L’investimento emotivo nel processo concettuale
di Ivan Quaroni

Le opere Cathexis 33 e Cathexis 34 di Joseph Kosuth vengono installate alla Galleria L’Incontro di Chiari
Joseph Kosuth appartiene alla generazione di artisti che hanno trasformato l’arte in un terreno di riflessione teorica, dove la forma non è più il fine ma il tramite di un pensiero. Nato a Toledo, in Ohio, nel 1945, studia al Cleveland Institute of Art, poi alla School of Visual Arts e alla New School for Social Research di New York, città che diventa il teatro della sua maturazione intellettuale. In quegli anni studia Ludwig Wittgenstein, Sigmund Freud e Platone, che diventeranno riferimenti costanti del suo universo concettuale. La sua formazione si svolge all’interno di un ambiente culturale in cui il linguaggio stesso inizia a essere percepito come un materiale plastico, capace di costituire l’opera in sé. Fin dai primi anni Sessanta Kosuth lavora per spostare l’attenzione dal manufatto all’atto cognitivo che lo produce. “A partire dall’influenza fondamentale di Duchamp (mediata da Morris e Johns)”, scrive Francesco Poli, “Kosuth arriva alla conclusione che «essere artista oggi significa mettere in questione la natura dell’arte»: con i ready made non assistiti, l’arte ha cambiato il suo obiettivo dalla forma del linguaggio a ciò che viene detto; questo cambio dall’apparenza alla concezione è da considerarsi, secondo lui, come l’inizio dell’Arte Concettuale”[1]. Da questo genere di riflessione nascono le cosiddette Proto-Investigations, opere che portano alle estreme conseguenze l’intuizione del Magritte di La trahison des images, o Ceci n’est pas une pipe (1929). Come nel caso della celebre One and Three Chairs del 1965, in cui la realtà dell’oggetto, la sua immagine e la definizione linguistica si ritrovano nello stesso spazio. Dello stesso anno è anche Clear, Square, Glass, Leaning (1965), dove l’artista utilizza lastre di vetro serigrafate con le parole del titolo, trasformando il linguaggio in struttura portante. Tra il 1966 e il 1967 realizza la serie Art as Idea as Idea, costituita da ingrandimenti fotografici che riproducono in negativo, con testo bianco su fondo nero, definizioni di vocabolario proposte come forma d’arte. In questi lavori, l’opera diventa un esperimento che si svolge nel campo semantico e non in quello della rappresentazione.
Nel 1967 Kosuth fonda a New York la Lannis Gallery (poi rinominata Museum of Normal Art), uno spazio in cui sperimentare nuovi modelli espositivi e ospitare la nascente Arte Concettuale. L’anno seguente partecipa alle prime mostre collettive dedicate a questa tendenza, e nel 1969 pubblica il testo Art after Philosophy, dove definisce l’arte come una forma di conoscenza, attribuendo al linguaggio un ruolo generativo, non illustrativo. Si consuma, così, il superamento dell’idea, diffusa in quel periodo, della “dematerializzazione dell’arte” a favore di un approccio legato alla Logica e alla Filosofia del linguaggio.
Le opere dei tardi anni Sessanta e degli anni Settanta – dalle installazioni al neon alle serie basate sulla traduzione e la ripetizione – sviluppano un metodo che, appunto, unisce filosofia, antropologia e critica d’arte, sviluppando una concezione dell’opera come strumento di analisi dei codici culturali. Nel decennio successivo, Kosuth amplia la propria indagine e introduce elementi legati alla psicoanalisi. Tra il 1980 e il 1981 avvia la serie Cathexis, titolo che riprende, traducendolo in inglese, il concetto freudiano di Besetzung, ossia l’investimento di energia psichica, emotiva e libidica su un oggetto, un’immagine o un pensiero. Questo termine, che deriva dal greco antico Kathexis, (“ritenzione”, “trattenimento”), viene usato dall’artista per segnare un’ulteriore evoluzione della sua ricerca. La serie, infatti, non si limita più alla riflessione sul ruolo del linguaggio, ma analizza il modo in cui esso genera legami affettivi e cognitivi. Kosuth usa grandi fotografie di opere di maestri antichi, spesso capovolte, contrassegnate da segni colorati e accompagnate da testi che spostano l’attenzione dal soggetto rappresentato al processo di attribuzione di senso. Il risultato è un dispositivo che unisce immagine e parola in un unico campo percettivo, dove l’atto di guardare coincide con l’atto di interpretare. L’immagine storica diventa superficie di proiezione psichica, mentre la scrittura introduce una tensione analitica che stimola lo spettatore a riconoscere il proprio coinvolgimento. L’opera non si presenta più come oggetto autonomo, ma come punto d’incontro tra percezione, memoria e pensiero, un luogo in cui la cultura visiva si carica di energia simbolica.
La serie Cathexis viene presentata per la prima volta in Europa tra il 1981 e il 1982, in concomitanza con la settima edizione di Documenta a Kassel, curata da Rudi Fuchs, in un momento storico in cui la pittura riconquista il centro della scena artistica internazionale con movimenti come La Transavanguardia italiana e i Neue Wildentedeschi. Mentre molti artisti rielaborano l’immagine figurativa, soprattutto in senso neoespressionistico, Kosuth ne esamina la struttura, utilizzando la fotografia per indagare la persistenza dell’aura pittorica. Le sue fotografie alterate con scritte e interventi di colori funzionano come schermi concettuali. Le “X” che attraversano la superficie indicano un punto d’attenzione, un nodo di energia mentale, un luogo in cui lo sguardo si concentra. Tra le varianti più significative del ciclo vi sono le due opere qui presentate, Cathexis 33 e Cathexis 34, entrambe del 1981, recentemente acquisite dalla galleria L’Incontro di Chiari. I due lavori, di identico formato (202×262 cm), sono grandi stampe fotografiche alterate con interventi di colore e accompagnate da testi in lingua inglese. Le opere sono state esposte alla mostra Atto I, Opere scelte nello Spazio Erasmus Brera di Milano nel 1999 e alla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 2020, in occasione della mostra La rivoluzione siamo noi. Collezionismo italiano contemporaneo, e sono pubblicate nei relativi cataloghi curati da Gianni Romano e Alberto Fiz. Una delle due opere, Cathexis 33, compare anche nel catalogo della mostra presso le Mura Aureliane di Roma Avanguardia Transavanguardia curata da Achille Bonito Oliva nel 1982.
Entrambe le fotografie riprendono la superficie di una cassa realizzata dalla Galleria degli Uffizi di Firenze per il trasporto de Il giudizio di Salomone (1502-05) di Giorgione, con due diversi dettagli marginali ma carichi di significato, perché segnano il punto di contatto tra l’opera storica e la sua sopravvivenza materiale. Kosuth riflette, dunque, sulla trasmissione culturale, sulla memoria visiva e sul sistema di circolazione delle opere, anche attraverso le scritte che, didascalicamente, accompagnano l’immagine fotografica.
Giorgione, Il giudizio di Salomone, 1502-1505 circa, olio su tavola, 89×72 cm, Uffizi, Firenze
In Cathexis 33, la frase “That which presents itself…”[2] introduce una meditazione sulla percezione. L’immagine che appare come un tutto è soltanto un frammento di un sistema più vasto, inaccessibile perché lo spettatore vi è già immerso. L’opera indica che la conoscenza è un’esperienza parziale, situata dentro un orizzonte che non può essere completamente osservato. Mentre, in Cathexis 34, la frase “To suggest a recognition of limits …”[3] sposta il discorso sulla funzione del limite come strumento di ampliamento semantico. Il riconoscimento di una soglia genera una consapevolezza più ampia, poiché definire un confine equivale a renderlo produttivo.
Con queste opere lo spettatore si trova di fronte a una superficie che riflette la sua stessa attività mentale. Il linguaggio, la fotografia e il colore costruiscono un campo di pensiero, in cui ogni elemento è portatore di energia, o, per dirla con Freud, di una catessi che muove dal desiderio e dalla pulsione di conoscenza. In un senso più ampio, Kosuth mostra anche che ogni opera è, in effetti, un investimento affettivo e cognitivo, un atto di attenzione che lega l’artista e lo spettatore attraverso il linguaggio.
Gianni Romano, invece, sottolinea il fatto che “Cathexis […]; in sé potrebbe già essere una traccia sufficiente a documentare, fissare il momento, obbedire agli enunciati dei canoni fotografici tradizionali, ma [che] è tipico della fotografia concettuale di questo periodo conservare le connotazioni figurative tradizionali capovolgendone le finalità, lasciando intendere senza mezzi termini che questo tipo di lavoro è l’ennesima riflessione sull’arte…”[4].
Eppure, nella ricerca di Kosuth, Cathexis rappresenta anche qualcosa di ulteriore, un punto di equilibrio tra l’indagine sul linguaggio e una nuova consapevolezza del potere pulsionale e affettivo della parola. È l’ingresso in una dimensione inedita, in cui il pensiero non si limita a costruire concetti, ma entra finalmente nel territorio delle emozioni e dei legami simbolici.
[1] Francesco Poli, Minimalismo, Arte Povera, Arte Concettuale, 1995, Editori Laterza, Roma-Bari, p. 159.
[2] “That which presents itself, here, as a whole can only be recognized as a part of something larger (a ‘picture’ out of view), yet too inaccessible for you to find the location (a ‘construction’ which has just included you)”. Traduzione italiana: “Ciò che qui si presenta come un tutto può essere riconosciuto soltanto come parte di qualcosa di più ampio (un’«immagine» fuori dal campo visivo), ma troppo inaccessibile perché tu possa rintracciarne la collocazione (una «costruzione» che ti ha appena incluso)”.
[3] “To suggest a recognition of limits is to provide more (this ‘picture’ that ‘meaning’) than another construction, also here before you, which can be seen as being inside an order or outside a location”. Traduzione italiana: “Suggerire un riconoscimento dei limiti significa offrire di più (questa «immagine» che quel «significato») di un’altra costruzione, anch’essa qui, davanti a te, che può essere considerata come appartenente a un ordine o situata fuori da un luogo”.
[4] Gianni Romano, in Atto I, Opere scelte, 6 maggio – 30 giugno 1999, Spazio Erasmus Brera, Milano.
Galleria L’Incontro, Chiari
Sabato 13 dicembre, ore 17.00
Presentazione di Cathexis 33 e 34
a cura di Ivan Quaroni







