di Ivan Quaroni
Scrivendo a proposito dell’evoluzione del concetto di mimesi nell’arte e della cosiddetta “rivoluzione greca”, che ebbe il merito di avviare un proficuo confronto con la realtà visibile, Ernst Gombrich avvertiva che “La natura non può essere imitata o «trascritta» se prima non è stata scomposta e ricomposta”[1]. Quello che il grande storico dell’arte viennese intendeva, era che il lavoro di mimesi non è solo un “lavoro di osservazione, ma piuttosto di sperimentazione incessante”[2]. Come probabilmente avrete sentito dire, se vi occupate di fatti artistici, si tratta di imitare la natura nella sua «essenza», più che nella forma esteriore. Una cosa che richiede molti sforzi da parte dell’artista e una non comune capacità di comprensione delle forme.
Nel Novecento l’evoluzione del concetto di mimesi ha dovuto scendere a patti con la dirompente affermazione dell’arte concettuale. Il corpo umano, assurto a modello di quell’evoluzione fino al Rinascimento ed oltre, ha oggi perso il suo primato. A sostituire quello che un tempo era considerato il più nobile dei soggetti sono state le cose, gli oggetti del quotidiano, anche quelli più umili e prosaici. Lo spazio ideale è stato sostituito dallo spazio concreto e materiale, un riflesso, forse, dell’affermazione del capitalismo e della società dei consumi e della conseguente desacralizzazione del corpo umano. Non c’è bisogno qui di ricapitolare la storia dell’oggetto in arte dall’invenzione del Ready Made duchampiano e degli Object trouvé surrealisti, fino alle rappresentazioni oggettuali della Pop Art e del Nouveau Réalisme. Basti sapere che l’orizzonte operativo nel quale si trova ad agire la giovane scultrice Valeria Vaccaro è, necessariamente, quello in cui la tradizione realistica e mimetica, che ha appunto le sue radici nella classicità greco-romana, si è ibridata con l’eredità avanguardistica del Novecento e con le tendenze odierne tendenze post-concettuali.
Ora, la sperimentazione incessante di cui necessita, secondo Gombrich, l’arte dell’imitazione del vero, è certamente un tratto saliente del lavoro dell’artista torinese, che dopo le prime prove con materiali come carta, cera e plastica, ha sviluppato un linguaggio distintivo, capace di coniugare la durevole monumentalità del marmo – suo materiale prediletto – con temi apparentemente antitetici quali la fragilità, la metamorfosi e la transitorietà delle forme. Tutti i suoi lavori – dai Marmiferi ad Aver Cuore, da Urban Platform a Handle With Care, da Tree of Life a Non Brucio, fino alla nuova e inedita serie intitolata Controsenso – hanno in comune la fascinazione per il fuoco, elemento presente fin dall’inizio nel processo creativo di Valeria Vaccaro. Infatti, si può dire che l’immagine del fuoco a cui allude il titolo della mostra, pretestuosamente preso in prestito da un celebre lungometraggio di David Lynch, attraversa tutta la sua produzione plastica, assumendo di volta in volta significati che si organizzano attorno a coppie di concetti divergenti – come distruzione e rinascita, permanenza e impermanenza, solidità e fragilità – che permettono all’osservatore di avviare una riflessione sulla natura contraddittoria dell’esistenza.
Controsenso 1, 2024, marmo bianco di Carrara, inchiostri e corda elastica, 82x50x45 cm
Attraverso la mimesi degli effetti distruttivi (e rigenerativi) del fuoco – bruciature, combustioni e incenerimenti che marchiano le supposte superfici lignee, in realtà simulate col marmo -, l’artista reintroduce nella tradizione realistica della scultura il potere vivificante del simbolo. Vaccaro, infatti, non si arrende alla mera riproduzione del banale. Cioè non si limita a riprodurre l’oggetto comune col marmo, per il gusto di innescare un piacevole inganno ottico e tattile (un gioco, tutto sommato, di breve durata). Nel suo caso, il ricorso alla simbologia ignea è un fattore che esubera il concetto di imitazione. Perché mai insistere sull’effetto combusto di una tavola lignea, magari quella di uno degli imballaggi o dei pallet meticolosamente rifatti dall’artista nelle serie Handle with Care e Urban Platform usando la più bella (e costosa) pietra di Carrara? Perché incaponirsi a sottolineare il potere metaforico della vampa nelle opere (e parole) dei cicli Aver Cuore e Non brucio, nonché nelle limpide metafore dei Marmiferi o nelle giocose formelle ad incastro di Tree of Life? Perché, infine, reiterare il marchio indelebile della fiamma perfino nella nuova serie Controsenso, che accantona la riproduzione oggettuale per approdare alla forma astratta?
Handle with Care, installazione, 2024, marmo bianco di Carrara e inchiostri, dimensioni variabili
La mia impressione è che la scoperta tecnica che ha permesso all’artista di ricreare l’effetto del legno combusto su una superfice marmorea si sia tramutata in una sorta di ossessione formale e, insieme, in uno strumento per interpretare la complessità del reale e la sua natura caduca e incongruente. L’esempio più eloquente è appunto quello dei Marmiferi, sculture in forma di zolfanelli sovradimensionati, che richiamano la simbologia del Tempus fugit. Sono moderne nature morte che traducono nella dimensione oggettuale il senso del monito biblico dell’Ecclesiaste, quel Vanitas vanitatum et omnia vanitas che è, in realtà, il calco latino della locuzione ebraica Havel havalim hakol havel (Vanità delle vanità, tutto è vanità).
Poste, infatti, in sequenza, queste sculture mostrano il grado progressivo di strinatura dei fiammiferi, innescando in chi le guarda una riflessione sulla intrinseca transitorietà di tutte le cose. Paradossalmente, la scelta di usare il marmo per rappresentare un oggetto destinato alla distruzione, tradisce la volontà, da parte dell’artista, non tanto di rendere durevole ciò che è impermanente, quanto di illustrare un altro aspetto della simbologia ignea, legato al concetto di rigenerazione. Infatti, secondo Juan Eduardo Cirliot, compilatore di una celebre summa simbolica, “Gli alchimisti conservano in particolare il significato che al fuoco attribuiva Eraclito, come «agente di trasformazione», poiché tutte le cose nascono dal fuoco e vi fanno ritorno”[3]. Per lo scrittore spagnolo, “In questo ruolo di mediatore fra le forme in via di sparizione e le forme in via di creazione, il fuoco è simile all’acqua, simbolo di trasformazione e rigenerazione”[4].
Questa accezione può riguardare, in verità, molte delle opere di Valeria Vaccaro, incluse quelle appartenenti alle serie Handle with Care e Urban Platform, dove, però, la riflessione su distruzione e rigenerazione assume un carattere più critico. Qui le infrastrutture effimere dell’industria logistica, le casse d’imballaggio e i bancali danneggiati dal fuoco, e che presto dovranno essere sostituiti, mostrano il punto debole del sistema capitalistico, l’infinito ciclo di fabbricazione e demolizione della merce, che finisce inevitabilmente per esaurire le risorse naturali o alterare gli equilibri ambientali del pianeta.
Marmiferi, 2024, marmo bianco di Carrara e inchiostri, 6x6x65 cm cad.1 (particolare)
Peraltro, un segno della sensibilità ambientalista dell’artista si legge, in filigrana, anche in Tree of Life, la serie che richiama i giochi ad incastro in legno per bambini, ninnoli creativi (e rigorosamente ecologici) che ricordano quelli distribuiti da una famosa catena di negozi italiani ispirata ai principii della pedagogia. Queste sculture hanno la foggia di sezioni di tronco d’albero da cui sono ricavate sagome geometriche elementari o a forma di cuore, stella, croce e falce di luna che il bambino deve suppostamente associare alle matrici originarie, allenando, così, la propria intelligenza plastica.
Anche in queste opere, il processo di lavorazione del marmo da parte di Vaccaro è di straordinaria sofisticazione. L’artista adotta tecniche scultorie tradizionali e avanzate per simulare la texture delle superfici lignee o per ottenere effetti di bruciatura straordinariamente realistici. Maneggia sapientemente flessibili, mole, molette e frese con cui sgrossa, sagoma e leviga la materia lapidea, che poi rifinisce con l’uso di inchiostri e altri trattamenti superficiali per creare l’illusione che si tratti di oggetti fatti di legno combusto, piuttosto che di prezioso marmo carrarese.
Non brucio, 2024, marmo bianco di Carrara e inchiostri 20x20x6 cm cad
Questa perizia si ritrova anche nelle serie Aver Cuore e Non brucio, composizioni plastiche in cui lo spirito delle ricerche verbo-visuali degli anni Sessanta rivive nel recupero del significante, ossia dei grafemi e dei caratteri tipografici con cui l’artista scolpisce le suddette frasi. In entrambe le serie, Vaccaro interpreta il fuoco come strumento di trasformazione emotiva e spirituale. Infatti, se Aver Cuore è un’espressione idiomatica che indica i sentimenti di forza e coraggio che permettono di affrontare situazioni difficili, Non brucio è una sentenza che adombra la vampa invisibile delle metamorfosi interiori, di cui si trova traccia – secondo il filosofo e studioso delle religioni Mircea Eliade – nei racconti popolari che “conservano il ricordo di uno scenario mitico-rituale in cui il fuoco svolgeva il ruolo di prova iniziatica ed era, allo stesso tempo, agente di purificazione e di trasmutazione”[5].
Tree of Life, 2024, marmo bianco di Carrara, inchiostri, forex, 215x215x6 cm
Nei nuovi lavori di Valeria Vaccaro, invece, la simbologia ignea è associata non più alla forma di oggetti riconoscibili, come era stato nel caso di tutte le serie precedenti, ma a una dimensione puramente materiale, che potremmo definire aniconica. Le opere marmoree del ciclo Controsenso, infatti, hanno l’aspetto di pannelli curvilinei composti da traverse orizzontali di legno combusto. Spesso sono accoppiati a formare curve divergenti, giuntate nel punto di tangenza in modo da ottenere un equilibrio statico. Si tratta di oggetti che non alludono più ad alcuna funzione d’uso, superfici che si offrono allo sguardo come puri pattern, diagrammi di venature legnose che sfumano in schemi astratti, favorendo, così, la contemplazione degli effetti trasformativi del fuoco, elemento ambivalente in cui si annida il segreto rigenerativo dell’universo. Ossia, la sua sostanziale impermanenza, elemento che spesso identifichiamo come principale causa della nostra sofferenza. Anche se, come avvertiva il monaco buddista Thich Nhat Hanh, “Quel che [realmente] ci fa star male è desiderare che le cose siano permanenti quando non lo sono”[6].
Controsenso, 2024, marmo bianco di Carrara e inchiostri 82x50x25 cm (particolare)
[1] Ernst H. Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, Traduzione di Renzo Federici, 1965, Einaudi, Torino, pp.174-175.
[2] Ibid.
[3] Juan Eduardo Cirliot, Dizionario dei simboli, Traduzione di Maria Nicola, 2021, Adelphi, Milano, p. 217.
[4] Ibid.
[5] Mircea Eliade, Arti del metallo e Alchimia, Traduzione di Francesco Sircana, 1991, Bollati Boringhieri, Torino, p. 94.
[6] Pema Chödrön, Come viviamo, così moriamo, a cura di Joseph Waxman, Traduzione di Teresa Albanese, 2023, Ubiliber, Roma, p. 23.
VALERIA VACCARO. FUOCO CAMMINA CON ME
a cura di Ivan Quaroni,
PUNTO SULL’ARTE, viale Sant’Antonio 59/61, 21100 Varese
30 Novembre – 21 Dicembre 2024 Sabato 30 Novembre 2024
h. 11:00-13:00
+39 0332 320990 – info@puntosullarte.it






























