Archivio | aprile, 2019

Giovanni Maranghi: ordine e caos. (Per una nuova cosmesi universale)

2 Apr

di Ivan Quaroni

 

“Piena di te è la curva del silenzio…”
(Pablo Neruda, Il grande oceano, da Canto general, 1950)

 

fiore latino - kristal cm 120x100

La ricerca di Giovanni Maranghi esemplifica tutti gli elementi costituitivi della grammatica pittorica, dal disegno al colore, dal supporto ai materiali, senza tralasciare alcun aspetto di una prassi che, nel suo caso, percorre il duplice binario dell’indagine squisitamente formale e, al contempo, della continuazione di una tradizione figurativa che affonda le radici nella potenza icastica e narrativa delle immagini. Se si volesse fare un’analisi dettagliata del suo vocabolario pittorico, bisognerebbe cominciare con la constatazione del ruolo fondante della pratica disegnativa. Il disegno, considerato a ragione lo strumento più prossimo al pensiero e dunque alla sorgente delle idee, è, infatti, per Maranghi una pratica consueta, un esercizio quasi diaristico attraverso cui annotare eventi, situazioni, intuizioni e spunti progettuali che, insieme, formano una sorta d’immaginifico archivio del suo vissuto quotidiano.

Questo è, diciamo così, l’aspetto più prosaico di tale attività, la necessaria palestra del pensiero visivo dell’artista fiorentino. Tuttavia, il disegno costituisce soprattutto la struttura portante delle sue opere, l’impalcatura che sorregge l’impianto stesso delle immagini, permettendo al colore e ai particolari materiali di supporto utilizzati dall’artista di sprigionare tutto il loro potenziale espressivo. Quello di Maranghi è un disegno sintetico, quasi inciso, che abolisce il tratteggio chiaroscurale delle volumetrie per affidare alla linea di contorno, allo stesso tempo morbida e precisa, il compito di scandire le figure con un ductussinuoso e serpeggiante, che molto deve alla tradizione barocca e liberty.

Su questo scheletro lineare, l’artista costruisce una partitura cromatica complessa, dominata da un registro di toni vividi e brillanti stesi su tela, tavola o pvc con una tecnica articolata, che include l’encausto, la serigrafia, l’incisione e la stampa digitale. Ed è, forse, per tale ragione che la dimensione del colore nella pittura di Maranghi assume una pletora di declinazioni stilistiche, che spaziano dall’approccio gestuale dell’Informale a quello lirico e astratto della color field painting, dall’irruenza drammatica dell’Espressionismo alla flatness della Pop art, arrivando a includere perfino tracce delle esatte partizioni ortogonali del De Stijl e dell’arte Neo Geo. Sembra quasi che l’artista metta in pratica il dettato postmoderno del repechagecon la stessa noncuranza per le gerarchie stilistiche che aveva caratterizzato i pittori della Transavanguardia. Con la differenza, però, che rispetto alla compagine guidata da Bonito Oliva, il prelievo strumentale dei modi del passato (più o meno recente) in Maranghi procede di pari passo con la tensione sperimentale, riconoscibile tanto nella diversificazione delle tecniche pittoriche, quanto nel curioso impiego di materiali plastici d’origine industriale come, ad esempio, il perspex o il kristall (una pellicola flessibile di pvc).

 

fleur - km cm 35x35

Attraverso disegno, il colore e la qualità testurale di materiali anticonvenzionali, Maranghi dispiega una pittura che difficilmente può dirsi solo figurativa. È vero, infatti, che a dominare il campo dell’immagine sono figure di donne, principalmente sedute in poltrona oppure ritratte in primissimo piano, come icone ironicamente ieratiche, che fissano in poche linee le rotondità di una sensualità piena, ideale estetico contrapposto a quello filiforme proposto dai media. Molto, però, di quel che è raffigurato nei dipinti di Maranghi affiora in controluce, come una filigrana, dallo sfondo, spesso nella forma di una micro-narrazione che è quasi un racconto secondario, insomma una specie di rumore di fondo visivo, come avevo già avuto occasione di spiegare nel catalogo della sua mostra presso la Cà dei Carraresi di Treviso. Ciò non significa che le immagini femminili in primo piano, immediatamente leggibili e facilmente decrittabili, siano meno importanti. Esse rappresentano, senza dubbio, il tema principale dell’indagine iconografica di Maranghi, tutta improntata – per rubare un fortunato neologismo al compianto Alessandro Mendini – a un’idea di cosmesi universaleche riguarda marginalmente la definizione di un’ideale di donna florida e prosperosa, con fianchi e cosce plasticamente tornite, e più profondamente l’accettazione della vocazione esornativa della pittura.

La cosmesi universale di Maranghi passa attraverso l’introduzione di elementi esplicitamente decorativi, come le storie arabescate sul fondo che in lontananza ricordano i motivi moreschi, oppure come l’inclusione d’inserti geometrici, talvolta stesi a encausto, che richiamano le partizioni ornamentali di Peter Halley o Sean Scully. Cosmetica è anche la scelta delle sedute su cui posano, seducenti, le sue Sitting Ladies (fra le quali figura spesso la celebre Poltrona Proust di Mendini), come pure l’attenzione che l’artista riserva agli abiti femminili, sovente intessuti di eleganti motivi damascati.

In verità, tutta la superficie delle opere di Maranghi è articolata secondo schemi compositivi ornamentali. Basti osservare lavori come Nuvole unoe Nuvole due, in cui i ritratti femminili sono inquadrati in un perimetro pittorico formato da tessere quadrangolari di diversi colori e dimensioni, oppure alle due brocche gemelle di Piazza Navona e Via vai, istoriate, forse pensando al modello della tradizione vascolare greca, con una pletora di personaggi quasi satirici, che paiono usciti da una pagina dei suoi carnet de dessin. Nei ritratti in primo piano, dominati da una linearità ancora più evidente, alle micro-storie disegnate sul fondo, memoria delle comiche notazioni dell’artista sul piccolo mondo della provincia italiana, si aggiungono i patterndelle carte prestampate (Pink Flamingos), tracce di motivi ornamentali classici (Sintonie riflesse) e macchie casuali, sporcature e annotazioni, integrate nel tessuto materico e gestuale del fondo (Anima di seta). Più minimale è, invece, la struttura delle resine, dove i volti femminili si stagliano su superfici di colore piatto, virato su tonalità fluorescenti, anche grazie all’uso di una linea di contorno pluricromatica, come nel caso di Silver Tatoo.

Eppure…

Afrodite - km cm 35x30

Eppure viene il sospetto che questa idea postmoderna di cosmesi, antitetica a quella espressa dal dettato modernista di Mies van der Rohe (Lessi s more), adombri, piuttosto, il carattere fondamentalmente malinconico (e lirico) dell’armamentario iconografico di Maranghi. Quello, cioè, di una pittura iperdensa, stratificata e stracarica di tracce, segni, memorie del contemporaneo, nelle cui pieghe si nasconde il presentimento, se non addirittura la certezza, dell’assoluta vanità esistenziale. Lo si capisce non solo osservando il carattere iconoclastico delle memorie disegnate in filigrana, di quel “rumore di fondo” affollato di tipi bislacchi e personaggi ipertrofici, che in fondo rispecchiano il pensiero dell’artista sulle miserie di quella variegata umanità, ma anche considerando l’urgenza ornamentale di Maranghi, quella tenace necessità di reintrodurre il decoro nel corpo dell’opera, come ultima reazione alle correnti brutture di questa nostra società liquida. Nei suoi dipinti, infatti, la linea disegnativa sembra affermarsi come un principio ordinatore, un imperativo visivo capace di zittire il clamore pittorico del fondo – quella sorta di babele di lingue e stili che del mondo riflettono l’anima più caotica, e allo stesso tempo un modo per riportare alla luce un ideale di bellezza armonica. Ideale che solo nel volto muliebre può trovare il più alto valore consolatorio.


Info:

Giovanni Maranghi. Piena di te è la curva del silenzio
a cura di Ivan Quaroni
Opening: Sabato 13 aprile 2019
L’Atelier Arte
Vico S. Agostino 24-25
Sasso Barisano, Matera


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