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Waone – Interesni Kazki. Weird Tales

19 Ott

ENGLISH TEXT BELOW

di Ivan Quaroni

 

“Il sogno è la forma nella quale ogni creatura vivente possiede il diritto al genio, alle sue strane immaginazioni, alle sue magnifiche stravanganze.”
(Jean Cocteau)

 

Waone -Vladimir Manzhos, Spiral of life, 2017, acrylic on linen, 120x150 cm

Spiral of life, 2017, acrylic on linen, 120×150 cm

Weird Tales era una rivista americana che tra il 1923 e il 1954 pubblicò i racconti horror e fantascientifici di autori di culto come H.P. Lovecraft, Ray Bradbury, Richard Matheson e Fritz Lieber. Uno degli elementi più caratteristici del pulp magazine era l’accattivante stile grafico delle copertine, basato su un miscuglio di mistero e meraviglia, di esotismo e sottile feticismo. Uno stile che avrebbe fatto scuola nell’editoria alternativa ma che, in verità, non ha molto a che vedere con il linguaggio grafico del pittore e muralista ucraino Waone. Eppure, non stupisce che l’artista (all’anagrafe Vladimir Manzhos) abbia scelto d’intitolare la sua mostra come la storica rivista.

La questione, infatti, non riguarda la vicinanza di stile, ma piuttosto l’interesse per un certo tipo di racconto. Weird è, infatti, un aggettivo che ha molti significati: vuol dire strano e bizzarro, stravagante e illogico, ma anche magico, soprannaturale, misterioso e arcano. Insomma, descrive perfettamente le opere di Waone, anche se non sono pulp.

Ma c’è dell’altro: l’attitudine narrativa e la tensione verso il racconto sono sempre state caratteristiche della pittura di Waone fin dai tempi in cui faceva “artisticamente” coppia con l’amico AEC (Aleksei Bordusov) nel duo denominato Interesni Kazki che – guarda caso – in ucraino significa “fiabe interessanti”. Dunque si può dire che i “racconti bizzarri” di oggi siano l’evoluzione delle “fiabe interessanti” di ieri. In fondo, sempre di storie si tratta. E, a proposito di storie, quella di Waone è piuttosto interessante (e bizzarra).

Autodidatta, ma cresciuto in una famiglia di appassionati d’arte – il padre era collezionista d’icone ortodosse – l’artista dimostra fin dalla tenera età un’autentica passione per il disegno. Il suo nome deriva da Vavan, diminutivo di Vladimir, ma traslitterato nell’inglese Wa-One che fa l’occhiolino alla cultura urbana del rap e dei graffiti. Waone esordisce a Kiev nel 1999 come writer, ma già nel 2003 abbandona il bombing sui treni e lo stile hip hop del lettering per eseguire murali caratterizzati da una forte impronta visionaria e narrativa.

Beta_to_Alpha_transition

Beta to Alpha Transition

Nel 2005 fonda il duo Intersni Kazki con Aec, con cui condivide l’interesse per la narrazione visiva e la simbologia esoterica. Nell’arco di poco più di dieci anni, i due realizzano grandi murali in Europa, Russia, India, Messico e Stati Uniti. Waone e Aec non dipingono a quattro mani. Ognuno esegue la sua parte di dipinto, ma entrambi sono chiaramente influenzati dalla “linea chiara” del fumetto franco-belga e traducono le immagini dell’inconscio in coloratissimi racconti pieni di riferimenti alla fantascienza e alla numerologia, alla cosmologia e al folclore, al mito e alla magia.

Quando nel 2016 il duo si scioglie, Waone inizia a elaborare un linguaggio caratterizzato da un elegante e dettagliatissimo linearismo. Dopo l’esecuzione di Matter: Changing States, un grande murale eseguito a Kerala, in India, il bianco e nero diventa uno dei tratti inconfondibili del suo stile, anche se, parallelamente, continuerà a dipingere con una tavolozza di colori brillanti.

Curiosamente, gli artisti che hanno influenzato l’universo visivo di Waone non appartengono al mondo dei graffiti. Non stupisce, infatti, che lui stesso preferisca considerarsi un muralista, più che uno street artist. Tant’è che suoi numi tutelari sono personaggi come il francese Moebius (alias Jean Giraud) e l’americano Robert Crumb, il primo inventore di un universo fantastico e futuribile, il secondo deus ex-machina del fumetto psichedelico americano. Oltre a questi, Waone ha attinto da una pletora di artisti del passato, come il pittore neoclassico Jean-Baptiste Debret coi suoi paesaggi del Brasile coloniale, e l’incisore Johann Theodore De Bry con le sue descrizioni dei massacri degli indigeni nelle Americhe, oppure illustratori contemporanei come Mati Klarwein – quello della celebre copertina di Bitches Brew di Miles Davis – e Walton Ford. Eppure, a plasmare profondamente l’immaginario fantastico di Waone è stato soprattutto il surrealismo di Salvador Dalì. “Il surrealismo è una visione del mondo”, raccontava qualche anno fa in un’intervista, “[…] una specie di realtà immaginata attraverso i simboli”.

Waone - Vladimir Manzhos, The seed of good ideas, 2017, acrylic on linen, 80x80 cm

The seed of good ideas, 2017, acrylic on linen, 80×80 cm

E, infatti, i suoi lavori sono costellati d’immagini allegoriche e sognanti, in cui si fondono le più diverse tradizioni spirituali con le scoperte della fisica quantistica, i riferimenti al mito e al folclore con la descrizione di scenari naturali e cosmologici. Un mix iconografico che è anche il prodotto del melting-pot culturale e cosmopolita vissuto durante i dieci anni di viaggi in giro per il mondo a dipingere murales. Un dipinto come Magician of Maghreb, ad esempio, mescola gli incantatori di serpenti di Marrakech con i derviches tourners di Konya in una visione neo-orientalista da Mille e una notte. D’altro canto, Dionis in high boat è un sogno metafisico che incrocia i motivi della mitologia greca con le intuizioni grafiche di Moebius e perfino di Hokusai. Invece, sembra un universo parallelo, modificato dalle leggi della fisica subatomica, quello descritto in Beta to Alpha Transition e in To the End of Time.

Ogni quadro è un magma denso di figure e immagini che si conformano al linguaggio aleatorio delle leggende e alla bislacca grammatica delle fiabe, sottraendosi a ogni lettura logica e lineare. Le storie dipinte da Waone non obbediscono alle regole classiche della narrazione, ma nemmeno cedono al caos irrazionale dello stream of consciousness.

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Dionis in Hi Boat

Per il muralista ucraino lo scopo dell’arte, quella vera, dovrebbe essere di trasformare le più alte intuizioni divine in una forma visiva comprensibile a tutti. È un’idea, quella dell’artista pontifex, capace di collegare l’alto col basso, la sfera spirituale con quella terrena, che sarebbe piaciuta molto a studiosi tradizionalisti come Pavel Florenskij e Ananda Coomaraswamy. Un’idea che, tra l’altro, spiega come mai i dipinti di Waone siano così pieni di allusioni magiche ed esoteriche e così spesso popolati di personificazioni delle forze naturali.

Nelle opere di Weird Tales sono, in fondo, riassunti tutti i motivi della pittura di Waone. Ci sono, ad esempio, le scatole cubiche che ricordano i quadrati magici rinascimentali (Spiral of life, The Planetary Motion e To the End of Time), ma anche i planisferi in miniatura e i portali celesti che aprono varchi spazio-temporali verso altre dimensioni. Ci sono le grandi teste barbute che fuoriescono dalla terra, come personificazioni dello spirito del pianeta, e ci sono le gabbie dorate che imprigionano l’uomo (Prisoned Mind) e, infine, i libri sapienziali che liberano il pensiero, spingendolo a indagare la dimensione dell’ignoto (Untitled e ancora Beta To Alpha Transition).

Come l’Italo Calvino del metaromanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, Waone ha inventato un dispositivo narrativo aperto, una specie di meta-pittura che non riflette più solo il mondo interiore dell’artista, ma che diventa, allo stesso tempo, lo schermo in cui l’osservatore è invitato a proiettare le proprie interpretazioni. L’artista usa la propria immaginazione attiva come chiave per dipingere da una prospettiva più ampia di quella strettamente biografica. Insomma, adotta una visione – come direbbe Alejandro Jodorowsky – “che permette di mettere a fuoco la vita dai punti di vista che non sono i nostri e di pensare e sentire partendo da prospettive diverse”. Con la sua pittura, in cui riecheggiano la spiritualità e il folclore di diversi popoli, Waone dimostra di aver definitivamente superato l’esasperato soggettivismo dei surrealisti e aver compreso che la pittura fantastica oggi deve fare i conti con la cultura cosmopolita del mondo contemporaneo. Perché è nella ricchissima e composita varietà di tradizioni e culture che separano un continente dall’altro che l’artista ucraino troverà altre fiabe interessanti da raccontare.


Info:

WAONE – Interesni Kazki | Weird Tales
a cura di Ivan Quaroni
Dal 13 ottobre al 18 novembre 2017
Antonio Colombo Arte Contemporanea
Via Solferino 44 – 20121 Milano –
Tel/Fax 02.29060171 – info@colomboarte.com 
Orari di apertura: da martedì a venerdì dalla ore 10.00 alle 13.00 e dalle15.00 alle 19.00 – sabato dalle ore 15.00 alle ore 19.00


ENGLISH TEXT

Weird Tales was an American magazine that published tales of horror and science fiction from 1923 to 1954, by cult authors like H.P. Lovecraft, Ray Bradbury, Richard Matheson and Fritz Leiber. One of the most characteristic features of this pulp magazine was the compelling graphic style of the covers, based on a mixture of mystery and marvel, exotica and subtle fetishism. A style that set the pace for alternative publishing, but one that does not actually have much to do with the graphic language of the Ukrainian painter and muralist Waone. In spite of this fact, it should still come as no surprise that the artist (whose real name is Vladimir Manzhos) has decided to use this title for his exhibition.

It is not a matter of similarities of style, but a question of interest in a certain type of story. Weird is an adjective that has many meanings: strange or bizarre, wild or illogical, but also magical, supernatural, mysterious, arcane. In short, the perfect adjective for Waone’s works, though they are not “pulp.”

And there’s more: the narrative attitude, the focus on storytelling, have always been characteristics of Waone’s painting, ever since the days in which he formed an “artistic” couple with his friend Aec (Aleksei Bordusov) in the duo known as Interesni Kazki which – as a matter of fact – means “interesting fables” in Ukrainian. So we might say that the “weird tales” of today are the evolution of the “interesting fables” of yesterday. In the end, it is all about stories. And speaking of stories, the tale of Waone himself is also quite interesting (and weird).

Self-taught but raised in a family of art lovers – his father was a collector of orthodox icons – at an early age the artist revealed a true passion for drawing. His name comes from Vavan, a nickname for Vladimir, but has been transcribed into the English Wa-One, with a wink at the urban culture of rap and graffiti. Waone made his debut in Kiev in 1999 as a writer, but already in 2003 he had given up train bombing and hip-hop lettering in favor of murals marked by a forceful, visionary narrative thrust.

In 2005 he formed the duo Intersni Kazki with Aec, with whom he shares an interest in visual narration and esoteric symbolism. In a span of little more than ten years, the two made large murals in Europe, Russia, India, Mexico and the United States. Waone and Aec do not paint together. Each one does his own part of the painting, but they are both clearly influenced by the “ligne claire” of French and Belgian comics, translating images from the unconscious into very colorful tales full of references to science fiction and numerology, cosmology and folklore, myth and magic.

When the duo split in 2016, Waone began to develop a language based on an elegant and finely detailed linear approach. After the making of Matter: Changing States, a large mural done at Kerala, in India, black and white became one of the earmarks of his style, though in parallel he continues to paint with a palette of bright colors.

Curiously, the artists that have influenced the visual universe of Waone do not belong to the world of graffiti. And it should come as no surprise that he prefers to think of himself as a muralist rather than a street artist. His tutelary deities are figures like the French artist Moebius (alias Jean Giraud) and the American Robert Crumb, the former an inventor of a fantastic futuristic universe, the latter deus ex machina of American psychedelic comics. Besides these, Waone has been influenced by many other artists of the past, from the neoclassical painter Jean-Baptiste Debret with his landscapes of colonial Brazil, to the engraver Johann Theodor de Bry with his descriptions of the massacres of natives in the Americas, or contemporary illustrators like Mati Klarwein – creator of the famous cover of Bitches Brew by Miles Davis – and Walton Ford. Nevertheless, the deepest shaping of the fantastic imaginary of Waone was done by the Surrealism of Salvador Dalí. “Surrealism is a vision of the world,” he said a few years ago in an interview, “[…] a sort of reality imagined through symbols.”

His works are studded with allegorical and dreamy images, blending a wide range of spiritual traditions with the discoveries of quantum mechanics, references to myths and folklore, the description of natural and cosmological scenarios. An iconographic mixture that is also the product of the cultural and cosmopolitan melting pot he experienced during ten years of travels around the world to make murals. A painting like Magician of Maghreb, for example, mixes snake charmers from Marrakech with whirling dervishes of Konya in a neo-orientalist 1001 Nights vision. Elsewhere, Dionis in High Boat is a metaphysical dream that crosses motifs of Greek mythology with the graphic intuitions of Moebius and even of Hokusai. Instead, what is described in Beta to Alpha Transition and To the End of Time seems like a parallel universe, modified by the laws of subatomic physics.

Each painting is a dense magma of figures and images that comply with the random language of legends and the quirky grammar of fables, defying any logical, linear interpretation. The stories painted by Waone do not obey the classic rules of narrative, but neither do they yield to the irrational chaos of a stream of consciousness.

For the Ukrainian muralist the purpose of art – true art – should be to transform the loftiest divine intuitions into visual form that can be understood by all. An idea of the artist as pontifex, capable of connecting high and low, the spiritual and earthly spheres, that would have appealed to traditionalist scholars like Pavel Florensky and Ananda Coomaraswamy. An idea that also explains why Waone’s paintings are so full of magical and esoteric allusions, and so often feature personifications of natural forces.

The works of Weird Tales basically sum up all the motifs of Waone’s art. For example, there are the cubical boxes that remind us of Renaissance magic squares (Spiral of Life, The Planetary Motion and To the End of Time), but also miniature planispheres and heavenly gates that open space-time passages towards other dimensions. There are the large bearded heads that emerge from the ground, like personifications of the spirit of the planet, the gilded cages that imprison man (Prisoned Mind) and, finally, the books of wisdom that free the mind, urging it to investigate the dimension of the unknown (Untitled and Beta To Alpha Transition).

Like Italo Calvino in the meta-novel If on a Winter’s Night a Traveler, Waone has invented an open narrative device, a sort of meta-painting that no longer reflects only the inner world of the artist, but at the same time becomes the screen on which the observer is invited to project his own interpretations. The artist uses his active imagination as the key to paint a perspective much wider than that of strictly biographical concerns. In short, he adopts a vision – as Alejandro Jodorowsky would say – “that makes it possible to put life into focus from points of view that are not ours, and to think and feel starting from different perspectives.” With his painting filled with echoes of the spirituality and folklore of various peoples, Waone demonstrates that he has gotten definitively beyond the extreme subjectivism of the Surrealists, having understood that fantasy painting today has to come to terms with the cosmopolitan culture of the contemporary world. Because it is in the very rich and composite variety of traditions and cultures that separate one continent from the next that the Ukrainian artist will find other interesting fables to be told.

 

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Ryan Heshka. Una Storia fantastica del Canada

14 Mar

di Ivan Quaroni

Si sa, la vita e l’arte sono strettamente legate, perfino quando quest’ultima sembra solo il parto di una fantasia scatenata. Prendete il caso dell’artista canadese Ryan Heshka: quarantaquattro anni, con una laurea in Interior Design e un passato di animatore e d’illustratore per famose riviste come Vanity Fair, Wall Street Journal, New York Times, Forbes, Playboy ed Esquire. Citato nei principali annuali d’illustrazione americani, e con all’attivo la pubblicazione di ben tre libri per bambini tradotti in diverse lingue, Ryan Heshka, ancor prima di darsi anima e corpo all’arte, aveva già sviluppato la sua personalissima visione fantastica, influenzata da fumettisti come Jack Kirby e Basil Wolverton, dai film di fantascienza, dalle riviste pulp e, insomma, da tutto l’immaginario della cultura pop che un giovane nordamericano può assorbire.

Ryan Heshka, Canadian Home Movies, 2015, acrylic and mixed on illustration board, 10x7 cm

Ryan Heshka, Canadian Home Movies, 2015, acrylic and mixed on illustration board, 10×7 cm

Uno potrebbe pensare che la vita, quella vera, non c’entri nulla con le pin up, i supereroi, robot giganti, i mostri e gli scenari di cartapesta da vecchio b-movie. Invece non è così. Se siete stati bambini negli anni Settanta in un paese come il Canada, famigerato per i suoi lunghi e freddisimi inverni, sapete che significa ciondolare per ore in casa e cercare di combattere la noia inventandosi qualche passatempo.

Ryan Heshka, Wood Gang of Lake Winnipegosis, 2015, gouache and mixed on vinatge paper, 24x18 cm

Ryan Heshka, Wood Gang of Lake Winnipegosis, 2015, gouache and mixed on vinatge paper, 24×18 cm

L’arte di Ryan Heshka nasce così, durante quell’infanzia dilatata e ovattata, nel tepore dell’ambiente domestico, mentre passa il tempo a giocare, leggere fumetti, guardare film di fantascienza, coltivando, giorno dopo giorno, la propria immaginazione. Fin qui niente di strano. Tutti i bambini canadesi, in un modo o nell’altro hanno un’infanzia simile. Ma Ryan Heshka ha qualcosa in più, è un bambino creativo che disegna moltissimo e gira filmini amatoriali in stop motion con la sua cinepresa Super 8. Immaginate poi, che influenza abbia esercitato su di lui il fatto di crescere in una nazione caratterizzata da una natura selvaggia, piena di monti, fiumi, laghi e boschi, popolata da animali come l’alce, la lince, il caribou, l’orso polare, il grizzly e il castoro e perfino creature fantastiche come il Sasquatch o Bigfoot, il mitico ominide peloso da grandi piedi. Un bambino, e per giunta con un’innegabile vocazione artistica, non può che rimanere segnato indelebilmente da questo genere di esperienze.

Ryan Heshka, Fulvia and Ulva, 2015, oil and mixed on wood panel, 45x35 cm

Ryan Heshka, Fulvia and Ulva, 2015, oil and mixed on wood panel, 45×35 cm

In ogni caso, Ryan Heska è cresciuto e, con una buona dose di senso pratico, ha indirizzato la sua creatività verso applicazioni più commerciali. Ha studiato e lavorato per un po’ nel campo dell’Interior Design e poi in quello dell’animazione, ma certi ricordi sono duri a morire, le impressioni ricevute nei primi anni di vita ti restano incollate addosso. E poi, si sa, più cresci e più certe memorie diventano vivide. Così, nel 2000, Ryan è tornato alla sua vecchia passione. I più pragmatici direbbero che è passato al “lato oscuro della forza” e che trasformando l’arte nella sua attività principale, ha fatto un salto nel buio. Ma per me questo è il tipico comportamento di uno Jedi: rischiare tutto per dedicarsi anima e corpo a qualcosa che corrisponde di più all’idea che avevi di te stesso da bambino.

Romance of Canada, titolo della seconda mostra personale alla galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea, è un ritorno alle origini e, insieme, un tributo alla nazione dei Grandi Laghi, vista attraverso lo sguardo deformato dell’infanzia. Heshka prende spunto dai luoghi comuni e dagli stereotipi canadesi per costruire un’immagine inedita del suo paese, una nuova identità sospesa tra presente e futuro anteriore, tra finzione e realtà. Messi da parte, almeno per il momento, mostri e robot di latta, l’artista si concentra sulla definizione di un racconto, se possibile, ancor più sognante e rarefatto. Non mancano le atmosfere surreali, a tratti perfino noir, caratteristiche del suo lavoro, come pure i riferimenti agli stilemi grafici del fumetto e dell’illustrazione della Golden Age, ma si avverte ora un’impronta più personale e autobiografica.

Romance of Canada segna il passaggio a una pittura più dettagliata, in cui la tipica palette cromatica dell’artista – fatta di gialli squillanti, rosa pallidi, rossi accesi e intense gradazioni di blu – si salda all’introduzione di nuovi temi iconografici. La mostra, composta di una trentina di opere tra gouache su carta e dipinti a olio e tecnica mista su tavola, è concepita come una rappresentazione romanzata e immaginifica della nazione nordamericana. Ogni dipinto include, infatti, un riferimento a una città, a un luogo specifico, oppure ad aspetti ben noti della storia e del costume del paese, come riti, usanze, festività, filtrate attraverso uno sguardo in cui dominano le figure retoriche della metafora e dell’allegoria. Nel costruire il suo Canada immaginario, all’incrocio tra storia, folclore e fantascienza, Ryan Heshka non risparmia qualche stoccata ai cliché domestici della Maple Leaf (la foglia d’acero).

Ryan Heshka, Canadian Military, 2015, gouache, collage and mixed media on vintage paper, 57x77 cm

Ryan Heshka, Canadian Military, 2015, gouache, collage and mixed media on vintage paper, 57×77 cm

Canadian Military, ad esempio, ironizza sulla proverbiale struttura gerarchica delle forze armate, ipotizzando un esercito che sembra uscito dalle pagine di Weird Tales, la popolare rivista a fumetti di Sci-fi degli anni Cinquanta. Dentro c’è di tutto: un robot con tre gambe, una donna con due teste, un corpo di fucilieri con le ciaspole ai piedi, due spadaccini in buffi costumi carnevaleschi, un cecchino in tacchi a spillo, una sexy telegrafista, una cinepresa e un bersaglio umani, una rana kamikaze, un’aragosta portabandiera, un castoro infermiere e un bambino vestito da razzo. Insomma, è la milizia più stravagante e scalcagnata che si possa immaginare, ordinatamente allineata a formare una specie di abete natalizio, sormontato da un cartiglio con un grido di battaglia quantomeno comico: “I’m sorry”.

Forse non tutti sanno che “I’m sorry” è una frase ricorrente nel lessico inglese della Terra dei Grandi Laghi, celebre per le sue innumerevoli varianti di significato. Si dice, infatti, che mentre gli inglesi non usano quasi mai questa espressione, i canadesi ne abusano. Heshka ne ha fatto il motto nazionale del suo Canada privato. I’m Sorry. National Flag è, infatti, uno stendardo d’ordinanza che, però, somiglia alla tavola di un bestiario medievale, con gli animali simmetricamente disposti in campo nero come nella migliore tradizione araldica.

Ryan Heshka, Hockey Widow, 2015, oil and mixed media on board, 33x28 cm

Ryan Heshka, Hockey Widow, 2015, oil and mixed media on board, 33×28 cm

Stereotipi, cliché e riferimenti al Canada attuale serpeggiano in tutti i dipinti dell’artista. Uno è quello delle vedove dell’hockey, cioè le mogli dei giocatori professionisti dello sport nazionale canadese, che durante i Play Off sono costrette a vivere in una condizione di solitudine quasi vedovile. Con il suo consueto humor a tinte fosche, Heshka immagina una di queste donne davanti alla salma ibernata del marito, inumato con la divisa e la mazza della sua squadra.

Ryan Heshka, Winter Festival, 2015, oil and mixed, 32x26 cm

Ryan Heshka, Winter Festival, 2015, oil and mixed, 32×26 cm

Winter Festival contiene invece una velata allusione alle manifestazioni e alle sagre che caratterizzano il Canada nel periodo invernale, come ad esempio quella che ogni anno anima le Cascate del Niagara con fuochi d’artificio e spettacoli pirotecnici. Ma il dipinto Winter Fall, con la misteriosa e malinconica ragazza seduta su un blocco di ghiaccio, contiene anche un succinto campionario della fauna nazionale, con alcuni esemplari che ritroviamo anche in Red Beaver Bandit, Blue Birds e Mith of the Blue Caribou.

Ryan Heshka, Myth of the Blue Caribou, 2015, acrylic and mixed on illustration board, 14x19 cm

Ryan Heshka, Myth of the Blue Caribou, 2015, acrylic and mixed on illustration board, 14×19 cm

Altro protagonista indiscusso delle opere di Heshka è il paesaggio, per lo più innevato o ghiacciato, come in Canada in Colour o caratterizzato da una minacciosa flora mutante, come in Ravages of Pine Disease e The Floral Entity. Gli scenari più inquietanti e spettacolari sono, però, quelli di Romance of Canada e Masters of the Man-Dogs.

Ryan Heshka, Ravages of Pine Disease, 2015, oil and mixed on paper, 40x28 cm

Ryan Heshka, Ravages of Pine Disease, 2015, oil and mixed on paper, 40×28 cm

La prima opera è una piccola tecnica mista su tavola, che illustra un episodio degno di Fortitude, il fortunato show televisivo della BBC ambientato nel circolo polare artico. Mentre l’altra è una scena corale di sottomissione che non ha nulla da invidiare alle crudeli fantasie di Henry Darger[1]. E, in effetti, The Realms of the Unreal, in riferimento all’ipertrofica narrazione illustrata dell’artista outsider di Chicago, sarebbe un sottotitolo perfetto per la serie di Romance of Canada. Anche perché oltre che irreale e fantastico, il Canada di Heshka, come quello vero, è pur sempre un regno, una monarchia, anche se parlamentare, con due inni nazionali, uno dei quali è il celeberrimo (e britannico) “God Save the Queen”.

Politica a parte, il Canada di Heshka sembra il sogno scaturito da un’immaginazione irrefrenabile, un’utopia capovolta a metà tra Tim Burton e Wes Anderson, popolata da creature selvagge e aberrazioni genetiche, alieni e supereroi e, soprattutto, da un campionario di pin up, vamp, femme fatale e cover girl che farebbero invidia perfino a Mel Ramos.

Ryan Heshka, Masters of the Man-Dogs, 2015, acrylic and mixed media on wood, 55x69 cm

Ryan Heshka, Masters of the Man-Dogs, 2015, acrylic and mixed media on wood, 55×69 cm

Insomma, questo Canada è come un vecchio film perduto della RKO che avresti sempre voluto vedere, come l’ultima puntata di una serie che ti ha tenuto avvinto per mesi davanti al teleschermo, come il libro d’illustrazioni fuori stampa che una volta possedevi e che rimpiangi d’aver perso, come il cartone animato definitivo che bisognerebbe inventare, qualcosa che hai appena intravisto con la coda dell’occhio e di cui non puoi già più fare a meno.

A dirla tutta, mentre aspetto di guardare i quadri di Heshka dal vivo, mi sento come uno che non abbia mai visto la prima puntata di Twin Peaks…

Note

[1] Henry Darger (Chicago, 1892 – 1973) è un artista autodidatta americano, che soffriva della Sindrome di Tourette, considerato uno dei massimi esponenti della outsider art. La sua opera più famosa è un manoscritto fantastico di oltre 15000 pagine intitolato The story of the Vivian girls, in What is known as the Realms of the Unreal, of the Glandeco-Angelinnian War Storm, Caused by the Child Slave Rebellion. Conosciuta semplicemente come The Realms of the Unreal, questa gigantesca opera è costellata di centinaia di collage e aquarello che illustrano le vicende delle Vivian Girls, bambine ermafrodite impegnate in una sanguinosa guerra con i generali Glandeliniani.

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RYAN HESHKA – ROMANCE OF CANADA
a cura di Ivan Quaroni
Antonio Colombo Arte Contemporanea
Via Solferino 44, Milano
La mostra inaugura giovedì 26 marzo alle ore 18.30
E resterà aperta fino al 16 maggio 2015
Da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 – sabato dalle 15.00 alle 19.00