Tag Archives: Michael Rotondi

Italian Newbrow corre sul web

28 Gen

Ecco un elenco di tutti i siti web degli artisti di Italian Newbrow. Tutto quello che avreste voluto sapere e non sapevate dove trovare….

Cominciamo con la pagina FB di Italian Newbrow, con tutte le news e le nuove opere postate direttamente dagli artisti.

Italian Newbrow

https://www.facebook.com/ItalianNewbrow

Italian Newbrow

Ed ecco invece i siti dei principali artisti del movimento:

Vanni Cuoghi

http://www.vannicuoghi.com/it/

Cuoghi

Giuseppe Veneziano

http://www.giuseppeveneziano.it

Veneziano

Giuliano Sale

http://www.giulianosale.com

Sale Silvia Argiolas

http://www.silviaargiolas.com 

ArgiolasPaolo De Biasi

https://www.facebook.com/pages/paolo-de-biasi/158287757578428?fref=ts

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Michael Rotondi

http://michaelrotondi.blogspot.it

Rotondi Massimo Gurnari

http://massimogurnari.it 

GurnariDiego Dutto

http://www.diegodutto.it 

Dutto

Alice Colombo

http://www.alicecolombo.com

Colombo Eloisa Gobbo

http://www.eloisagobbo.it

GobboFulvia Mendini

https://www.facebook.com/fulvia.mendini

Mendini Elena Rapa

http://elenarapa.blogspot.it

Rapa

 Marco Demis

http://www.marcodemis.com 

DemisMassimiliano Pelletti

http://www.massimilianopelletti.com

Pelletti Tiziano Soro

http://tizianosoro.com/ita/home.html

Soro

Michela Muserra

http://mumiki.com

Muserra

Pierpaolo Febbo 

http://pierpaolofebbo.tumblr.com

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Infine, ecco un elenco di gallerie che trattano il lavoro di alcuni artisti di Italian Newbrow:

Area\b gallery, Milano

http://www.areab.org

Vanni Cuoghi

Paolo De Biasi

Silvia Argiolas

Giuliano Sale

Massimo Gurnari

Michael Rotondi

Pierpaolo Febbo

Eloisa Gobbo

Alice Colombo

Marco Demis

Tiziano Soro

 b

Antonio Colombo Artecontemporanea, Milano

http://www.colomboarte.com

Giuliano Sale

Silvia Argiolas

Elena Rapa

Vanni Cuoghi

Colombo

L.E.M., Sassari

Silvia Argiolas

Diego Cinquegrana

Giuliano Sale

 L.E.M.

Roberta Lietti Arte Contemporanea, Como

http://www.robertalietti.com

Vanni Cuoghi

Fulvia Mendini

Lietti

Artforkids, Como

Alice Colombo

Fulvia Mendini

Vanni Cuoghi

Artforkids

Contini Art Gallery, Venezia

http://www.continiarte.com

Giuseppe Veneziano

Contini

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Whimsical. Primo approccio al Pop Surrealism

25 Set

Ripubblico qui il mio testo per la quarta edizione di ALLARMI (2008). Qualcuno ricorderà che si trattava di una grande mostra nelle sale della Caserma De Cristoforis di Como, a cui partecipavano artisti, gallerie e naturalmente curatori. In quel 2008, pubblicavo “Whimsical”, un testo che prendeva le mosse dai fenomeni del Pop Surrealism e della Lowbrow Art, per introdurre un panorama di giovani artisti italiani, che si muovevano, anche inconsapevolmente, in una direzione affine a quella americana. Oggi molte cose sono cambiate. Gli artisti sono maturati e troverete sorprendente la loro evoluzione, guardando le immagini qui sotto. Altri sono rimasti coerenti con lo stile di allora (ben cinque anni fa) e hanno fatto una discreta carriera. Qualcuno si è immerso in un sotterraneo silenzio. Così, come succede sempre. Prendetelo come un documento curioso e interessante di un periodo.

Ecco testo e immagini:

Whimsical

di Ivan Quaroni

Prima

La civiltà, la cultura e l’arte hanno posseduto nel corso dei secoli due volti, speculari e opposti, emblematicamente cristallizzati nella raffigurazione dello Janus latino. La luce, principio organico e vitalistico che infonde linfa alle epopee eroiche e alle celebrazioni solari delle età auree di ogni tradizione e l’ombra, principio orgiastico, corrente ctonia dei misteri, bacino in cui germinano le sementi del basso e del bestiale, del proibito e del peccaminoso, del contrario e del capovolto. Il Tempo ha accolto i due aspetti con la ritmica delle oscillazioni pendolari, secondo cicli di crescita e di decadimento organico.

Weirdo Deluxe

Weirdo Deluxe

Nell’arte, l’avvicendarsi dei due aspetti si è sovente tradotto sul piano formale con l’alternanza tra classicismi e anticlassicismi, tra iconografie razionali e mitologie moralizzate da un lato, ed espressioni ibride, demoniche o primitive dall’altro. La meccanica è la seguente: una forza sopravanza quando le energie dell’altra sono in via di esaurimento. Così, fisiologicamente, nessun ordine, per quanto stabile, equilibrato e razionale, può resistere all’ineluttabile destino di decadimento. La resistenza è presto vinta dalle forze oscure, che premono ai confini del regno luminoso. “Quando questa stabilità viene alterata, quando le metamorfosi delle forme e dello spirito scatenano la fantasia e l’immaginazione”, scrive lo storico dell’arte Jurgis Baltrušaitis, “ecco che ritroviamo il mostro e la bestia…”.[1] Gli esempi nella storia dell’arte sono numerosi. Le mostruose teste con zampe animali, i volti bifronti, gli ibridi zoomorfi oppure le chimere e le altre bestie fantastiche della glittica greco-romana migrano negli infernali capitelli dell’architettura romanica e nelle demoniache raffigurazioni dei grilli gotici, passando poi alle bizzarre figure delle grottesche rinascimentali, ai bizzosi capricci barocchi, culminando, infine, nei più oscuri incubi del romanticismo simbolista e decadente.

Adesso, altrove

Il bizzarro, il deforme, il capriccioso, il grottesco, il mostruoso, l’ibrido, l’irrazionale influenzano in larga misura tutta la produzione pop contemporanea. In termini artistici, tale produzione include un territorio che ingloba un’ampia varietà di generi e sottogeneri iconografici provenienti per lo più dalla contaminazione tra l’arte tradizionale e alcune manifestazioni della cultura di massa. Due sono le espressioni paradigmatiche, sebbene non esclusive, del nuovo genoma pop, quella giapponese, che può essere riassunta nell’esperienza del movimento Superflat di Takashi Murakami e Yoshitomo Nara, incarnazioni rispettivamente dell’anima algida ed emotiva del Poku[2] nipponico. L’altra è la cosiddetta Lowbrow Art, indicata anche col più gradito termine di Pop Surrealism, in cui, per la verità, confluiscono influenze iconografiche molteplici e talora opposte.

Superflat

Superflat

È questa, infatti, una scena artistica cangiante e proteiforme, che accoglie al suo interno suggestioni provenienti dai mondi del tatoo, del surf, dello skate, delle hot rod, dei fumetti, dei cartoni animati, dell’illustrazione, della grafica punk, della poster art, del writing, della tiki culture[3]e dell’advertising d’annata. Entrambi i paradigmi, ossia la galassia pop surrealista occidentale e il mondo superflat orientale, incarnano, con le dovute differenze culturali e stilistiche, forme di figurazione fantastica in cui all’aderenza mimetica tipica dei realismi si sostituisce una tendenza morbosa verso la deformazione e l’ibridazione anatomica e oggettuale.

Ana Bagayan, Butterfly House, stampa giclée, 28x36 cm.

Ana Bagayan, Butterfly House, stampa giclée, 28×36 cm.

Un senso opprimente di orrore e di raccapriccio, d’inquietudine sottesa o palesemente esibita, serpeggia nelle opere di Mark Ryden, Todd Schorr, Marion Peck, Camille Rose Garcia, Elizabeth McGrath, Ana Bagayan, che controbilanciano l’impatto urticante delle loro rappresentazioni con uno stile dettagliato e prezioso, sovente memore della lezione fiamminga. Più affine allo spirito della deformazione grottesca è invece il linguaggio di Big Daddy Roth, Von Franco, Robert Williams e The Pizz, in cui il senso dell’orrido è svuotato d’implicazioni psicologiche a favore di una semplificazione ironica dell’immaginario pop degli hotrodder[4] americani.

Nella cultura pop del contemporaneo Sol Levante, l’orrido e il metamorfico sono inevitabilmente legati al trauma collettivo post-atomico, che ha segnato profondamente, talora con implicazioni drammatiche, l’immaginario del paese. Tuttavia, la cultura visiva giapponese, già storicamente avvezza alle pratiche della deformazione e dell’esasperazione nell’ambito della rappresentazione anatomica (si veda tutta la tradizione erotica degli Shunga e quella dei grandi maestri xilografi come Utamaro, Hiroshige e Hokusai ), ha potenziato questa tendenza nell’evoluzione contemporanea del genere dei manga e degli anime (cartoni animati). In quest’ambito si è andato, infatti, affermando il cosiddetto stile super deformed, un disegno di tipo caricaturale in cui i personaggi assumono le proporzioni anatomiche dei neonati: testa grande, occhi enormi, corpo goffo, ma con forme e lineamenti tondeggianti. Artisti come Takashi Murakami, Yoshitomo Nara, Mr., Aya Takano, Chiho Aoshima e molti altri di area superflat, hanno ereditato lo stile ipertrofico e piatto dei mangaka[5]. I personaggi delle loro opere, quando non sono una citazione diretta di quelli disegnati da maestri del calibro di Hayao Miyazaki[6] – ad esempio la Heidi dipinta da Mr. – ne ricalcano comunque lo stile, come nel caso delle sculture My Lonesome Cowboy (1999) e Milk (1998) di Murakami, dove i personaggi hanno organi sessuali esageratamente sproporzionati, sul genere di quelli dei manga hentai.[7] In Yoshitomo Nara, artista stilisticamente meno legato allo stile flat, prevale un tipo di deformazione anatomica e di ibridazione antropo-zoomorfa in cui è dato scorgere l’influsso della cosiddetta cuteness. Il termine deriva dall’aggettivo inglese cute, che indica tutto ciò che è grazioso, carino, tenero.

Il significato attuale si è sviluppato in epoca vittoriana, come conseguenza dell’idealizzazione del mondo infantile ed è diventato recentemente un concetto estetico. Cute può essere un bambino, un animale (pet) o anche un oggetto che possiede le caratteristiche di piccolezza, vulnerabilità, incompiutezza, ma anche difformità. Una cosa animata o inanimata è cute se possiede una natura tenera e inferiore, al contempo mostruosa e commuovente, caratteristiche tipiche di gran parte dei personaggi dell’universo manga. In Giappone, il cute o kawai (di cui Hello Kitty[8] e i Pokémon[9] sono la perfetta incarnazione) è diventato un aspetto importante della cultura popolare. Molte aziende e perfino molte istituzioni governative hanno adottato mascotte cute per presentare prodotti e servizi al pubblico. La Nippon Airways possiede tre jet decorati con l’effige di Pikachu[10], mentre la Asahi Bank ha adottato l’immagine di Miffy[11]. Le poste giapponesi hanno inventato un personaggio, Yu-Pack, che è una sorta di casella postale stilizzata e ognuna delle 47 prefetture del paese possiede un personaggio kawai. Gli artisti del movimento Superflat, dunque, non hanno fatto altro che metabolizzare concetti estetici già ampiamente diffusi nella cultura di massa giapponese.

Adesso, qui

Ogniqualvolta ci si trova a trattare argomenti per i quali non esiste una letteratura di lungo corso, come nel caso del Pop contemporaneo che, come ho più volte ribadito ha un legame alquanto labile con la Pop Art storica, ci si imbatte inevitabilmente in una pletora di termini e neologismi, come i già citati poku, otaku, cute, kawai, hot rod, kustom, tiki, che servono a indicare e quindi spiegare le espressioni di nuove tipologie e categorie estetiche. Alla lista bisognerebbe aggiungere anche l’aggettivo anglosassone whimsical, che significa capriccioso, bizzarro, stravagante, strano, eccentrico e che viene spesso applicato a dipinti e illustrazioni in cui prevalgono atmosfere rarefatte e misteriose o ambientazioni folk e favolistiche. Come tutti i termini che definiscono una categoria estetica, whimsical si presta a molteplici interpretazioni, tanto che sotto il suo ombrello sono spesso raccolte espressioni stilisticamente opposte.

Vanni Cuoghi, La Giostra della memoria, acrilico su tela, 120x120 cm, 2008.

Vanni Cuoghi, La Giostra della memoria, acrilico su tela, 120×120 cm, 2008.

Nell’alveo delle germinazioni pop italiane, sono molti gli artisti che potrebbero essere ascritti alla categoria del whimsical. Primo tra tutti, Vanni Cuoghi, che ha fatto della bizzarria l’elemento cardine della sua ricerca, sospesa tra inclinazioni folk e pulsioni pop. Figlio esemplare della cultura postmoderna, l’artista ha inventato uno stile pittorico in cui il passato vivifica il presente attraverso l’innesto delle stilizzazioni di stampo illustrativo su temi e motivi iconografici della tradizione storico-artistica. Nonostante lo stile serafico, peraltro accentuato dal candore latteo dei fondali, la pittura di Cuoghi frequenta abitualmente i territori del grottesco e del capriccioso, offrendo allo spettatore una visione cinica e niente affatto edulcorata dell’infanzia. Tutto ruota sul contrasto tra bellezza e orrore, tra commedia e tragedia, in un’equilibrata miscela di classicismi e popismi che ben si presta alla trasposizione in chiave simbolica e fantastica delle inquietudini contemporanee.

Silvia Argiolas, Senza titolo, 80X100cm., 2008

Silvia Argiolas, Senza titolo, 80X100cm., 2008

Whimsical sono anche le atmosfere evocate dalla pittura di Silvia Argiolas, che ritrae bimbe dagli occhi grandi sullo sfondo d’inquietanti scenari campestri e boschivi. In questi ritratti, influenzati tanto dallo stile super deformed quanto dall’estetica kawai, giocano un ruolo di co-protagonisti i nugoli di coniglietti mutanti, d’insetti ronzanti e minacciosi uccelli notturni, che formano una sorta di bestiario immaginifico e surreale. Con il suo stile gotico-folk, anche l’artista sarda dipana il racconto di un’infanzia ferita e bistrattata, cui non resta che il conforto dei paradisi artificiali offerti dalle droghe e dagli psicofarmaci. Argiolas adotta, quindi, gli stilemi formali della cuteness piegandoli però alle esigenze di una rappresentazione critica della società contemporanea.

Sarah Geraci, Pemba, terracotta policroma, 53X45X40 cm., 2008

Sarah Geraci, Pemba, terracotta policroma, 53X45X40 cm., 2008

All’immaginario dei manga e degli anime nipponici sono evidentemente ispirate le sculture in terracotta policroma di Sarah Geraci, che riproducono con pallide tonalità opalescenti gli abitanti di un immaginario mondo sommerso, a metà tra mito atlantideo e microcosmo disneyano. Occhi smisuratamente grandi ed espressioni da cartone animato, i personaggi della Geraci sono un perfetto esempio di adattamento occidentale dell’estetica kawai.

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Thief in the Night, stampa silkscreen su carta da archivio invecchiata e bruciata a mano, 38x58cm, edizione limitata, P.A.

Lo stesso si potrebbe dire dei personaggi raffigurati nelle due stampe di Elizabeth McGrath, se non fosse per la prossimità con lo stile grafico di Tim Burton[12]. Nata nel 1971 a Hollywood, l’artista lavora principalmente nel campo della scultura e dell’animazione, rappresentando il lato oscuro della vita, tanto da meritarsi l’appellativo di Liz “Bloodbath” McGrath (Liz “bagno di sangue” McGrath). Nei suoi disegni si fondono gli influssi dell’iconografia cattolica, dell’immaginario carnevalesco e dell’estetica punk. La McGrath ha iniziato la sua carriera disegnando la fanzine Censor this ed è diventata, in seguito – oltre che la lead vocalist della band denominata Miss Derringer – una delle voci più originali della scena lowbrow californiana. Insieme a Camille Rose Garcia, l’artista rappresenta, infatti, l’anima più gotica (e critica) della compagine pop surrealista.

Giuliano Sale, Senza titolo, olio su tela, 30X30 cm., 2008

Giuliano Sale, Senza titolo, olio su tela, 30X30 cm., 2008

Connotata da una visione distopica e decadente è la ritrattistica di Giuliano Sale, in cui le suggestioni derivate dalla pittura simbolista assumono le tinte ancor più fosche dell’immaginario gotico dei batavers[13]. Sale dipinge, infatti, personaggi chimerici e perturbanti, creature perniciose che hanno perduto l’innocenza ed ora offrono un’immagine rovesciata e blasfema dell’infanzia, che è, anche in questo caso, il tema iconografico dominante. Quella del pittore sardo si profila come un’indagine sul lato tenebroso della psiche, metaforicamente rappresentata da identità fisiognomiche e anatomiche marcatamente connotate da disturbanti ipertrofie.

Elena Rapa, Lucilla Testagrossa in altalena, 2008

Elena Rapa, Lucilla Testagrossa in altalena, 2008

Similmente, Elena Rapa ricorre alla deformazione anatomica per caratterizzare i suoi personaggi, figli di un suggestivo incrocio tra l’universo immaginifico delle fiabe per bambini e quello antagonista del fumetto underground. La fanciullezza è, infatti, al centro anche della ricerca dell’artista marchigiana, che inventa una pletora di creature ibride, come Lucilla Testagrossa (dal corpo di bimba e dalla testa di palla) o gli esserini vagamente zoomorfi che popolano alcune delle serigrafie in bianco e nero qui esposte. Nell’ambito italiano, il linguaggio di Elena Rapa, artista capace di spaziare dalla pittura al disegno, dalla scultura al fumetto, è forse tra i più affini alle sperimentazioni di marca lowbrow, sebbene conservi, soprattutto nella sua declinazione pittorica, un carattere e un impianto cromatico tipicamente marchigiano.

Paola Sala, Senza titolo, olio su tela, 90x90 cm, 2007

Paola Sala, Senza titolo, olio su tela, 90×90 cm, 2007

Uno stile influenzato dall’arte germanica e fiamminga del Quattrocento è quello elaborato da Paola Sala, la cui pittura è caratterizzata tanto dalle ipertrofie anatomiche tipiche dei manga, quanto dalle atmosfere inquiete di certo Pop Surrealismo colto e raffinato. Anche qui tornano i canoni del super deformed e dunque le ossessioni legate ad un’iconografia che predilige la rappresentazione di corpi macrocefalici e con membra affilate. Sala dipinge le sue enigmatiche muse con sofisticata acribia, disponendole sullo sfondo di paesaggi silvestri, sotto cieli ingombri di minacciose nubi. Le figurine dipinte dall’artista comasca alludono velatamente anche alle immagini votive della tradizione cattolica popolare, con le quali condividono quella sorta di stralunata fissità che le rende simili a bambole inanimate.

Ana Bagayan, Senza titolo, matita su carta melting, 20x15 cm.

Ana Bagayan, Senza titolo, matita su carta melting, 20×15 cm.

Cromaticamente opposte a quelle di Paola Sala sono le opere di Ana Bagayan, artista originaria di Yeveran (Armenia), ma californiana d’elezione. Laureatasi all’Art Center College of Design di Pasadena e svezzata professionalmente dalla galleria La Luz De Jesus di Los Angeles, Ana Bagayan è il tipico prodotto dell’educazione artistica della West Coast. Conosciuta in Italia per aver realizzato l’immagine della locandina del film H2Odio di Alex Infascelli e recentemente anche quella dell’album Un’altra me di Syria, l’artista ha elaborato un linguaggio pittorico caratterizzato da un forte imprinting illustrativo e dominato un impianto cromatico giocato su toni caramellosi e zuccherini. Eppure, il mondo onirico e fiabesco da lei rappresentato è percorso da una vena di sottile inquietudine e da un senso d’incombente minaccia che portano il clima della narrazione in una zona di confine tra incubo e idillio.

Laurina Paperina, Takashi Murakami in love

Laurina Paperina, Takashi Murakami in love, smalti, spray e biro su carta, 35×50 cm, 2008

Animata da una strafottente verve pop è Laurina Paperina, che con il suo stile grafico, in bilico tra fumetto satirico e underground, fa il verso ai Vip dell’arte contemporanea e agli eroi della cultura di massa. La sua ricerca, fondata sulla passione per lo scarabocchio e il disegno infantile, si muove seguendo i precetti di un’irresistibile vena ironica. Protagonisti delle sue bislacche e surreali narrazioni sono di solito rockstar e supereroi dei fumetti, ma in questa occasione l’artista prende di mira il movimento Superflat. Tutto nasce da un aneddoto, il tanto vociferato acquisto da parte di Takashi Murakami, leader indiscusso del pop orientale, di un disegno dell’artista trentina. Così per una sorta di bizzarro contrappasso, Laurina Paperina inserisce al centro della sua installazione di carte una grafica originale della superstar nipponica, quella in cui compaiono Kaikai e Kiki, i due personaggi manga che hanno dato il nome anche alla sua Factory. L’immagine è tra le più emblematiche dell’immaginario Poku e serve da spunto a Laurina per inscenare un’allegra e scollacciata mattanza di artisti giapponesi.

Bassa

Catalina Estrada, Red, stampa giclée, 46×78 cm, edizione limitata 28/100

In parte debitrice dell’estetica manga è la colombiana Catalina Estrada, considerata una delle promesse dell’illustrazione e del graphic design[14]. Trasferitasi a Barcellona nel 1999, l’artista ha collezionato una serie di collaborazioni eccellenti con brand come Coca Cola, Smart e la griffe brasiliana Anunciação. Utilizzando penna ottica e tavoletta grafica la Estrada ha sviluppato uno stile originale, che combina atmosfere favolistiche e nitore high tech nell’allestimento di visioni fantastiche, popolate di fate e principesse iperboree.

Oliver Dorfer, Koi,

Oliver Dorfer, Koi, co su supporto plastico, 200×300 cm, 2007

Una pittura nitida è certamente quella dell’austriaco Oliver Dorfer, che dipinge con vernice acrilica su supporti plastici, al fine di ottenere un effetto rigorosamente flat. Secondo il filosofo e teorico dei media Leo Findeisen i lavori di Dorfer sono “apparecchi visivi”, in cui si fonde la pratica analogica della pittura e l’influsso dell’estetica digitale. Sono apparentemente frammenti rubati ai film d’animazione, ai fumetti, ai videogame quelli che l’artista utilizza come fossero matrici riproducibili ad libitum per le sue sovrapposizioni iconografiche. Come ha scritto il critico Andrea Bruciati, “Oliver Dorfer metabolizza il pervasivo dilagare delle immagini nella dimensione del quotidiano, innervandola nel credo pop secondo una stilizzazione che ricorda i manga giapponesi o certi tag della street art”.

Massimo Gurnari,

Massimo Gurnari, Hot Rod, Fast Sex, tecnica mista su carta intelata, 170×150 cm, 2008

Lowbrow è un termine efficace per descrivere la pittura di Massimo Gurnari, maturata in un contesto di radicali contaminazioni pop, tra tatuaggi, vecchie pubblicità, immaginario hot rod e pin up anni ‘50, elementi che l’artista mescola, senza alcuna logica narrativa, su sfondi disseminati di frasi e scritte estemporanee ed efficaci texture ornamentali. Quelle di Gurnari sono visioni capaci di trasmettere un senso di felice eccitazione poiché costringono lo sguardo a rimbalzare tra immagini sacre e profane, tra stili grafici e pattern geometrici, alla ricerca di un impossibile appagamento visivo. La sua è, in definitiva, una pittura di sovrapposizioni e giustapposizioni iconografiche, una pittura onesta e diretta come un road movie di Tarantino, ma soprattutto una pittura capace di evolvere, di svincolarsi dalla prigione degli stili, servendosi dei più diversi codici espressivi.

Spider, California, tecnica mista su tavola, 71x112,5 cm., 2007

Spider, California, tecnica mista su tavola, 71×112,5 cm., 2007

Ora, mentre in Italia l’interesse per il variegato sottobosco artistico lowbrow, basato sul mescolamento dei generi e degli stili si è sviluppato solo di recente, giò da un decennio, Daniele Melani, meglio conosciuto come Spider, conduce in totale autonomia una ricerca che ha più di un elemento in comune con l’estetica Pop Surrealista. Già a partire dal 1995, nelle sue tavole di legno incise e dipinte, Spider dimostrava di aver metabolizzato lo stile di tanti cartoon d’annata americani, dalla Betty Boop dei mitici fratelli Fleischer al Braccio di ferro di Elzie Crisler Segar, fino al lupo cattivo dei Tre Porcellini delle Silly Symphonies disneyane. Da sempre, poi, accanto all’elemento fumettistico si avverte una grande passione per il lettering, per la calligrafia, per il logotipo. Nei suo dipinti compaiono, infatti, scritte vintage, caratteri western, corsivi infantili, stampatelli futuristi di grande forza evocativa. Le frasi che l’artista intaglia o dipinge sulla tavola non sempre sono collegate al senso dell’immagine, ma hanno, talvolta, un valore puramente grafico, come nel caso dei molti emblemi reiterati dall’artista, dal teschio al lupo, ai fiori antropomorfi.

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Michael Rotondi, Felicità, plotter su carta colorata a mano, 20×30 cm, 2008

Con uno stile sporco, di ascendenza punk e underground, Michael Rotondi imbastisce narrazioni bizzarre, dove spunti biografici sono mescolati a elementi dell’immaginario pop. Quello rappresentato dall’artista livornese è, quindi, un mondo sospeso realtà e immaginazione, miti collettivi e impressioni private, in cui convivono eroi dei cartoni animati, star del rock and roll e personaggi della vita quotidiana. Un esempio tipico della sua inclinazione all’ibridazione iconografica è il mausoleo di ricordi pop allestito per l’occasione, in cui l’artista ripercorre, trasfigurandoli, gli eventi dell’estate 1994, quella dei mondiali di calcio statunitensi e della musica dei Nirvana e dei NOFX. In questa sorta di racconto generazionale, Rotondi traccia la mappa culturale e sociale di un’epoca e insieme compila il racconto della sua iniziazione alla vita.

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Uno stile conciso e raffinato è quello di Elena Monzo, che dipinge figure caratterizzate da una fisicità drammatica, da una corporeità estrema ravvisabile nelle posture complicate e contorte. Protagoniste delle sue opere, eseguite su carte da plotter, spesso con l’ausilio di pennarelli e sticker, sono figure antitetiche rispetto a quelle delle riviste patinate di moda. I suoi personaggi, infatti, sono quasi sempre donne con malformazioni o mutilazioni o addirittura ibridate e confuse in nuove entità organiche. Interessata al tema dei rapporti di dipendenza che uniscono le persone, l’artista stabilisce tra i personaggi che abitano lo spazio lindo e asettico dei suoi lavori una sorta di connessione, un legame di ordine fisico (quasi un cordone ombelicale) che li avvince in una stretta morsa.

Giuseppe Veneziano, Biancaneve allo specchio, 2007

Giuseppe Veneziano, Biancaneve allo specchio, 2007

Di tutt’altro genere, infine, sono le deformazioni e le ibridazioni messe in campo da Giuseppe Veneziano, che interessano soprattutto i meccanismi legati alla percezione d’immagini e informazioni. L’artista siciliano adotta uno stile piatto e semplice, immediatamente comprensibile, per indagare l’ambigua soglia tra verità e finzione. Nel perseguire questo scopo, Veneziano sfrutta gli automatismi tipici dell’informazione, della pubblicità, ma anche della satira, per elaborare immagini scomode e disturbanti, che denunciano la natura psicologicamente morbosa dell’uomo medio contemporaneo. Oltre a questo aspetto della sua ricerca, Veneziano insiste anche sul tema classico della contaminazione tra registri alti e bassi, tra citazionismo colto e triviale, come dimostra l’insistita presenza nelle sue tele di icone celebri dei cartoni animati, dello show business, della politica e dello Star System. Nell’installazione intitolata Biancaneve allo specchio, citazione in salsa erotico-favolistica della celebre Venere allo specchio di Velasquez, Veneziano congiunge entrambi gli aspetti della sua indagine, quello sociologico (l’indicazione della morbosità congenita della società odierna) e quello culturale (l’inevitabile, postmoderna, confusione intellettuale tra alto e basso).


[1] Jurgis Baltrušaitis, Il Medioevo Fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, pag 43, Adelphi, 1997, Milano.
 
[2] Poku è un neologismo originato dalla crasi dei termini Pop e Otaku. Quest’ultimo era originariamente un pronome onorifico usato per indicare la famiglia o la casa altrui. Oggi otaku è utilizzato per designare negativamente un individuo ossessivamente interessato a qualcosa, come ad esempio un appassionato maniacale di manga e anime. L’accezione moderna del termine compare negli anni Ottanta grazie all’umorista Akio Nakammori, che si accorse che il pronome onorifico non era generalmente usato dai nerds.
[3] Tiki, dal nome di una divinità del pantheon polinesiano, è l’appellativo che ha assunto a partire dagli anni ’40 negli Stati Uniti lo stile in cui erano arredati alcuni ristoranti ispirati appunto all’arte della Polinesia. La cultura Tiki ha ricevuto una spinta maggiore quando, finita la Seconda Guerra Mondiale, i soldati americani di ritorno dal fronte riportarono storie, aneddoti e souvenir dalle isole del Sud Pacifico. Col tempo il Tiki Style ha permeato molti aspetti della cultura pop americana, divenendo un genere artistico autonomo, svincolato dall’arte polinesiana originaria.
[4] Con Hot Rod, letteralmente Bielle Roventi, sono indicate le auto modificate sia nella carrozzeria che nelle parti meccaniche al fine di aumentarne le prestazioni in termini di potenza e velocità, che l’aspetto, in termini d’impatto estetico. Negli Stati Uniti, a partire dagli anni ’50 il termine veniva usato in senso dispregiativo per indicare vetture diverse da quelle prodotte in serie. Col tempo i bolidi Hot Rod sono diventati un fenomeno tipico della cultura americana, chiamata Kustom culture (la cultura delle customizzazioni automobilistiche), in seno alla quale si è sviluppata anche una Kustom Art, legata alla decorazione di auto, moto, caschi e altri accessori.
[5] Disegnatori di fumetti manga.
[6] Celebre autore di fumetti, animatore, sceneggiatore e regista giapponese. Sono suoi i progetti e le scene di famose serie animate come Heidi e Anna dai capelli rossi. Come regista ha realizzato, tra gli altri, i film animati La città incantata e Il Castello errante di Howl.
[7] Sono così chiamati in Giappone i fumetti e i cartoni animati pornografici.
[8] Hello Kitty è una gattina con un fiocco rosso sull’orecchio sinistro, un personaggio inventato nel 1974 a Tokyo e commercializzato dall’azienda giapponese Sanrio. Oggi un marchio che genera un fatturato di miliardi di dollari attraverso un merchandising che comprende accessori, abbigliamento, giocattoli, cartoni animati, biglietti di auguri e molto altro. Dal 1983 è ambasciatrice dei bambini per l’Unicef.
[9] I Pokémon nascono come personaggi dei videogiochi per Game Boy nel 1996 e diventano cartoni animati a partire dal 1997.
[10] Personaggio dei Pokémon.
[11] Miffy è la piccola coniglietta dei libri per bambini, creata nel 1955 dall’olandese Dick Bruna.
[12] Vedi Tim Burton, Morte malinconica del bambino ostrica, Einaudi, Torino.
[13] Venivano così chiamati i frequentatori del Batcave, famoso locale londinese attivo a Soho dal 1982 e divenuto, in seguito, il tempio del gothic rock.
[14] Alcuni suoi lavori sono pubblicati nel secondo volume di Illustration Now, curato da Julius Wiedemann per l’editore Taschen.

Michael Rotondi, Giulio Zanet. Loveless

18 Set

a cura di Francesca Pergreffi

inaugurazione sabato 14 settembre ore 19 alla presenza degli artisti
nell’ambito del festivalfilosofia 2013 sull’amare
dal 13 settembre al 20 ottobre 2013
presso Spazio Meme, in via Giordano Bruno 4 a Carpi (Mo)

Michael-Rotondi-Ritratto-2013

Michael Rotondi, Ritratto, 2013.

LOVELESS è un progetto inedito dei due artisti Michael Rotondi e Giulio Zanet creato per il Festival di Filosofia sull’amare. La mostra, curata da Francesca Pergreffi, inaugurerà allo Spazio Meme di Carpi in via Giordano Bruno, sabato 14 settembre alle ore 19 alla presenza degli artisti.
In occasione della mostra sarà presentato il catalogo “Loveless, cahier d’artistes”. Un volume illustrato in cui la dialettica visiva tra sentimento ed erotismo sfocia in un’unica percezione dell’amore e dell’amare, racchiusa in un centinaio di pagine a colori.

Tra cuore e carne –  Il progetto LOVELESS nasce prendendo spunto dal titolo del celebre disco dei My bloody valentine, e si sviluppa come una ricognizione su due modi di vivere l’amore: romantico e pornografico.

Michael Rotondi e Giulio Zanet si confrontano e s’interrogano, partendo dal loro vissuto personale, analizzando le loro esperienze passate e presenti. Compongono una sorta di diario visivo della loro intimità e dei loro diversi modi di amare; un’oscillazione perpetua tra cuore e carne. Le poetiche dei due artisti dialogano e s’intrecciano sulla parete fornendo una visione unica di due approcci amorosi apparentemente antitetici dove il sentimento si “sporca” con l’erotismo e lo “sconcio” diventa amore. Due modi di relazionarsi che, intersecandosi in maniera dialettica, confluiscono in un’unica concezione dell’amare, scoprendosi indispensabili e necessari l’uno all’altro.

Michael Rotondi, 2L, 2013.

Michael Rotondi, 2L, 2013.

Conversazione tra Francesca Pergreffi, Michael Rotondi e Giulio Zanet

F.P.: La scelta dei My bloody valentine come colonna sonora ha un significato particolare?

M.R.: “Il disco “Loveless” è fantastico, uno spaccato generazionale.
Inoltre sia il nome della band che il titolo del loro lavoro più celebre é in sintonia col nostro progetto: “Senza amore” e “il mio cuore insanguinato”. Valentina come simbolo del cuore, e della sofferenza nel caso del nome della band. My bloody valentine è un documento verbale e poi visivo del paradosso amoroso. La conseguenza di una fine che uccide il cuore e  per dimenticare reagisce  o chiudendosi  tra le proprie cose o facendo sesso fino a schiacciare e polverizzare il ricordo. Si ha avuto amore, si é amato e di risposta a ciò o ci si isola nella malinconia, o si cerca di colmarlo attraverso l’eros.”

F.P.: Loveless è una provocazione? Il punto di partenza del vostro diario o il punto d’arrivo?

M.R.: “Loveless è provocatorio; è la partenza e l’arrivo; un cerchio.”
G.Z.: “ Loveless è una provocazione. L’amore salverà il mondo”
F.P.: Secondo voi c’è il confine tra carne e cuore?

M.R.: “Quando non c’è, è  amore vero”
G.  Z.: “Esiste sicuramente un confine tra carne e cuore ma la meraviglia sta nello sconfinamento.”

F.P.: Dov’è che inizia, se per voi esiste, la fase di “contaminazione” tra l’erotismo e il sentimento?

M.R.: “Quando si ama si annulla automaticamente l’ eros, la “ sporcizia” e  il sentimento . Si annullano  le tre differenze e diventano una cosa sola.”
G.Z .: “Erotismo e sentimento si contaminano in continuazione per quanto mi riguarda.”

F.P.: Nella vostra analisi c’è una definizione, una risoluzione finale, o rimane una vivisezione accurata di un disordine emotivo carnale e spirituale; di un’oscillazione a cui ancora a oggi, non vi è una formula?

M. R.: “Il disordine é la parola chiave, quello é l’inizio del sentimento e del tutto. Mente nel kaos e brividi sulla pelle. Non ci sono formule ma molteplici punti di vista personali, estratti di vita vissuta”.
G.Z.: “Non esiste una formula: è un mistero senza soluzione la riuscita degli elementi.”

Maggio 2013

Giulio Zanet, Abbraccio, 2013.

Giulio Zanet, Abbraccio, 2013.

Michael Rotondi (1977)

Nel 2006 è in “Laboratorio Italia”, edito da Johan & Levi. Nel 2008 nel dizionario “Giovane Pittura Italiana” della rivista Flash Art. Nel 2009 è per “Italian Newbrow” alla Biennale di Praga e in residenza a Londra. Nel 2010 a Berlino, collettiva “New Transit”, Germania. L’artista Arcangelo lo invita alla residenza “C.A.P.A.” a Benevento. Nel Gennaio 2011 in “Italian Newbrow” per Giancarlo Politi editore e in “Fratelli D’Italia” per Giunti editore. A New York per la collettiva “Nuovo profilo italiano”. Collettiva “Danno d’immagine”, a Pechino. Pubblica il libro “Sto* Disegnando !!!” per la casa editrice Bevivino. Nel 2012 personale a Milano dal nome “Via Rotondi”. Finalista del “Laguna Art Price”, Venezia, vince una residenza a Mumbai, India. È invitato alla Biennale Italia-Cina. Finalista del “Premio Michetti” è inserito in “Popism” di Luca Beatrice e nel libro omonimo edito da Vallecchi. Presente nel libro “Italian Newbrow – Cattive compagnie” di Ivan Quaroni, per Allemandi Editore. Nel 2013 espone a Mumbai per la Sakshi Gallery, India.

http://michaelrotondi.blogspot.it

Michael Rotondi, Paesaggio, 2013.

Michael Rotondi, Paesaggio, 2013.

Giulio Zanet (1984)

Nel 2007 arriva terzo al premio “Arte Laguna”. Nel 2008 partecipa alla collettiva “Master of Brera”, Liu Hiusu Art Museum, Shangai, è inoltre nella collettiva “New art new pop”, Centro d’arte e Cultura di Brolo, Molgiano Veneto. Nel 2009 è finalista del Premio Combat, espone nelle collettive “Do not cross the line” Stazione di Porta Nuova a Torino e “Open#1, S.A.L.E”, Ex Magazzini del Sale, Venezia.Arriva secondo nel 2010 al Premio Italian Factory ed espone presso la First Gallery a Roma. L’anno seguente partecipa a due residenze: una Santiago de Compostela e una a Berlino; svolge la personale “Hangover” al GiaMaArt Studio a Benevento; è finalista al Premio Celeste. Nel 2012 è finalista al Premio LissonE. Espone in due bi-personali: con Ester Grossi “Written on the hays”, First Gallery, Roma e con Sabrina Casadei “Growing in lightness” Kaleidoskop, Berlino. Dello stesso anno le personali “ Scuse per Viaggiare” 5aOfficina, Milano, “Things to do today”, Quattrocentometriquadri, Ancona. Partecipa alla collettiva “Crises and Rises” Istitut Francais-Palazzo delle Stelline, Milano. Nel 2013 è invitato alla residenza “Haihatus” in Finlandia.

http://giuliozanet.tumblr.com

Giulio Zanet, Senza Titolo, 2013.

Giulio Zanet, Senza Titolo, 2013.

Loveless – Michael Rotondi e Giulio Zanet

dal 13 settembre al 20 ottobre 2013 nell’ambito del festivalfilosofia 2013 sull’amare 
inaugurazione sabato 14 settembre ore 19
Spazio Meme – via Giordano Bruno 4a, Carpi. www.spaziomeme.org
Mostra a cura di: Francesca Pergreffi
Catalogo a cura di: Francesca Pergreffi
Progetto grafico del catalogo “Loveless, cahier d’artistes”: Kreativehouse
Mostra realizzata con il Patrocinio della Città di Carpi, in collaborazione con il festivalfilosofia, con il contributo del Centro Culturale Lucio Lombardo Radice.
Per informazioni: Francesca Pergreffi – francesca@spaziomeme.org
 
Orari
13-14 settembre dalle 9 alle 23, domenica 15 settembre dalle 9 alle 21
Dal 16 al 20 settembre: tutti i pomeriggi dalle 16 alle 20, sabato e domenica anche la mattina dalle 10 alle 13, chiuso il giovedì.
Meme è un’associazione culturale che prevede una tessera soci annuale ad offerta libera; gli eventi e le mostre sono a ingresso gratuito.
 
Collegamenti utili:
http://michaelrotondi.blogspot.it/
http://giuliozanet.tumblr.com
http://www.kreativehouse.it

Italian Newbrow: un’arte di larghe intese

26 Lug

Questo mese è uscito il nuovo numero di 8 e mezzo, rivista dell’Istituto Luce – Cinecittà, diretta da Gianni Canova. All’interno c’è il mio articolo sui rapporti d’influenza tra Italian Newbrow e il cinema.

Trovate qui sotto l’impaginato in pdf:

Articolo 8 e mezzo

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Per una maggiore leggibilità e per dare spazio alle immagini che sono state un po’ sacrificate dalla grafica, riporto per intero il testo originale:

L’arte contemporanea è come un tempio esoterico frequentato da soli iniziati. Come una loggia massonica, obbedisce a codici simbolici di difficile decrittazione e si fonda su un linguaggio segreto e incomprensibile agli occhi del grande pubblico, insomma su una grammatica estetica che rafforza il sentimento di esclusività di chi ne fa parte.  In questa setta, l’autoreferenzialità è una regola aurea, in special modo in quel particolare segmento chiamato “arte concettuale”. Da qualche tempo, però, si è aperto uno spiraglio verso le suggestioni dell’immaginario di massa, dal fumetto all’illustrazione, dai videogame al Cinema.

Giuliano Sale, MONICA E IL DESIDERIO

Si tratta di un fenomeno in parte dovuto all’attitudine più aperta e orizzontale delle nuove generazioni, quelle che Luca Beatrice sulle pagine di Flash Art designava con il termine di Google Generation. Sono artisti abituati alla logica del cut & paste digitale, cresciuti in un clima di contaminazione tra la cultura artistica ufficiale e quella popolare e pervasiva dei nuovi media. Un mix d’impulsi e influenze che il filosofo outsider Franco Bolelli interpretava, nel saggio intitolato Cartesio non balla, come segni dell’ascesa di una nuova antropologia pop energica, divertente, sexy e soprattutto capace di affermare nuovi valori basati sulla vitalità e l’abbondanza di esperienze di cross over e ibridazione dei linguaggi. Qualcosa di diverso, insomma, da quel microcosmo concettuale che, come afferma Bolelli, ruota intorno al deturnamento e all’estetizzazione del banale.

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In una sequenza del film I soliti idioti (Enrico Lando, 2011), con Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, appariva il dipinto Alter Ego di Paolo De Biasi, uno degli esponenti dell’Italian Newbrow, non proprio un movimento, ma piuttosto un variegato gruppo di artisti italiani, impegnati in un’orgogliosa rivendicazione di tutto il bazar della cultura popolare – dal fumetto alla TV, passando per il Cinema, il tatuaggio e la grafica punk e underground.

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In verità, ancor prima dell’uscita del film di Enrico Lando, l’Italian Newbrow proponeva una visione dell’arte contemporanea capace di infrangere le rigide barriere dell’ufficialità, tramite il recupero di fonti d’ispirazione provenienti dalla produzione dell’industria, con frequenti incursioni non solo nell’immaginario cinematografico mainstream, ma perfino in quello indipendente.

Massimo Gurnari, IN ITALY WE TRUST

Lo scopo è di riattivare, in pittura e in scultura soprattutto, la dimensione narrativa del racconto, superando l’empasse provocato dalla tautologia dei minimalismi e dei concettualismi di fine stagione. Basta, quindi, con i pezzi di legno appoggiati al muro, con le matasse di lana furbescamente disposte in un angolo di galleria, con le foto appoggiate a terra, magari con il vetro infranto. Cose che, con buona pace del critico d’arte Francesco Bonami, fanno esclamare al pubblico: “Lo potevo fare anch’io”. Il pensiero corre inevitabilmente alle Vacanze intelligenti di Alberto Sordi, capolavoro di perplessità e ironia che traccia un solco incolmabile tra l’avanguardia artistica e la sensibilità del grande pubblico e diventa, trentacinque anni dopo, uno stimolo per artisti della galassia newbrow, sostenitori di un’arte di larghe intese, a cui la gente comune possa tornare ad accostarsi senza imbarazzo o senso d’inferiorità. Agli eroi della Disney e della Dreamworks, s’ispira, Veneziano, rendendoli testimoni di un’epoca complessa come la nostra, travagliata da una profonda crisi economica (Indignados, 2012).

Diego Dutto, NONMAMA

Guarda invece a Tarantino e al Lonesome Cowboy di Takashi Murakami, Vanni Cuoghi in Sette pensieri saggi, dove una variante rinascimentale dell’Uma Thurnman di Kill Bill è impegnata a decapitare i suoi  avversari in un dipinto splatter. A La piccola bottega degli orrori di Roger Corman (1960) è ispirato l’inquietante fiore carnivoro di Diego Dutto (Nonmama, 2012), debitore dell’estetica post-human teorizzata da Jeffrey Deitch, mentre guardano al cinema d’autore, Silvia Argiolas Giuliano Sale ed Elena Rapa. La prima con una pittura lisergica e surreale, che indaga il disagio giovanile alla stregua dei film di Larry Clark e Todd Solondz, gli altri due attraverso uno stile cupo, influenzato da Ingmar Bergman, Rainer Fassbinder e Lars Von Trier. E se Mullholland Drive di David Lynch e Tokyo Ga di Wim Wenders forniscono i titoli ai bidimensionali ritratti di Fulvia Mendini (2008), L’Ultimo metrò di François Truffaut (1980) solletica le fantasie underground di Michael Rotondi in Amore clandestino (2011). L’unico tributo al Cinema italiano arriva da Massimo Gurnari, tatuatore e artista feticcio della scena hip hop lombarda, che nel dipinto intitolato In Italy we trust condensa riferimenti al Neorealismo (Vittorio De Sica), allo Spaghetti Western (Clint Eastwood) e perfino alla tradizione del B movie nostrano (Kriminal, Umberto Lenzi, 1966).

Italian Newbrow. Cattive compagnie (seconda parte)

16 Mag

Il problema del male. Cattive compagnie

A proposito dell’intensa vitalità e della spinta fondamentalmente pulsionale, erotica, emotiva e psicologica che accomuna le opere degli artisti di  Italian Newbrow, avevo accennato nel libro edito da Politi Editore[1], citando uno scritto di Franco Bolelli (Cartesio non balla, Garzanti, 2007, Milano) sulla superiorità della cultura pop, in cui affermava che le grandi opere, come le grandi imprese che segnano a fondo l’immaginario collettivo, nascono sempre da un esubero energetico, da un’abbondanza che si traduce in slancio. Più avanti introducevo il tema del ritorno a una sensibilità gotica, legata alla rappresentazione del lato oscuro e delle zone d’ombra della società contemporanea, mediati attraverso i filtri dell’ironia, del paradosso, dell’ambiguità e dell’affabulazione, ma non sottolineavo abbastanza quanto sia dinamico, necessario, vitale, per gli artisti, questo processo di confronto con il tema della negatività. Argomento che, in fin dei conti, ha caratterizzato tutta la storia dell’arte e non solo, come affermava Baltruišaitis, i periodi in cui era alterata la stabilità sociale[2]. Il problema del male e della sua evidenza è uno dei più dibattuti dai teologi, filosofi e letterati d’ogni epoca. Si tratta di una questione che coinvolge l’esistenza stessa dell’uomo e dunque, inevitabilmente, anche la sua rappresentazione attraverso l’arte.

Nel trattato intitolato Piccola metafisica dell’omicidio, la scrittrice francese Eliette Abécassis scrive che “L’arte intrattiene con il male dei rapporti intimi. Il male è la sua forza, il suo soggetto, la sua ragion d’essere “.[3] Esso costituisce, di fatto, la premessa di ogni di ogni forma d’arte, la sua conditio sine qua non. Solo là, dove il male si manifesta, esiste una storia da raccontare. Che cosa sarebbero la Letteratura, il Cinema, il Teatro, il Fumetto, la Danza, la Musica e l’Arte senza una storia da raccontare?

Come afferma la Abécassis, “Perché l’arte, se non per esprimere il delitto nella società?  L’arte, contestatrice nella sua essenza, c’è unicamente per denunciare, per vomitare il mondo. Non per lavarlo, non per descriverlo, non per dare un senso a un mondo assurdo, non per gratificare, appagare, non per evadere dal mondo: non per criticarlo, ma per vomitarlo”.[4] L’arte è quindi un conatus, un rigurgito che restituisce al mondo i suoi squilibri in forma di rappresentazione, ma è anche, e soprattutto, un antidoto, una cura omeopatica, una forma di catarsi che l’artista vive da eterno convalescente, sempre teso verso un’impossibile guarigione. Il metabolismo dell’arte aggredisce il male con i suoi anticorpi poiché, come affermava Sheldon Kopp, “Tutto il male costituisce una vitalità potenziale bisognosa di trasformazione[5].

È un processo intensamente vitale, che gli artisti di Italian Newbrow hanno assimilato attraverso scelte linguistiche che escludono la tautologia e l’autoreferenzialità, a favore della narrazione e della rappresentazione. Se, infatti, è vero che dove c’è il male, c’è una storia da raccontare, è altrettanto vero che dove c’è una narrazione, affiorano direttamente o indirettamente, i temi dello squilibrio, del caos e del disordine, dell’oscurità e del buio, della crudeltà e del peccato, dell’ignoranza e della stupidità e, infine, dell’eterno scontro tra le forze positive e negative dell’esistenza. Difficile è, piuttosto, stabilire una precisa iconografia del negativo, tracciarne dei confini netti, dal momento che Italian Newbrow raccoglie una pletora di artisti diversi, ognuno dei quali affronta il problema da una prospettiva particolare.

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Giuspeppe Veneziano

Nella sua reiterata e pendolare oscillazione tra realtà e finzione, la pittura di Giuseppe Veneziano affronta il tema del male sotto il profilo dell’ambiguità e del travestimento. La maschera delle apparenze, come codice comunicativo che adombra la menzogna e la violenza, è un soggetto centrale in molte sue opere, a cominciare dall’inquietante ritratto di Pogo the clown – vero nome John Wayne Gacy –, famigerato pluriomicida, noto per aver intrattenuto i bambini ad alcune feste con un costume e un trucco da pagliaccio. Quest’opera, insieme alla scultura bronzea intitolata David’s Reinassence e al dipinto Electric Joker, si inserisce nella tradizione della coulrofobia, nota come “paura del clown”, che trova un illustre predecessore letterario nel Pennywise di “It”, il capolavoro assoluto di Stephen King che ha reso la figura del clown un simbolo del male assoluto. La sequenza iconografica rappresentata da Pogo the clown, David’s Reinassence e Joker disegna anche una progressiva escalation dal mondo reale (Pogo), a quello ambiguo del mito, in cui si mescolano verità e finzione (il clown decapitato), fino a quello del fumetto e dunque della pura immaginazione (Joker), in cui Veneziano compie innumerevoli incursioni. Lo dimostrano non solo i ritratti di personaggi negativi o politicamente scorretti dei cartoni animati, da Telespalla Bob dei Simpson a Cartman di South Park, da Bender di Futurama a Stewie dei Griffin, ma anche le opere in cui l’artista mette in luce il potenziale lato oscuro di eroi ed eroine da fiaba. In Indignados e La strage degli innocenti, Veneziano usa l’universale iconografia dei cartoon della Disney e della Dreamworks come metafora per descrivere una realtà instabile, violenta e contraddittoria. Una realtà che, in tempi di crisi, estende l’ombra lunga del male anche ai regni della fantasia e dell’immaginazione.

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Massimiliano Pelletti

Attraverso un video, un light box e una serie di sculture racchiuse in piccole teche di plexiglas, Massimiliano Pelletti ricostruisce scene di ordinaria follia, ispirate alla vita quotidiana e a fatti di cronaca. “Contiene parti ingeribili” è il titolo di questa serie di lavori, che allude alle tassative avvertenze contenute nelle istruzioni dei giocattoli per bambini. E infatti, ogni opera è fabbricata manipolando esemplari di Playmobil, attraverso interventi di microscultura che plasmano le espressioni, aggiungono dettagli e ridisegnano il contesto entro cui si svolge l’azione di questi popolari omini di plastica. L’artista usa un linguaggio volutamente pop, che fa leva su meccanismi d’immediata riconoscibilità, per trattare temi assai meno pacificanti, come la morte, la violenza e il cinismo della società contemporanea. Mentre il light box intitolato  P.G.R – Per Grazia Ricevuta si limita a ironizzare sull’iconografia popolare degli ex voto, le sculture Festa della Mamma e Del Maiale non si butta via niente vanno meno per il sottile e affrontano il problema dell’informazione giornalistica, che asseconda il gusto collettivo per le atmosfere morbose e patologiche della cronaca nera. Cinica e spietata come una lucida analisi sociale è invece l’opera Il profumo della vita, dove l’atmosfera mesta e compunta di un funerale è interrotta dal dettaglio triviale di un corteggiamento canino. Ma l’ironia trionfa soprattutto nel video Rapina Funky, realizzato con la tecnica dello stop motion, che ci precipita improvvisamente nell’effervescente clima pulp di una sequenza di Tarantino.

Michael Rotondi, My Kim

Michael Rotondi

Attraverso il suo stile rapido e bozzettistico, che pone l’accento sugli elementi espressivi dell’immagine, Michael Rotondi approccia il tema del male recuperando iconografie del folclore religioso e popolare e figure emblematiche della storia. L’artista concepisce il racconto come una struttura aperta, formata da accumuli e affastellamenti di tele e carte che tracciano una sottile rete di analogie e rimandi all’interno delle sue installazioni. L’elemento negativo, ma anche vitale e catartico, del linguaggio di Rotondi è evidente soprattutto nella furia iconoclasta di My Kim e Con lo smalto nero sulle unghie posso solo urlarti una canzone, memori della lezione dei neoespressionisti tedeschi, mentre le carte sembrano piuttosto dominate da una più quieta vena memoriale. In Kill your idols landscape Rotondi presenta, infatti, due incarnazioni storiche del male (Stalin a Lenin) e un animale simbolo del peccato (la rana rovesciata), desunto direttamente da una celebre tela del Bramantino. Ma il male cui l’artista si riferisce è anche quello biblico della possessione demoniaca, tema del dipinto Vai via!!, ispirato a un antico casellario spagnolo, e, infine, quello metafisico, contro cui si batte il bellicoso San Michele Arcangelo di Autoritratto.

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Vanni Cuoghi

Inventa una nuova cosmogonia, sospesa tra fiaba e mito, Vanni Cuoghi, le cui immaginifiche visioni rinnovano il racconto dell’eterna lotta tra angeli e demoni, introducendo elementi di ambiguità che riguardano sia l’identità di genere dei suoi personaggi, che e le loro accezioni simboliche. Come Henry Darger, il visionario artista autodidatta autore di The Realm of Unreal, Vanni Cuoghi immagina un universo alternativo, dove il primigenio conflitto tra uomini e donne assume connotati epici. Le sue streghe, abbigliate come aristocratiche dame vittoriane, sono, infatti, protagoniste di una guerra senza esclusione di colpi con le forze maschili, spesso incarnate da schiere di demoni e altri esseri ultraterreni. Mescolando pittura, collage e psaligrafia (arte antica del ritaglio di carta), l’artista costruisce affascinanti diorami tridimensionali, racchiusi in preziose scatole di plexiglas. Ogni diorama rappresenta un evento particolare, diciamo pure un episodio dell’immaginifica saga di Cuoghi, in cui le streghe recitano il ruolo delle eroine di una rivoluzione proto-femminista che, metaforicamente, allude a conflitti di ben altra portata. Conflitti che attengono alla sfera immaginifica dell’inconscio individuale e collettivo, dove si allignano figure incerte e simboli ambigui, che rendono opaco e indeterminato il confine ontologico tra il bene e il male.

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Diego Dutto

Diego Dutto trasferisce l’ambiguità sul piano biologico, aprendo una riflessione sulle future (e nemmeno troppo lontane) possibilità d’innesto tra organismi naturali e parti robotiche. Quelle plasmate dall’artista torinese sono, infatti, entità ibride, le quali assimilano forme umane, animali o vegetali e strutture sintetiche che richiamano il nitore di manufatti altamente tecnologici. Pnèymon, ad esempio, è un macabro trofeo, una sorta di cuore meccanomorfo, da cui fuoriescono due canne metalliche, simili ai tubi di scappamento delle automobili. Nonmama è una scultura da giardino che rappresenta un grande fiore biotech, degno de La piccola bottega degli orrori di Roger Corman. Ma Dutto non risparmia nemmeno il mondo animale e, così, ridisegna il guscio delle sue tartarughe fino a farlo somigliare a una corazza da combattimento in kevlar, decorata con preziose finiture cromate. Allucinata, con le sue plastiche forme sintetiche sembra, infine, l’insetto di un cartone animato della Pixar. Il mondo post-umano di Diego Dutto è, dunque, il prodotto di una sensibilità ultracontemporanea, sviluppatasi all’incrocio tra il design, la tecnologia e la computer grafica.

Paolo De Biasi, Ephemeral Painting 5, acrilico su tela, 50x40 cm., 2012

Paolo De Biasi

L’elemento provocatoriamente negativo della pittura di Paolo De Biasi è rappresentato dalle fonti iconografiche, che non riflettono la tendenza autoreferenziale di larga parte dell’arte contemporanea. Per De Biasi le cattive compagnie sono le frequentazioni culturali che hanno formato il suo gusto e la sua sensibilità, maturate per lo più al di fuori dell’ambiente artistico. Le immagini delle riviste degli anni Sessanta, le copertine dei dischi degli Smiths, l’architettura razionalista del secondo Novecento hanno contribuito alla formazione della sua attitudine pop e fondamentalmente anti-concettuale. “La pittura che parla di pittura”, afferma De Biasi, “si riduce a una tautologia o, nella migliore delle ipotesi, a un sistema di specchi opposti, che riflettono la propria immagine distorcendo la realtà, senza creare alcun significato ulteriore”. De Biasi definisce la sua ricerca come una sorta di beta test, cioè la versione provvisoria di un programma, spesso realizzata per saggiare la validità del prodotto prima del suo definitivo lancio sul mercato. Per l’artista pensare la pittura come una fase beta permanente, significa quindi sperimentare la possibilità di ripensare la realtà. Come afferma Gianni Canova, “Il problema del nostro tempo è capire se siamo ancora capaci di pensare a quello che vediamo o se vediamo sempre e solo ciò che già pensiamo”. Opere dalla struttura frammentaria e quasi centrifuga come Code of conduct, Back to the Old House e Doppelgänger incarnano, di fatto, questa possibilità di ricostruzione fenomenologica del mondo, fondata non più gerarchie logiche e spaziali, ma semmai su un nuovo assetto pulsionale, aperto e multicentrico.

5.bGiuliano-Sale-Clown-olio-su-tela-20x20-cm.-2012

Giuliano Sale

Una pittura viscerale, ma disciplinata da un severo controllo formale, è quella di Giuliano Sale, che declina in immagini equivoche e misteriose le pulsioni più ineffabili dell’essere umano. Con il suo stile fitto di rimandi alle atmosfere del Simbolismo e della Neue Sachlickeit, l’artista è riuscito a sviluppare una personale sigla linguistica, che gli consente di esplorare i meandri dell’inconscio senza rinunciare alla narrazione. La sua indagine si appoggia ai generi tradizionali del paesaggio e del ritratto per dare corpo e solidità a una materia psicologica sfuggente e inafferrabile quanto un incubo narcotico. Sale descrive  un universo metafisico, fatto di crepuscolari arcadie e paesaggi d’ombra, dove balenano spettrali figure e temibili apparizioni. Ma è soprattutto nei ritratti, un singolare repertorio di fisionomie e anatomie anomale, che affiora con evidenza il tema del male. Sale lo affronta illustrando quel connubio tra abiezioni organiche e morali, che è il segno distintivo dei suoi personaggi, ma che, in qualche modo, riecheggia anche nella morfologia allusiva dei suoi paesaggi, costellati di anfratti bui e inquietanti distese d’acqua scura. Quello dipinto da Sale è, dunque, un mondo di rovinosa decadenza, un’immaginifica apoteosi del mal di vivere, dove il vizio e la corruzione che albergano nel cuore degli uomini, riecheggiano nelle lande di una natura afflitta e desolata.

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Silvia Argiolas

L’arte di Sivia Argiolas è la più compiuta espressione del conatus di cui parla Eliette Abécassis, di quel rigurgito espressivo che è, appunto, una forma di metabolica trasformazione e sublimazione della negatività, compiuta attraverso gli strumenti della rappresentazione pittorica. L’artista materializza sulle sue tele una cosmogonia paranoica, di puro delirio e lucida alienazione, in cui le manie e le ossessioni personali vengono sublimate attraverso la mise en scene di imperscrutabili liturgie catartiche. Nella sua folle visione, la dimensione aleatoria della psiche si trasforma in un palcoscenico affollato di autoritratti, dove le più diverse incarnazioni della sua personalità entrano in contatto con le forze primigenie della vita in forma di animali totemici e ombre spettrali. La pittura espressionista di Silvia Argiolas, fatta d’interventi gestuali e accumuli materici, assume la natura come ambientazione, facendone il teatro di una pletora di narrazioni drammatiche. Ma il suo è, piuttosto, un Eden capovolto, un inferno arboreo disseminato di proiezioni lisergiche e presenze ctonie.


[1] Ivan Quaroni, Italian Newbrow, Giancarlo Politi Editore, 2010, Milano.

[2] Jurgis Baltruišaitis, Il medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, Adelphi, 1997, Milano.

[3] Eliette Abécassis, Piccola metafisica dell’omicidio, 2004, Il Nuovo Melangolo, Genova.

[4] Ibidem.

[5] Sheldon B. Kopp, Se incontri il Buddha per strada uccidilo, Astrolabio Ubaldini Editore, 1975, Roma.

Italian Newbrow. Cattive compagnie (Prima parte)

15 Mag

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Nessun artista tollera la realtà”.

(Friederich Nietzsche)

 Newbrow versus Lowbrow. Una definitiva precisazione.

Mi sono chiesto spesso se possa esistere una via italiana, anzi europea, a quel variegato e complesso fenomeno chiamato Lowbrow Art (o Pop Surrealism), tutto giocato sull’orgogliosa rivendicazione di un approccio figurativo, narrativo, ironico e fondamentalmente popolare al problema della rappresentazione. Ho avuto la sensazione, poi avvalorata da molteplici letture ed esperienze di visione diretta delle opere, che quello del Lowbrow è un modo intimamente americano di affrontare il problema, un modo che affonda le radici nel crogiuolo delle sottoculture di quel paese e che non può essere esportato senza dare vita a espressioni derivative o imitative. L’artista europeo può davvero condividere le esperienze maturate nella West Coast Californiana, dal fenomeno delle Hot Rod alla Kustom Kulture, dagli stili di vita del surf e dello skate, fino alla rilevanza sociale del fumetto underground e dell’immaginario psichedelico? Lowbrow è, in fondo, un termine che descrive il coagulo delle esperienze della cultura popolare americana degli ultimi sessant’anni. Dentro c’è di tutto: l’architettura cheap dei rivenditori di hot dog e di donut, le roadhouse e le sale da Bowling affollate, Disneyland e i Monster Movie proiettati nei drive-in, i ristoranti Tiki colmi di paccottiglia hawaiana, i poster lisergici della Summer of Love, la mitologia Beat, il mito dei bolidi truccati e delle gare illegali nelle piane desertificate della California, la fantascienza retro-futurista dei Jetson, il rock and roll e il Be Bop, le bande di teppisti e teddy boy, l’estetica da centauri degli easy rider, il punk e i graffiti, la nostalgia dei vecchi cartoon della Warner Bros, Norman Rockwell e Robert Crumb, i tatuaggi, le pin up, le vecchie insegne dei sideshow, la musica country e l’arte folk, i cowboy e il Ku Klux Klan, le bandiere degli Stati Confederati, la solitudine della provincia e lo spirito di frontiera. L’America, insomma. Nel bene e nel male. Italian Newbrow è tutt’altro. Un fenomeno che affonda le radici nel nostro background e, semmai, in quello della cultura continentale comunitaria e che, in genere, assorbe suggestioni dell’immaginario globale, senza per questo appiattirsi su posizioni di mera derivazione linguistica. L’universo fantastico della Lowbrow Art è, per noi italiani, alla più una curiosità d’oltreoceano, un’eccitante novità pervenutaci attraverso la diffusione planetaria di Juxtapoz, la rivista portabandiera del Movimento, e tramite gli stimoli di certo cinema pulp, così come l’abbiamo vissuto attraverso la visione della filmografia di Quentin Tarantino, di Robert Rodriguez e, naturalmente, di Tim Burton. Qualcosa, insomma, che abbiamo vissuto di rimando, dunque per lo più indirettamente, osservando le capricciose immagini di Robert Williams, Mark Ryden o Gary Baseman in qualche rara mostra italiana oppure, il più delle volte sulle pagine di riviste di largo consumo. Italian Newbrow, dicevo, è tutt’altro. È un fenomeno che cresce e si sviluppa nel tessuto connettivo dell’arte italiana contemporanea, funestata da un pluriennale dibattito tra l’arte colta, di matrice post-concettuale, e l’arte figurativa, tornata ad affermare le necessità del racconto, della rappresentazione e dell’espressione, talvolta (ma solo talvolta) tramite pratiche di saccheggio di quell’immenso serbatoio iconografico che è la cultura di massa. Se esiste un’analogia tra il Pop Surrealismo americano e il Newbrow Italiano è solo sul piano dell’eterna diatriba tra l’arte “alta” delle gallerie “mainstream” e quella “popolare” delle nuove forme di figurazione. Un’ultima analogia consiste forse nell’ampio uso che entrambi gli scenari, quello statunitense e quello italiano, fanno delle fonti iconografiche derivate dal web, nella confidenza che gli artisti della Google Generation hanno sviluppato nei confronti dei tool digitali. Ma si tratta di una questione di portata globale, valida tanto per gli artisti europei, quanto per quelli indiani, cinesi, russi o mediorientali. Le analogie finiscono qui. Ogni altra forma di parentela, filiazione o debito è relegabile all’ambito dell’ispirazione diretta o, peggio, dell’imitazione pedissequa. Italian Newbrow non è mai stata (ne sarà mai) una forma di Italian Pop Surrealism, termine peregrino che qualcuno ha già iniziato a utilizzare.

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Le origini culturali. Il background italiano.

Italian Newbrow è, in larga parte, uno scenario – e non un movimento, come ho più volte ribadito -che si è sviluppato nel contesto artistico italiano, sulla scia di precedenti esperienze critiche, che documentavano l’insorgere di una nuova sensibilità, orientata al recupero della cultura popolare e di massa e alla rivalutazione della pittura e della scultura, per lungo tempo sottovalutate e considerate da una parte del sistema dominante alla stregua di pratiche obsolete, se non addirittura retrive. In tal senso, in Italia, un ruolo molto importante è stato ricoperto dalla Transavanguardia di Achille Bonito Oliva, che ha avuto il merito non solo di riportare la pittura al centro del dibattito artistico, ma anche di riaffermarne con orgoglio la spinta pulsionale e libidica. Durante tutti gli anni Ottanta, nel nostro paese si assiste a una rigogliosa fioritura di gruppi, scuole, movimenti e individui che, lasciandosi definitivamente alle spalle il clima plumbeo del decennio precedente, dominato dai concettualismi e dagli ideologismi barricadieri, riscoprono attraverso la pittura e la scultura il valore della manualità e della Storia. Basti pensare ai Nuovi Nuovi di Renato Barilli, Francesca Alinovi e Roberto Daoglio, agli Anacronisti di Maurizio Calvesi, ai Nuovi Futuristi di Luciano Inga Pin, ma anche, e soprattutto, ad artisti trasversali, spesso inclusi in una generica area espressionista, come Mimmo Germanà, Nino Longobardi, Ernesto Tatafiore, Arcangelo, Marco Del Re e Sabina Mirri. Negli anni Novanta, accanto alle esperienze degli artisti post-concettuali milanesi che ruotano attorno alla figura di Corrado Levi e che in parte confluiscono nella mostra La scena emergente del Museo Pecci di Prato, ci sono i Medialisti capitanati da Gabriele Perretta, L’Officina Milanese di Alessandro Riva, il Nuovo Quadro Contemporaneo di Gianluca Marziani e il tentativo di crossorver tra arte e letteratura Cannibale di Luca Beatrice in Stesso Sangue. Tutte esperienze che precedono la sensibilità indeterminata e inclusiva della cosiddetta Nuova Figurazione, che si presenterà come una sorta di “sensibilità” quanto mai variegata in termini di linguaggio e stile e soprattutto interessata al confronto tra Arte e Nuovi Media e tra Arte e Fumetto, Cinema e Letteratura. Con l’inizio del nuovo millennio, il dialogo dell’arte con la cultura di massa si fa ancora più serrato. Nel 2000 Alessandro Riva inaugura al PAC di Milano la mostra Sui Generis, che insiste sulla ridefinizione dei generi della nuova arte italiana e che include, accanto al ritratto e alla natura morta, la fantascienza, il giallo, l’erotismo, la contaminazione e la moda. Un anno dopo, Gianluca Marziani pubblica Melting Pop (Castelvecchi editore), un libro, seguito da una serie di mostre, che pone l’accento sulla contaminazione e sulla combinazione tra arte e tecnologia e sulla necessità di un approccio creativo trasversale, multidisciplinare e aperto. Parallelamente, prima con la mostra La linea dolce della Nuova Figurazione (2001) e successivamente con Ars in fabula (2006), Maurizio Sciaccaluga documenta il carattere ironico e, allo stesso tempo, languido e trasognato della giovane arte italiana. Sono anni in cui l’attenzione verso i giovani pittori e scultori figurativi è ai massimi livelli, grazie anche all’attenzione delle riviste di settore e al costante monitoraggio dei premi nazionali e delle grandi rassegne pubbliche. Rassegne che culminano nel 2007 con le mostre Arte Italiana 1968-2007, a cura di Vittorio Sgarbi (Palazzo Reale, Milano), e La Nuova Figurazione Italiana – To Be Continued…, a cura di Chiara Canali (Fabbrica Borroni, Bollate), cui partecipano, peraltro, anche artisti come Giuseppe Veneziano, Vanni Cuoghi, Fulvia Mendini, Elena Rapa e Eloisa Gobbo, che poi formeranno il nucleo centrale della nascente sensibilità Newbrow. Proprio in questo brodo di coltura si sviluppano i primi germi del nuovo scenario artistico e, segnatamente, nel ritrovato valore di un’arte eloquente, diretta, capace di raccontare e “suggestionare” il pubblico attraverso immagini immediate e di forte impatto. La tensione comunicativa e l’apertura a una platea più vasta di quella tradizionalmente interessata all’arte, diventano questioni centrali per le generazioni che hanno sperimentato il potenziale mediatico di internet. E in tal senso, il saccheggio da parte degli artisti dell’immaginario di massa gioca un ruolo fondamentale.

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Se ne accorge anche Gianni Canova, che in un articolo su Il Fatto Quotidiano scrive: “Italian Newbrow è la rivendicazione orgogliosa di tutto il bazar delle iconografie popolari – non solo il fumetto, la Tv e il cinema di serie B, ma anche il tatuaggio, il graffito, il cartoon, il pop design – assemblate con la tecnica del cut & paiste digitale (che è poi l’evoluzione del collage cubo-futurista) [1]. Ma non si tratta solo di questo. Oltre alle suggestioni dell’iconografia pop, Italian Newbrow registra anche le ansie e le inquietudini della moderna società liquida teorizzata da Zygmunt Bauman. L’articolo di Canova associa le atmosfere del film I Soliti Idioti (di Enrico Lando, con Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli) all’estetica newbrow: “Piaccia o no ai suoi arcigni e sgomenti censori”, scrive il critico, “I Soliti Idioti ha gli stessi colori saturi del movimento newbrow e del quadro che assume a emblema del movimento [Alter Ego di Paolo De Biasi]: è un film molto più scuro e invaso da zone d’ombra…”. Con la promessa di un’impossibile catarsi comica, dietro la facciata ridanciana e sboccata del film, striscia il verme del malessere sociale, con il suo inevitabile corredo di tic, manie, ossessioni e disagi. La stessa cosa avviene nelle opere degli artisti newbrow, che spaziando tra differenti registri espressivi documentano il lato oscuro della civiltà contemporanea attraverso il saccheggio dell’immaginario di massa e la rappresentazione, spesso metaforica, dei turbamenti individuali e collettivi del nostro tempo. Così, se Giuseppe Veneziano si avvale di una figurazione semplice e immediata, popolata di personaggi e icone universalmente riconoscibili, per affrontare questioni legate all’ambiguità e all’indeterminatezza della comunicazione visiva, sovente carica d’implicazioni politiche e sociali, Vanni Cuoghi ricorre all’armamentario classico della fiaba e del folclore con l’intento di trasfigurare, in chiave surreale, gli impulsi negativi latenti nell’immaginario fantastico. Analogamente, Massimiliano Pelletti modifica giocattoli di largo consumo per inscenare situazioni disturbanti, in bilico tra quotidianità e cronaca nera, mentre Silvia Argiolas tratta il problema del “male di vivere” costruendo un personalissimo universo parallelo, in cui proietta visioni paranoiche e allucinate che sfiorano il parossismo. Sembrano originati dall’inconscio anche i paesaggi e i ritratti di Giuliano Sale, artista che descrive il turbamento esistenziale con un realismo quasi carnale, non privo di sottintesi allusivi e simbolici. Più freddo è, invece, l’approccio di Paolo De Biasi, che destruttura lo spazio della rappresentazione pittorica, interpretando la realtà come un simultaneo affastellamento di luoghi ed episodi narrativi, i quali ci restituiscono il senso d’urgenza e vitalità dell’esperienza umana. Esperienza che Michael Rotondi affronta da un’angolatura autobiografica, dipingendo immagini che sono l’equivalente di un ipotetico diario visivo, fatto di esperienze, impressioni e tracce che si sovrappongono al “vissuto collettivo” della sua generazione. In ultimo, Diego Dutto opera, con la scultura, sul crinale ambiguo che separa la biologia dalla tecnologia e ipotizza un futuro distopico e post-umano, popolato di organismi meccanicamente modificati.


[1] Gianni Canova, Idiota a chi?, «Il Fatto Quotidiano», Venerdì 11 novembre.

The Shapes of Painting to Come

7 Mag

di Ivan Quaroni

Quando, nel 1959, il sassofonista Ornette Coleman diede alle stampe il disco The Shape of Jazz to Come (“La forma del Jazz che verrà”), il pubblico dell’epoca rimase sconcertato. L’opera introduceva elementi d’improvvisazione che scardinavano la tradizionale teoria armonica, destrutturando i canoni stilistici del Jazz.  La pittura, come il Jazz, è un sistema di segni in continua evoluzione, un linguaggio articolato, che varia col mutare dei tempi. Dedicarsi alla pittura oggi, significa intraprendere un viaggio di ricerca non solo stilistica e formale, ma anche culturale. Nuovi problemi esigono, infatti, nuove soluzioni espressive.

The Shapes of Painting to Come fotografa uno spaccato del processo, nel tentativo di cogliere le dinamiche in corso in un momento, come questo, caratterizzato da turbolenze economiche, politiche e sociali che, inevitabilmente, riportano in primo piano la questione dell’identità.

Il problema è annoso e tuttora irrisolto a causa di un sentimento bipolare da parte degli artisti verso le proprie radici culturali. Si aggiunga che i processi di globalizzazione in atto hanno provocato nelle nuove generazioni un indebolimento del sentimento di appartenenza, in nome di una più ampia identità cosmopolita.

Legate a un clima europeo e continentale sono le ricerche degli artisti Paolo De Biasi, Valerio Melchiotti e Giulio Zanet, in cui è lecito ravvisare elementi di prossimità con i linguaggi pittorici elaborati in Germania, in Belgio e in parte dell’Europa orientale negli ultimi due decenni. Penso soprattutto a Michaël Borremans, Neo Rauch, Daniel Pitin e, in generale, ai pittori tedeschi della Scuola di Lipsia e ai rumeni della Scuola di Cluji, che hanno scardinato i codici della rappresentazione attraverso la deflagrazione dello spazio, lo slittamento dei piani prospettici e la giustapposizione di episodi narrativi in cui confluiscono elementi di mimesi realistica e di metafisica sospensione temporale.

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Paolo De Biasi

Sono fattori che ritroviamo soprattutto nell’opera di Paolo De Biasi, che squaderna lo spazio pittorico, intersecando ambienti esterni ed interni allo scopo di produrre una struttura vertiginosamente aperta, atta ad accogliere una pletora di eventi e situazioni incongruenti. Qualcosa di analogo, ma su scala assai più ridotta, accade anche nei dipinti della serie Ephemeral Painting, dove il cortocircuito narrativo è prodotto dall’accostamento di rari elementi figurativi stagliati su di un piatto fondale monocromo.

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Giulio Zanet

Segnato da un approccio più immediato e gestuale è, invece, lo stile di Giulio Zanet, il quale combina elementi astratti e figurativi all’insegna di un caotico affastellamento di visivo. Anche nella sua pittura la destrutturazione dello spazio procede di pari passo con la disarticolazione del racconto, ma a dominare sono spesso la scoperta casuale, l’inciampo, l’errore che diviene fattore trainante e, al contempo, eloquente della rappresentazione.

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Valerio Melchiotti

Improntata a un realismo calibrato, ma non privo d’illogici slittamenti semantici, è la pittura di Valerio Melchiotti, che perlustra il quotidiano attraverso uno sguardo retrospettivo, costellato di riferimenti agli anni Cinquanta e Sessanta. Combinando mimesi realistica e introspezione psicologica, l’artista veronese costruisce una sequenza d’immagini enigmatiche, disseminate di oggetti misteriosi, quanto ambigui. Lampante è il caso di The Meat Grinder, dove un tritacarne da macelleria evoca le forme di un apparecchio optometrico per l’analisi della vista.

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Michael Rotondi

Un segno essenziale, rapido come uno schizzo o un appunto visivo, caratterizza tutta la ricerca iconografica di Michael Rotondi, spesso incentrata sulla rappresentazione di miti personali e collettivi e tesa al recupero dell’immaginario folk nostrano. Elemento centrale del modus operandi dell’artista è l’utilizzo di supporti e materiali inconsueti, come nel caso dei dipinti monocromi su pellicole di politene, che creano un dialogo con lo spazio attraverso il gioco di trasparenze e ombre proiettate sulla parete.

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Jacopo Casadei

Si profila, invece, come un progressivo percorso di smaterializzazione della figura il lavoro di Jacopo Casadei, che immagina la tela come una superficie di affioramento di apparizioni fantastiche e mostri generati dall’inconscio. Casadei usa il segno e il gesto come fondamenti di una pittura indefinita, quasi astratta, abitata da linee mobili e magmi cromatici che colgono le figure nel loro divenire, anticipando, così, il momento epifanico della rappresentazione.

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Agnese Guido

Una figurazione notturna, di carattere quasi musicale, è quella di Agnese Guido, che traccia su fondali scuri pretestuose immagini di oggetti quotidiani, quali bicchieri, sedie e mollette per capelli, come se si trattasse di enigmatiche visioni. Si ha, però, la sensazione che le sue narrazioni rapide e repentine, altro non sono che un pretesto per indagare la dimensione ineffabile della pittura e per saggiarne le potenzialità espressive. Servendosi di una tavolozza ridotta, l’artista inventa insoliti e stravaganti accordi cromatici alla maniera di un jazzista che improvvisi sulla partitura armonica di uno standard.

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Silvia Argiolas

Contiene elementi d’improvvisazione, costantemente bilanciati da uno strenuo controllo formale, lo stile pittorico di Silvia Argiolas, sempre di più improntato a una grammatica scarna ed essenziale, che mira ad esaltare l’aspetto profondamente drammatico delle sue visioni. L’artista lavora su un personalissimo immaginario di conflitti e urgenze interiori, che traduce in immagini di crudo espressionismo. Attraverso la reiterazione ossessiva del proprio autoritratto, reso protagonista di oscure e disturbanti vicende esistenziali, Argiolas inventa un nuovo genere espressionismo apocalittico, teso all’indagine degli stati d’animo che caratterizzano il “mal di vivere” della nostra epoca.

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Giuliano Sale

Artista impegnato a traslare in immagini l’enigma dell’assoluto è Giuliano Sale, nella cui pittura si avverte una propensione a sondare gli aspetti più inspiegabili e incomprensibili della realtà, spesso unita a una predilezione per atmosfere fosche e lugubri. Di recente, la sua ricerca si è concentrata soprattutto sul paesaggio, attraverso la descrizione di misteriosi scenari naturali, spazi immobili e silenti, carichi d’implicazioni metafisiche e disseminati di rare, solitarie presenze. Il suo stile filtra suggestioni arcadiche e simboliste, piegandole alle urgenze di una sensibilità contemporanea, capace di fondere il dato tecnico ed espressivo in una pittura di sicuro impatto emotivo.

Assalto al Museo: dal Surreal Pop all’Italian Newbrow

4 Nov

Su RUMORE n. 250 di novembre, una approfondita ricognizione di Vittore Baroni nei meandri dell’Italian Newbrow e del pop surrealismo nostrano, a cavallo tra arte e musica….

All’interno, una guida alla lettura, alla visione e all’ascolto Lowbrow…

ecco l’articolo:

Rumore n. 250_Italian Newbrow