di Ivan Quaroni
Piazza Mimmo Paladino, 2025, acrilico su tela, 50×70 cm.
Come possano dialogare la grammatica pop di Giuseppe Veneziano e la Metafisica del pictor optimus è cosa facile da capire se si considera che nella pletora degli artisti influenzati da Giorgio De Chirico si può annoverare – oltre ai surrealisti Salvador Dalì, Max Ernst, Paul Delvaux e René Magritte – anche Andy Warhol. Il padre della Pop Art ammirava, infatti, il pittore italiano e lo considerava, in un certo senso, il precursore di quella tecnica che conferisce agli oggetti banali un nuovo statuto, elevandoli dalla sfera del quotidiano alla dimensione colta dell’arte. Nel 1982 Warhol realizzò una serie di opere ispirate a De Chirico, confluite nella mostra Warhol versus De Chirico, allestita nello stesso anno alla sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio a Roma e poi alla Galerie Kammer di Amburgo. Tra le opere di quel periodo ci sono anche i disegni Hector and Andromache e Furniture in the Valley ispirate a soggetti che De Chirico aveva ridipinto nel 1963.
Actarus e Adromaca, 2009, acrilico su tela, 100×72 cm.
Curiosamente, la versione originaria del 1917 di Ettore e Andromaca è stata anche la fonte di ispirazione di uno dei due dipinti metafisici di Giuseppe Veneziano che precedono la serie dedicata alle Piazze d’Italia. Si tratta di Actarus e Andromaca (2020), in cui l’artista fonde il mito classico con l’immaginario dei cartoni animati giapponesi (Atlas Ufo Robot di Go Nagai), operando uno dei suoi tipici mash-up iconografici.
L’enigma di Edipo, 2024, acrilico su tela, 100×70 cm.
L’altra opera è, invece, l’Enigma di Edipo (2024), in cui l’immagine della scultura della sfinge collocata sul plinto, presente nel dipinto originale di De Chirico, è sostituita dalla Edipo Lamp di Corrado Levi, oggetto di design ispirato al mito dell’accecamento del figlio di Laio e Giocasta. Nella logica compositiva della pittura di Veneziano, le tecniche di rielaborazione, distorsione e sostituzione di parte dell’iconografia artistica tradizionale hanno sempre giocato un ruolo fondamentale, spesso col proposito di innestare nella stabile composizione di un’opera classica (e spesso anche riconoscibile) la sua personale lettura del presente.
Piazza Michelangelo Pistoletto, 2025, acrilico su tela, 70×100 cm.
La nuova serie delle Piazze d’Italia non fa eccezione. Qui, i dipinti più apprezzati della produzione di De Chirico, quelli in cui l’artista compendia i caratteri dell’urbanistica italiana in una teoria di porticati e sculture classiche che gettano ombre lunghe sulle piazze vuote e silenziose in un limpido pomeriggio autunnale, diventano il pretesto per una riflessione sull’odierno concetto di fama e, insieme, un’occasione per fare di ogni quadro un doppio d’après, che, di volta in volta, inserisce nel ricorrente impianto della piazza dechirichiana, l’opera iconica di un diverso artista contemporaneo vivente. Se un tempo la fama era il risultato di un percorso lungo, spesso accidentato, e legato a un talento riconosciuto o a un’impresa straordinaria, oggi è diventata un bene legato alla visibilità, all’esposizione continua, alla capacità di stare al centro del palcoscenico mediatico, anche solo per un momento. Veneziano sostituisce le sculture classiche di Ariadne (o Arianna), le statue di Cavour e i monumenti equestri di Carlo Alberto di Savoia, con una teoria di iconiche opere contemporanee, che adombrano l’idea (ma anche la speranza) di un imminente adeguamento della toponomastica delle città italiane al nuovo pantheon di celebrities della società liquido-moderna. Se l’iter verso la notorietà è diventato più rapido, possiamo immaginare non solo che le opere degli artisti viventi possano più facilmente entrare a far parte dell’arredo urbano, ma che addirittura le piazze adottino il nome non solo di artisti scomparsi, ma anche di autori viventi come Maurizio Cattelan, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto e Marco Lodola.
Piazza Maurizio Cattelan, 2025, acrilico su tela, 60×80 cm.
Da pittore colto, narrativo, programmaticamente post-ideologico, Veneziano costruisce le sue Piazze d’Italia come un aggiornato atlante della visione, dove l’architettura metafisica è, allo stesso tempo, spazio mentale, dispositivo estetico e palcoscenico critico. Se per De Chirico la piazza è il teatro di un enigma esistenziale, una sorta di sospensione ontologica, per Veneziano è un deposito di stratificazioni semantiche, dove si sovrappongono codici passati e presenti e dove la storia e l’attualità si passano il testimone. Nella Metafisica Pop di Veneziano, però, non ci sono elementi nostalgici, né compiaciuti anacronismi, ma immagini metafisiche in dialogo con la diabolica fenomenologia delle arti contemporanee, in cui l’instagrammabilità dell’immagine sembra aver rimpiazzato i fondamenti estetici e concettuali dell’opera.
Piazza Alessandro Mendini, 2025, acrilico su tela, 40×30 cm.
Le sculture che prendono il posto delle statue classiche sono le più emblematiche del lavoro degli artisti evocati, quelle che hanno raggiunto una certa riconoscibilità mediatica. Ad esempio, in Piazza Maurizio Cattelan (2025), il famoso dito medio installato nel 2010 davanti alla Borsa di Milano, assume la monumentalità algida di un reperto post-contemporaneo, equidistante tanto dalla svettante ciminiera industriale sulla sinistra, quanto dall’edificio classicheggiante sulla destra (una sorta di prefigurazione dell’architettura postmoderna di Aldo Rossi). In Piazza Michelangelo Pistoletto campeggia –ovviamente – una versione extra-large della Venere degli Stracci, simile a quella installata nella Piazza del Municipio di Napoli, proditoriamente data alle fiamme da anonimi vandali e, poi, sostituita da una scultura falliforme di Gaetano Pesce.
Piazza Giuseppe Veneziano, 2025, acrilico su tela, 60×80 cm.
La Montagna di sale di Mimmo Paladino occupa il primo piano della rivisitazione di una delle opere fondative della Metafisica, L’enigma dell’ora (1911), dove sulla parete frontale del porticato, ispirato allo Spedale degli Innocenti e al Corridoio vasariano di Firenze, compare un orologio che segna cinque minuti alle 15, indicazione temporale che cristallizza “quella Stimmung del pomeriggio d’autunno, quando il cielo è chiaro e le ombre sono più lunghe che d’estate, perché il sole comincia ad essere più basso.”[1] Nell’opera, intitolata Piazza Mimmo Paladino, Veneziano organizza lo spazio antistante il porticato come un’area sacra, un recinto simbolico su cui sorge l’opera carica di suggestioni arcaiche di Paladino. Piazza Alessandro Mendini (2025) è, invece, un tributo al grande architetto e designer – unica eccezione alla teoria di piazze dedicate ad artisti non trapassati – dove protagonista è la versione monumentale della celebre Poltrona Proust, un oggetto progettato nel 1978 e poi divenuta una delle forme più iconiche dell’estetica postmodernista.
Piazza Marco Lodola, 2025, acrilico su tela, 30×40 cm.
Non manca, infine, l’autocitazione di Piazza Giuseppe Veneziano, dove l’artista siciliano installa la sua monumentale banana blu, esposta nella piazza principale di Pietrasanta nell’estate del 2021, un’opera che tra critiche e lodi, ha attirato una grande attenzione mediatica, suscitando un salutare confronto sulla forza comunicativa di un’arte pop monumentale. Con Piazze d’Italia, Giuseppe Veneziano afferma le possibilità di una pittura che sa offrire insieme una visione e un’analisi della contemporaneità. Una pittura che guarda al passato come una risorsa, non come un vincolo e che sa agire dentro il presente con gli strumenti della cultura visiva, della storia dell’arte e della consapevolezza critica.
Piazza Fabio Novembre, 2025, acrilico su tela, 40×60 cm.
[1] Giorgio De Chirico, Memorie della mia vita (1945-1962), 2002, Bompiani, Milano, pp. 73-74.










