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Zio Ziegler. L’enfant prodige della street art californiana

2 Mag

 

di Ivan Quaroni

 

Zio Ziegler, The Venus of Milan, wall painting, Milano

Zio Ziegler, The Venus of Milan, wall painting, Milano

 

Vederlo dipingere un muro con le bombolette spray è come assistere a una fulminea epifania. Parte da un punto qualsiasi della superficie e riempie con le sue intricate figure tutto lo spazio disponibile, senza seguire un progetto o uno schizzo preparatorio. Zio Ziegler, classe 1988, è il nuovo enfant prodige della street art californiana, capace di eseguire graffiti di grandi dimensioni in tempi da record, come ha fatto in tutta l’area della Baia di San Francisco, dal Mission District a Sycamore street, fino al quartier generale di Facebook a Menlo Park, ma anche a Los Angeles, Puerto Rico, Cuba, New York e Tokyo. A Milano, in una manciata di giorni, è riuscito a realizzare tre grandi murali: uno alla sede della Cinelli, storico marchio di biciclette; uno, lungo ben cinque metri, nel passante ferroviario di Repubblica (una gigantesca Venere tribale); l’ultimo in galleria, a introdurre i lavori della sua prima mostra personale europea. Già, perché Zio Ziegler non è solo un graffitista, ma anche un artista tout court, di quelli che passano intere giornate a dipingere meditando sulle sorti magnifiche e progressive della pittura.

Zio Ziegler, CENA Cypriani ZZ, 2014, mixed media on panel, 61x45,7 cm

Zio Ziegler, CENA Cypriani ZZ, 2014, mixed media on panel, 61×45,7 cm

Il suo studio di Mill Valley, situato in una villa in cima a una collina nei dintorni di Sausalito, è una specie di Buen Retiro dove passa intere giornate a lavorare senza sosta, lontano dalle distrazioni della città. Lui si definisce un orso, ma gira il mondo come un grafomane globetrotter, sempre pronto a marcare il territorio con le sue immaginifiche visioni, un suggestivo mix di arte tribale e avanguardia cubista, stile pop e primitivismo, prepotentemente dominati dall’horror vacui. I suoi wall painting, eseguiti rigorosamente in bianco e nero, rappresentano bizzarre figure ispirate alla mitologia e alla natura, creature ibride disegnate con un tratto incisivo, quasi brutale, ma modellate tramite un’intricata giustapposizione di motivi grafici e ornamentali.

Zio Ziegler, Wall Painting, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano

Zio Ziegler, Wall Painting, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano

L’uso dei pattern è, infatti, un elemento tipico del suo stile pittorico, teso a creare un effetto di straniamento nell’osservatore e un conseguente slittamento dell’attenzione dalla realtà esteriore a quella interiore. Anche se, proprio il gigantismo e l’impatto ottico sono i punti di forza dei suoi graffiti, popolati da impressionanti animali totemici e ieratiche veneri zoomorfe, in cui sembrano convivere i feticci apotropaici delle società primitive e le muse inquiete dell’immaginario simbolista. Il suo scopo è, infatti, rompere il muro d’indifferenza dei passanti e distoglierne i pensieri dalle preoccupazioni quotidiane, riportandoli alla bellezza del presente. Come succede, ad esempio, con l’oblungo murale intitolato The Venus of Milan, che campeggia nel cuore della metropolitana meneghina, come una sorta di selvaggio carpe diem suburbano.

Zio Ziegler, Untitled, 2014, mixed media on canvas, 152x91 cm

Zio Ziegler, Untitled, 2014, mixed media on canvas, 152×91 cm

Quella di Ziegler è una ricerca gioiosa e vitale, ma anche molto concreta. Lui la definisce “un’arte fisica per un mondo digitale”, anche se, paradossalmente, i suoi lavori hanno conquistato i tycoon della Silicon Valley, personaggi come Sean Parker, fondatore di Napster e primo presidente di Facebook, che gli ha commissionato il murale per la sede di Menlo Park, oppure Shervin Pishevar, direttore di Sherpa Ventures, che da lui si è fatto dipingere la sua lussuosa McLaren. Quello che attrae delle opere di Ziegler è l’incontenibile energia, una specie di furia atletica e agonistica, che esplode in mille colori nei dipinti su tela e nei disegni, simili a grandi patchwork postmoderni, in cui confluiscono tutte le sue passioni artistiche e letterarie.

Zio Ziegler, The Chains of Not Choosing, 2014, mixed media on canvas, 152,4x213,4 cm

Zio Ziegler, The Chains of Not Choosing, 2014, mixed media on canvas, 152,4×213,4 cm

Le sue fonti d’ispirazione sono, infatti, variegate ed eclettiche quanto il suo stile e spaziano dal teatro all’arte, passando per il fumetto, l’illustrazione e la cultura folk. Legge David Foster Wallace, Somerset Maugham e Dostoevskij come i fumetti di Robert Crumb e studia l’arte di Rousseau, Picasso e Leger allo stesso modo di quella dei contemporanei Cy Twombly e Thomas Houseago. Insomma, è informato, veloce, onnivoro e, per di più, maledettamente giovane. Tutte qualità che si traducono in uno spregiudicato uso della pittura, in barba alle tradizioni e alle gerarchie stilistiche che invece appesantiscono i suoi colleghi europei. Per Ziegler, che ha studiato filosofia alla Brown University e poi pittura alla Rhode Island School of Design, l’arte non è una faccenda per pochi eletti, ma un linguaggio universale, fruibile da tutti. Forse per questo in passato ha applicato il suo stile su qualunque tipo di oggetto e superficie, dalle carrozzerie di auto di lusso alle rape per skateboard, alle scarpe da ginnastica. Convinto che l’arte debba essere accessibile a persone appartenenti a tutti i ceti sociali, ha fondato Arte Sempre ™, una società con sede in un’ex-serra di Mill Valley, ribattezzata The Greenhouse, che si occupa di commercializzare immagini originali dei suoi lavori, stampati su capi d’abbigliamento, cappelli, felpe e t-shirt.

Zio Ziegler, Abstracted Sensation, 2014, mixed media on canvas, 101,6x76,2 cm

Zio Ziegler, Abstracted Sensation, 2014, mixed media on canvas, 101,6×76,2 cm

Ora, però, giura di aver accantonato i side-project per dedicarsi esclusivamente alla pittura. I nuovi dipinti mostrano, infatti, una maggiore concentrazione e complessità. Prolifico e velocissimo quando si tratta di eseguire wall painting, Ziegler rivela un carattere più meditativo quando dipinge su tela. Per lui la pratica della pittura è una forma d’indagine personale e, insieme, una disciplina spirituale che si esprime nella forma di un percorso erratico nei meandri dell’inconscio individuale e collettivo. La tensione tra natura e artificio, tra istinto e civiltà, è uno dei suoi temi prediletti. Le sue opere non alludono mai a significati precisi, ma sono piuttosto traduzioni visive di suggestioni e stati d’animo spesso derivati dall’osservazione della realtà.

Et in Arte Ego, progetto realizzato appositamente per la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea, prende spunto dal motto Et in Arcadia Ego, che appare nei titoli di alcuni dipinti di Nicolas Poussin. La frase, idealmente pronunciata dalla Morte sopra un’iscrizione tombale significa “E anche io (sono) in Arcadia”. È un Memento Mori, un ammonimento sul carattere effimero del piacere, che Ziegler trasforma in una nuova sentenza sul ruolo dell’ego nell’arte. Et In Arte Ego è una riflessione sulla morte creativa, ossia su quel coacervo di dubbi e contraddizioni che spesso impediscono agli artisti di realizzare opere oneste, che non obbediscono al gusto e alle mode del tempo. Secondo Ziegler, “i più grandi dipinti non sono stati realizzati sotto la pressione dello zeitgeist, ma provengono dal vuoto della mente”, cioè da una dimensione creativa che trascende le limitazioni dell’ego. Forse è per questo, che la sua opera appare così eclettica e multiforme, quasi fosse il prodotto di una moltitudine di stili e linguaggi diversi, di una memoria collettiva che l’artista recupera e adatta alle esigenze di un Mondo Liquido – come ama definirlo Zygmunt Bauman – sempre più soggetto a processi di smaterializzazione.

Zio Ziegler, Et in Arcadia Ego, 2014, mixed media on canvas, 182,9x243,8 cm

Zio Ziegler, Et in Arcadia Ego, 2014, mixed media on canvas, 182,9×243,8 cm

Nell’arte di Zio Ziegler convivono, infatti, diverse anime. Se in opere come Figure without Expectations, Her Mystery, The Spring Time e Fate’s Intuition prevale un gusto arcaico memore della lezione del Modernismo europeo, in lavori come Et in Arcadia Ego, The Chains of Not Choosing e Portrait of Her si avvertono addirittura echi d’arte bizantina e preziosismi di marca Seccessionista viennese.

Come un surfista del web, abituato a saccheggiare l’immenso serbatoio iconografico di Google, il giovane artista californiano percorre in lungo e in largo tutta la Storia dell’arte in cerca d’ispirazione. Non è un caso che la sua tendenza ad accostare immagini diverse, richiami proprio la logica del cut & paste digitale, tanto evidente nei dipinti Pattern and Movement, When no Man is King Every Men is King, Wood Zigzag Black with Yellow e Portrait Consumed by Pattern. In fin dei conti, malgrado la sua avversione per le mode e la sua sincera ammirazione per i grandi maestri del passato, Ziegler è, più che mai, figlio del suo tempo. Uno dei pochi ad aver capito che combinare il presente col passato è l’unico modo di approdare a un’arte veramente autentica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ed Templeton. A Gentle Collision

21 Nov

Di Ivan Quaroni

Può accadere solo in California che un tizio, due volte campione di skateboard professionale, fondatore e manager di un’azienda (Toy Machine) sia anche un apprezzato fotografo e un originalissimo pittore. Può succedere solo in California perché là, su quel lembo di terra affacciata sulla costa occidentale degli States si sono incrociate e sovrapposte le più svariate subculture giovanili, dal surf allo skate, fino al punk e ai graffiti. E perché là, nessuno trova strano che uno possa fare più cose contemporaneamente, tanto più se si tratta di un ex enfant terrible, cresciuto su una tavoletta munita di quattro rotelle ascoltando, molto probabilmente, la martellante musica punk dei Black Flag. Chiunque abbia visto il documentario di Stacy Peralta sugli Z-Boys o il film Lords of Dogtown può farsi un’idea chiara di come possa accadere.

Ed Templeton, A Gentle Collision, 2013

Ed Templeton, A Gentle Collision, 2013

Ed Templeton, nato nel 1972  in Orange County, area di Los Angeles, è un artista autodidatta, fotografo, pittore e graphic designer, divenuto celebre anche grazie alla sua partecipazione al progetto Beautiful Losers,  promosso da Aaron Rose e Christian Strike (con il sostegno di Jeffrey Deitch, deus ex-machina dell’operazione) e consistente in una serie di mostre itineranti in diversi musei americani e nella realizzazione di un film documentario sugli artisti che hanno inventato un nuovo linguaggio a cavallo tra pop, punk e graffiti.

Ed Templeton, Create Your Own, 2013

Ed Templeton, Create Your Own, 2013

Può sembrare strano, eppure è all’Italia che Templeton deve il suo primo successo d’artista, con la vincita nel 2000 di un premio per il suo libro fotografico Teenage Smokers, che illustra momenti di vita della gioventù bruciata californiana, divenuta poi il soggetto prediletto di molti scatti successivi.

Ed Templeton, My Life Has Fractured, 2013

Ed Templeton, My Life Has Fractured, 2013

Dopo una mostra al Man di Nuoro nel 2010, Templeton è tornato nel Belpaese con A Gentle Collision, progetto sostenuto dalla milanese Jerome Zodo Gallery, che assembla fotografie, disegni e dipinti, offrendo una panoramica esauriente dell’attitudine “politicamente scorretta” dell’artista, un mix di crudo realismo e affascinanti, coloratissime narrazioni pop. Basta guardare l’istallazione di foto dipinte che dà il titolo alla mostra per capire che si tratta di un immaginario improntato all’efficacissima triade di Sesso, Droga e Rock & Roll.

Ed Templeton, 30 Seconds in my Shoes, 2013

Ed Templeton, 30 Seconds in my Shoes, 2013

Ma il Templeton fotografo e il Templeton pittore sembrano quasi due anime distinte. Testimone oculare dei bassifondi suburbani, abitati da giovani (ri)belli e dannati, il fotografo Templeton, quando mette mano ai pennelli, si trasforma in un ironico, commentatore della varia umanità della West Coast. Saranno i colori pastello, sarà quello stile un po’ folk, da agrodolce fiaba urbana, il fatto è che il Templeton pittore riesce a bilanciare l’atmosfera di cupa disperazione che, invece, emana dagli scatti fotografici. Ad ogni modo, paghi uno e prendi due. L’uno non esiste senza l’altro, ed è proprio questo il bello.

Ed Templeton, Huntington Beach, acrilico su pannello di legno, 122 x 244 cm, 2013

Ed Templeton, Huntington Beach, acrilico su pannello di legno, 122 x 244 cm, 2013

Le sette opere e le tre grandi istallazioni della mostra milanese mostrano un mondo di adolescenti in cerca d’identità. 30 Seconds in My Shoes, fatta di 139 fotografie, è il racconto sincopato e frammentato di una vita, ma anche di una giornata o perfino di soli trenta secondi, fatta d’impressioni indelebili, che oscillano tra momenti di allarmante frenesia e attimi di pneumatica sospensione.

Ed Templeton, Create Your Own, 2013

Ed Templeton, Create Your Own, 2013

La vita quotidiana è protagonista anche nelle dodici serigrafie di The Sleepers, ovviamente nel video The Judgement Day is Coming e perfino nelle due bellissime foto dipinte Atourina, Yellow e Lucy, Silver. Nei dipinti, invece, l’immaginazione supera la dimensione prosaica. Illustrated Day Dream e Create Your Own sono perfetti esempi di Pop Surrealismo onirico, superati solamente da Huntington Beach, una sorta di bozzettistico scorcio della piccola città costiera in cui l’artista vive, affollata di bellezze al bagno e procaci pattinatrici, musicisti di strada e onesti lavoratori, perdigiorno e ubriaconi. Insomma, tutta la bizzarra, variegata, coloratissima umanità della California del Sud.

Chi non ha visto questa mostra si è davvero perso qualcosa di speciale.

Ed Templeton, Lucy, Silver, 2013

Ed Templeton, Lucy, Silver, 2013

 
Info
Ed Templeton. A Gentle Collision
Fino al 22 novembre 2013
Jerome Zodo Gallery
Via Lambro 7, Milano
P. + 39 0220241935
F. +39 0220244861
E. info@jerome-zodo.com
Monday – Friday / 10 am – 7 pm