e Arcangelo. In Italia è tra i primi a scoprire e divulgare il Pop Surrealism e la Lowbrow Art americana, scrivendo su artisti come Gary Baseman, Clayton Bros, Eric White e Zio Ziegler. Dal 2009 conduce seminari e workshop sul sistema dell’arte contemporanea e, parallelamente, svolge un meticoloso lavoro di talent scouting nell’ambito della giovane pittura italiana.