di Ivan Quaroni
Assured Apocalypse, 2023, acrylic on canvas, 61×81 cm
La pittura di Aniela Preston è infestata dai fantasmi del passato[1], ma è anche sorprendentemente legata al presente momento storico. I tropi e i vocaboli visivi usati dall’artista inglese sono, infatti, in gran parte estrapolati dalla storia dell’arte, soprattutto medievale e rinascimentale, ma i temi affrontati sono di stringente attualità.
Questo equilibrio è ottenuto grazie alla costruzione di un universo immaginifico che è, insieme, testimonianza di una volontà di fuga dalle brutture della società contemporanea e tributo alla grande tradizione degli Old Masters. Un mondo in cui i segni della modernità s’insinuano con discrezione, quasi subdolamente, attraverso la presenza di oggetti estranei, “fuori posto”, insomma avulsi dai contesti paesaggistici e architettonici che l’artista crea per ospitare i suoi autoritratti multipli, che sono una variante apocrifa di quelli che potremmo trovare negli affreschi dei Primitivi Italiani o nei dipinti dei pittori del Quattrocento.
Impending Doom, 2024, acrylic on canvas, 30×30 cm
Preston definisce le sue opere “capricci”, come quelli che, secondo il pittore e storico dell’arte fiorentino del Seicento Filippo Baldinucci, nascono “da un’improvvisa fantasia dell’autore”. Il genere del Capriccio, cui sono tradizionalmente associate le opere di Tiepolo, Salvator Rosa, Piranesi, Francesco Guardi e Canaletto, è caratterizzato dalla rappresentazione di rovine archeologiche immerse in paesaggi arcadici. Nei dipinti di Aniela Preston, invece, non ci sono colonne, frontoni, architravi e altri elementi che richiamano la classicità in combinazioni bizzarre e fantastiche, ma c’è, piuttosto, un’ossessiva e postmoderna reiterazione dell’immaginario della pittura italiana tardomedievale, rinascimentale e manierista, che l’artista “resuscita” in una sorta di citazionismo zombi, risultato di una tecnica di sampling pittorico che saccheggia la storia dell’arte per edulcorare la rappresentazione degli aspetti più abietti e mostruosi della società capitalista.
In sostanza, la pittura di Preston può essere considerata come una forma di escapismo critico, nel senso che, attraverso l’uso “retromaniaco”[2] della citazione, conduce un’analisi impietosa dell’antropocene, l’attuale epoca geologica in cui l’azione dell’uomo ha finito per alterare l’equilibrio climatico e ambientale del pianeta. Infatti, se i suoi lavori raccontano, all’apparenza, di un passato mitico e fantastico, a un più attento sguardo rivelano dettagli che della nostra epoca che infrangono l’atmosfera sospesa e rarefatta tipica della Metafisica di De Chirico, del Realismo Magico o del Surrealismo di Magritte e Delvaux.
Attraverso la moltiplicazione del proprio autoritratto – filo conduttore di tutta la sua produzione pittorica -, Aniela Preston inventa un cosmo coerente, in cui essa stessa si fa non solo testimone oculare della crisi prodotta dall’uomo sull’ambiente, ma anche latrice di una nuova età dell’oro. Un’epoca aurea che ha le forme di un pastiche, di un patchwork di memorie di opere preesistenti, ricontestualizzate nella visione di una generazione ferita e afflitta, cui non resta che rifugiarsi in un passato mitico, ma tragicamente fittizio.
A Lovely Day for a Tragedy, 2024, acrylic on canvas, 100×100 cm
Colta, e in un certo senso aristocratica, è la tessitura delle sue citazioni, disseminate nelle tele come una trama di indizi in parte riservati ai connoisseur, in parte orientati a produrre, persino nell’osservatore più sbadato, una sensazione di familiarità sulla quale l’artista sovrascrive il proprio dirompente messaggio di allarme. È il caso del dipinto Assured Apocalypse (2023), in cui Preston stravolge l’iconografia botticelliana della Nascita di Venere, raffigurando la Dea dell’Amore di spalle, mentre osserva le piattaforme petrolifere che deturpano il paesaggio marittimo. Le stesse piattaforme compaiono anche sul fondo di A Lovely Day for a Tragedy (2023), dove l’immagine dell’artista è raffigurata nell’atto della Vergine annunziata, con le braccia incociate sul petto, mentre sta per essere colpita da arciere tra le mura di un’architettura tardomedievale rubata a un dipinto di Giotto o Beato Angelico. Il tema del martirio, che qui possiamo interpretare, estensivamente, come quello di chi subisce oggi le conseguenze del comportamento irresponsabile delle generazioni precedenti – quelle, per intenderci, che hanno causato l’inquinamento, lo sfruttamento esasperato delle risorse naturali e, in conclusione, l’alterazione dell’equilibrio ambientale – è sottolineato anche dalla presenza di una delle figure più ricorrenti del bestiario di Preston, il leone. Simbolo solitamente associato alla forza e al sole, il Re degli animali, qui come in altri dipinti dell’artista – da Impending Doom (2024) a Beauty and the Beast (2024), fino a The Road to Ruin (2024) -, può assumere un significato diverso. Ad esempio, quello che “secondo Jung indica passioni latenti, e può apparire come segno di pericolo di venire divorati dall’inconscio”[3]. In generale, per l’artista il leone è un simbolo di spleen esistenziale, un sentimento sottolineato anche dalle ambientazioni crepuscolari e notturne di molti suoi dipinti.
The Road to Ruin, 2024, acrylic on canvas, 150×120 cm
Il leone compare anche in United Kingdom (2023), insieme all’unicorno, a rappresentare rispettivamente l’Inghilterra e la Scozia. Sulla falsariga dello stemma reale del Regno Unito, l’artista impianta la raffinata citazione di uno dei pezzi di La Dame à la liocorne, il ciclo di arazzi fiamminghi della fine del XV secolo dedicati ai cinque sensi, oggi conservati all’Hôtel de Cluny di Parigi e considerati tra i capolavori dello stile gotico cortese. Proprio come nell’episodio intitolato La Vue (La vista), Preston si ritrae elegantemente posata su un morbido tappeto d’erbe, con in mano uno specchietto che riflette l’immagine dell’unicorno docilmente appoggiato al suo grembo. Sempre secondo Jung, che cita lo Speculum Misteriis Ecclesiae di Onorio di Autun, si tratta del simbolo del Dio incarnato, cioè Cristo: “Colui che si posò in grembo alla Vergine, fu catturato dai cacciatori; ovvero fu scoperto in forma umana dai suoi amatori”[4].
United Kingdom, 2024, acrylic on canvas, 100×100 cm
La forma ellittica del giardino, variante del paradeisos di antica origine iranica, ritorna sotto forma di isola flottante anche nel dipinto I am not afraid of God, I am afraid of man (2023), dove il motivo dell’uomo distruttore della natura è raffigurato attraverso l’allegoria della caccia con le figure della pantera ferita dalle frecce e del leone che sta per essere ucciso da un uomo con la pistola, citazione di una celebre fotografia che immortala Pierre Restany, critico d’arte e fondatore del Nouveau Realisme, durante la performance di Niki de Saint Phalle, First Shooting, 11 Impasse Roisin, Paris, 1961.
I Am not Afraid of God, I Am Afraid of Man, 2024, acrylic on canvas, 150×120 cm
Il contraltare di questo dipinto è When Nature Inevitably Fights Back (2023), che rappresenta la reazione dell’ecosistema all’azione antropica attraverso l’immagine di un leopardo che sta per aggredire un uomo, seduto all’interno di un edificio reso, come di consueto, alla maniera dei Primitivi italiani.
Non solo felini come il leone, il leopardo (Self Potrait at 25, 2024) e la tigre (Midnight Promenade, 2024), ma animali di ogni specie, perfino fantastici, popolano le tele di Preston. Soprattutto se le loro iconografie hanno precedenti nell’arte del Rinascimento, come nel caso di Self Potrait at 24 (2023), dipinto d’impostazione leonardesca[5] dove al tema della violenza, simbolizzato dal paesaggio oltre la finestra che evoca l’attentato newyorchese delle Twin Towers, si contrappone quello della purezza, incarnato nella figura del coniglio tenuto in braccio dall’artista, secondo stilemi precedenti che vanno dal piccolo ritratto intitolato Dama con conigliodi Ridolfo del Ghirlandaio (1508) al settecentesco Ritratto di giovane donna con coniglio di Rosalba Carriera.
Self Portrait at 24, 2023, acrylic on canvas, 60×51 cm
Invece, il Pegaso di 21st Century Parnassus (2023), un quadro che si direbbe uscito dalla fantasia di David Lynch, è evidentemente mutuato da quello che Andrea Mantegna pone accanto a Mercurio nella tempera del 1497 conservata al Louvre. Anche in questo caso, la citazione non sembra fine a sé stessa, dato che, secondo la mitologia, Pegaso, battendo il proprio zoccolo ha il potere di scongiurare le eruzioni vulcaniche e i cataclismi provocati dal canto delle Muse, oltre a quello di far scaturire la sorgente dell’Ippocrene che alimenta le cascate del Monte Elicona. Infatti, Pegaso non solo possiede il potere taumaturgico di riequilibrare le forze naturali, ma ne simboleggia anche la natura spirituale e la capacità di rovesciamento del male nel bene.
21st Century Parnassus, 2023, acrylic on canvas, 50×50 cm
Si può dire che Aniela Preston usi l’iconografia degli Old Masters come una sorta di vademecum simbolico che funziona tanto come un manuale di psicologia illustrata (più economico di una terapia psicanalitica e forse anche più efficace), quanto come un valido strumento d’interpretazione della realtà corrente.
Al centro di questa ermeneutica per immagini c’è la figura stessa dell’artista, chiave di volta che regge l’intera struttura della sua ricerca, un crocevia dove il vissuto personale incontra quello collettivo e generazionale, percorrendo il sottile filo che collega le morte stagioni e la presente e viva[6]. Come nell’emblematico dipinto intitolato Why Wouldn’t You Want Me (2024), dove sulla tradizione delle Veneri di Tiziano e Giorgione – una rêverie cui si sono abbandonati nel corso del tempo artisti come Rubens, Ingres e Manet – si innesta la memoria eidetica di My Bed di Tracey Emin, con quegli oggetti sparpagliati attorno al letto (il posacenere, il pacchetto di sigarette, la bottiglia, il bicchiere, il sacchetto di plastica e il box per cibo take away).
Why Wouldn’t You Want Me?, 2024, acrylic on canvas, 120×150 cm
Insomma, nelle tele di Aniela Preston passato e presente formano una specie di loop temporale, una dimensione illogica dove le architetture prospettiche del basso medioevo coesistono con le prese di corrente elettrica e le bifore inquadrano paesaggi formati da file di Elettrodotti ad alta tensione, ennesimo segno della compromissione delle bellezze naturali operata dell’uomo.
Midnight Promenade, 2024, acrylic on canvas, 120×150 cm
[1] Ricalcando il Mark Fisher di The Weird and The Eerie, si potrebbe definire quella di Aniela Preston una Pittura Hauntologica. Hauntology è un termine composto dalla crasi del verbo To Haunt (infestare, ossessionare) col sostantivo Ontology, che indica la disciplina filosofica che si occupa dello studio dell’Essere in quanto tale. Secondo tale definizione, possono essere definite hauntologiche quelle produzioni culturali che esercitano sul presente un potere infestante e spettrale.
[2] Retromania è il termine usato da Simon Reynolds, scrittore e critico musicale britannico, per definire l’ossessione per il passato che caratterizza diverse generazioni, incluse le più giovani.
[3] Juan Eduardo Cirlot, Dizionario dei simboli, 2021, Adelphi, Milano, p. 268.
[4] Juan Eduardo Cirlot, Op. cit., p. 476.
[5] L’impianto è grossomodo speculare a quello della Dama con ermellino (1488-90) del Museo di Cracovia.
[6] Giacomo Leopardi, L’infinito, Canti, 1831, Firenze.










