di Ivan Quaroni
Alice in Wonder Social, 2025, acrilico su tela, 42×48 cm
Giuseppe Veneziano ha sempre praticato una pittura capace di metabolizzare le immagini già esistenti, restituendocele sotto forma di nuovi intrecci iconografici, storie inedite che racconta attraverso una grammatica visiva derivata tanto alla tradizione della pittura occidentale, quanto dal linguaggio immediato della cultura popolare.
Tra i molti nuclei tematici che caratterizzano la produzione dell’artista, quello delle favole, spesso filtrate attraverso le riletture del Cinema disneyano, occupa un posto speciale. La mostra Ogni favola è un gioco si colloca pienamente in una linea di ricerca che da sempre si concentra sull’immediata leggibilità del messaggio e sulla sua capacità di interpretare le tensioni e le inquietudini del presente. Quello delle fiabe è un tema che l’artista siciliano ha saputo trasformare nel tempo in una sorta di teatro visivo, dove l’apparente innocenza dei protagonisti scende a patto con i codici adulti del costume, della religione e della cronaca. Non è un caso che il titolo di questa mostra sia ripreso da una canzone di Edoardo Bennato, pubblicata nell’album È arrivato un bastimento del 1983, un brano che, in qualche modo, suggeriva la possibilità di leggere le fiabe come sistemi narrativi in grado di evidenziare la natura ambigua e contraddittoria della società.
Biancaneve allo specchio, 2025, acrilico su tela, 70×100 cm
In un certo senso, Giuseppe Veneziano ha saputo raccogliere l’eredità di una tradizione che attraversa musica, letteratura, folklore e arti visive, rilanciandola in una nuova chiave pittorica che trasforma la favola in una parabola delle nostre inquietudini, ma anche delle pulsioni e dei desideri più inconfessabili. La sua operazione non si limita a inserire citazioni in una sintassi pittorica che deve molto sia alle iconografie del Rinascimento che all’immediatezza del lessico fumettistico e illustrativo. Piuttosto, quello di Veneziano è un lavoro che si colloca dentro una genealogia più ampia, che lega la tradizione favolistica del folclore al linguaggio della cultura di massa. Le fiabe, in origine, erano strumenti collettivi capaci di organizzare paure, desideri e valori attraverso figure esemplari e situazioni archetipiche. Oggi la cultura popolare svolge funzioni analoghe, offrendo attraverso cartoons, comics, videoclip e meme digitali un repertorio condiviso di simboli e personaggi. Veneziano si muove dentro questa continuità, intercettando il passaggio che porta dall’oralità arcaica alla diffusione mediatica, dai racconti tramandati nella cultura popolare alle immagini moltiplicate dell’industria dello spettacolo.
La Venere di Collodi, 2025, acrilico su tela, 150×90 cm
Dentro questo campo di azione, il personaggio di Biancaneve assume per l’artista un ruolo privilegiato, diventando un feticcio (anche erotico) che riflette esplicitamente le trasformazioni dell’immaginario collettivo, mostrandoci evoluzioni e involuzioni del costume e dell’etica pubblica. Allo stesso tempo, Biancaneve è anche il simbolo di una femminilità definitivamente liberata dal potere patriarcale e, al contempo, di una personalità sfrontata, a tratti, perfino crudele. Così, ad esempio, La strage degli innocenti (2022) ci mostra una versione altera e scostante del personaggio disneyano, mentre stagliata sullo sfondo di un cielo azzurro e limpido, contempla, incurante, ai suoi piedi i corpi esanimi dei sette nani. È una Biancaneve vindice, unafemme fatale che, come la tragica Clitennestra, scopre il valore catartico (e libidico) della violenza, nella metamorfosi esistenziale che la trasforma da vittima oppressa a eroina ribelle e implacabile. Ma è anche, segretamente, una rappresentazione dei nostri sentimenti di rivalsa verso le figure dei nani, per quell’insopportabile mix di sussiego e vanagloria, boria e prosopopea che li caratterizza.
Selfica, 2021, acrilico su tela, cm 120×100
Nel dipinto Selfica (2021), invece, troviamo l’immagine di una Biancaneve seduta a gambe divaricate, con uno smartphone in mano, mentre esegue un impudico autoscatto. Il selfie, che sostituisce qui il potere divinatorio dello specchio della favola, introduce il tema della vanità (incarnato tradizionalmente nella figura della Regina cattiva) che diventa, qui, un esercizio quotidiano di costruzione identitaria. È un esempio tipico di come Veneziano riesca ad adattare una figura classica del folclore alle consuetudini del presente, collegandola a un gesto divenuto ormai una pratica diffusa, un rituale sociale e individuale che scandisce la vita quotidiana di ognuno. Ma la protagonista di Selfica è anche un’eroina lasciva, come un personaggio di un romanzo del Marchese De Sade o del Barone von Sacher Masoch, una Juliette[1] o, meglio una Vanda[2] che scende a patti col romanzo erotico contemporaneo[3], di cui troviamo un’eco nello spassoso Cinquanta sfumature di Pippo (2022), dove la principessa disneyana veste i panni di una dominatrice che tiene al guinzaglio il giocondo e remissivo amico di Topolino. In questa metafora dei piaceri BDSM, l’ibridazione tra cartoon e iconografia erotica non è una semplice provocazione, ma un modo per illustrare come la nostra memoria visiva accetti con naturalezza la convivenza di registri narrativi antitetici, dove si mescolano innocenza e trasgressione.
Apparenza e realtà, 2025, acrilico su tela, 38×48,5 cm
In Apparenza e Realtà (2024) – titolo ripreso da una canzone di Franco Battiato -, Biancaneve svela la propria identità dietro la maschera della Regina cattiva, compiendo un gesto che non solo ribalta i ruoli narrativi, ma anche la funzione stessa delle immagini. La scena allude, infatti, all’eventualità che ogni personaggio custodisca al proprio interno un lato oscuro, una specie di inquietante doppelgänger freudiano, pronto a riemergere dalle pieghe occulte della coscienza.
Pinocchio è un’altra figura ricorrente dell’immaginario pittorico di Veneziano, una variante iconografica, se così si può dire, del motivo introdotto in Apparenza e Realtà, declinato sul tema dell’eterno dissidio tra verità alla finzione, concetti che, com’è noto, tendono a sfumare e perfino a sovrapporsi nella ricerca di Veneziano. La Madonna delle bugie (2022) è un classico esempio di mash-up, in cui l’immaginario del Pinocchio disneyano è ibridato con l’iconografia sacra rinascimentale in un cortocircuito semantico che non svuota il registro religioso, ma semmai lo rilancia in una dimensione ambigua, dove sacro e profano convivono nel medesimo registro espressivo, quello di un’arte che riesce ad essere, ad un tempo, popolare e colta. La vergine che tiene in braccio Pinocchio è, infatti, una rivisitazione della Madonna dipinta da Giovanni Bellini nella Pala di San Zaccaria (1505), conservata nell’omonima chiesa veneziana, un particolare che può sfuggire ai più, senza peraltro pregiudicare l’interpretazione dell’opera.
La Madonna delle bugie, 2025, acrilico su tela, 80×60 cm
Così è anche nell’acquerello La Venere di Collodi (2023), che raffigura il celebre burattino in braccio a una statua greca, in una sorta di ideale incontro tra il canone classico della scultura antica e quello letterario della favola per bambini. Anche in questo caso, la forza dell’immagine sta nello straniamento prodotto dalla convivenza spontanea di registri apparentemente distanti.
Pinocchio è anche tra i protagonisti di Indignados (2019), insieme ad altri personaggi del grande schermo come Shrek, Peter Pan e Pippo. Nell’opera, che prende il nome dal movimento di protesta spagnolo del 2011 contro gli effetti della grave crisi economico-finanziaria in atto, Veneziano trasforma gli eroi dei cartoon in manifestanti armati di bastoni e catene. I personaggi schierati in fila orizzontale non rimandano, tuttavia all’immagine di un pacifico corteo – alla maniera del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo -, ma a una celebre (e inquietante) immagine dei drughi in Arancia Meccanica di Kubrick. Insomma, Veneziano traduce la conflittualità sociale in uno spettacolo visivo, in cui il potenziale drammatico degli eventi di cronaca viene traslato dentro una sintassi figurativa accessibile e universale.
La principessa sul pisello, 2025, acrilico su tela, 25×30 cm
Cappuccetto Rosso e Alice sono altre due presenze emblematiche di questa serie di opere. Nel dipinto In bocca al lupo (2023), l’eroina della fiaba di Perrault è raffigurata in una scena equivoca, ma non equivocabile, che rimanda alle presunte radici simboliche del racconto. Secondo una certa letteratura psicanalitica, infatti, la fiaba allude a contenuti erotici che le versioni più edulcorate avevano eliminato.
La strage degli innocenti, 2024, acrilico su tela, 70×100 cm
In Alice Wonder Social (2025), la protagonista del racconto di Lewis Carroll non insegue il Bianconiglio, ma osserva uno schermo digitale. È la meraviglia della navigazione nel web, il viaggio onirico che si riconfigura come flusso ininterrotto di immagini su display. La favola si adatta ai tempi e diventa allegoria dello scrolling incessante di contenuti digitali di cui tutti, più o meno, siamo vittime. Oltre alla pittura, Veneziano lavora con la tridimensionalità. In The murder of Grumpy del 2021, l’artista ritorna all’iconografia de La strage degli innocenti, concentrandosi, questa volta, sul più noioso dei Sette nani, Brontolo. La sua vendetta allegorica assume le sembianze di una scultura pop, che ricorda l’estetica delle action figure e dei gadget da collezione.
Biancaneve allo specchio, 2017, grafite e acquerello su carta, 23×30 cm
Quella della principessa disneyana è un’iconografia dominante anche nei lavori su carta, bozzetti poi sviluppati nella produzione pittorica e in quella scultorea e installativa, come nei casi di Biancaneve allo specchio (2017) e Innocenti evasioni (2015), sviluppano con leggerezza il rapporto tra eros e quotidiano. Nel primo caso, si tratta di una rivisitazione della famosa Venere allo specchio di Velázquez, con Biancaneve nei panni della Dea dell’amore e Cucciolo, il più giovane dei Sette nani, in quelli di Cupido.
La bella e la bestia, 2025, acrilico su tela, 150×150 cm
Il secondo, acquarello, che prende il titolo, questa volta, da un brano di Lucio Battisti, è lo studio per un’installazione site-specific realizzata dall’artista al Belvedere Marconi di Enna nel 2015. La versione tridimensionale era composta da una scultura in pasta di zucchero di una Biancaneve bagnante (progettata per sciogliersi nella canicola siciliana), una piscina gonfiabile e sette sculture dei Nani, simili a quelle che si tengono abitualmente nei giardini delle villette a schiera. L’iconografia è ancora una volta liberamente tratta dalle tante Diane e Susanne di cui è ricca la storia dell’arte occidentale.
Innocenti evasioni, 2015, grafite e acquerello su carta, 23×30 cm
A confermare il ruolo privilegiato di Biancaneve nell’iconografia dell’artista c’è, infine, The Painter Prince (2018), citazione di un’opera incompiuta di Salvador Dalì dal titolo significativamente lungo: Dalì di spalle mentre ritrae Gala di spalle, eternalizzato da sei cornee virtuali provvidenzialmente riflesse in sei specchi reali (1972-73). Si può, infatti, dire che Biancaneve per Veneziano, come Gala per Dalì, rappresenti una sorta di apice dell’ossessione erotica, il simbolo di una cristallizzazione della pulsione libidinale nell’apparente innocenza dell’immaginario infantile.
The painter Prince, 2018, acrilico su tela, 140×110 cm
Queste opere dimostrano come la pratica sistematica di riscrittura iconografica, che consiste nella geniale reinvenzione di immagini sedimentate, consente all’artista di rimettere in circolo modelli antichi e nuovi all’interno di un codice visivo adatto ai tempi moderni, che privilegia la chiarezza formale. Le campiture piatte, i contorni netti, le ricorrenti cromie sono gli strumenti di precisione Veneziano evidenza il carattere delle sue figure e la natura delle loro relazioni. Ma proprio in questa chiarezza, in questa evidenza inequivocabile, risiede la forza perturbante della sua pittura. Ed è, inoltre, un modo per rimettere in gioco la funzione del quadro come macchina narrativa accessibile e stratificata, in grado di comunicare col pubblico generico e con quello degli specialisti. Questa qualità lo rende una figura di riferimento nella scena figurativa italiana, non solo per l’estrema riconoscibilità del suo linguaggio, ma anche per il modo unico di interpretare la lezione della Pop Art, senza scadere mai nella banale e pedissequa riproduzione del frasario iconografico (e memetico) di massa.
In bocca al lupo, 2023,acrilico su tela, 100×70 cm
Nei lavori di Ogni favola è un gioco, l’artista ci mostra come sarebbero le fiabe definitivamente liberate dalla funzione pedagogica, cioè come i personaggi di Biancaneve, Pinocchio, Cappuccetto Rosso e Alice, non più relegati al mondo infantile, possano diventare, a tutti gli effetti, figure esemplari della moderna Commedia umana. In fondo, Veneziano ha capito che cambiarle, adattarle alle esigenze espressive del presente, è l’unico modo per garantirne la sopravvivenza.
The murder of Grumpy, 2021, resina dipinta, 58x32x32 cm
[1] Personaggio del romanzo Juliette, ovvero le prosperità del vizio e di La nuova Justine, o le disavventure della virtù del Marchese de Sade. Le due opere raccontano, rispettivamente le contrapposte vicende di due sorelle. Juliette, votata al vizio e al piacere, conquista libertà, la ricchezza e una vita prospera, Justine, invece, fedele alla virtù e alla morale, va incontro a un’esistenza di sofferenze e disgrazie.
[2] Vanda, o meglio Wanda Dunajew, è il personaggio del romanzo Venere in pelliccia (1870) del Barone von Sacher Masoch, che incarna la figura archetipica della dominatrice nell’immaginario erotico sadomasochista.
[3] Riferimento alla trilogia narrativa della scrittrice inglese E. L. James (pseudonimo di Erika Leonard), composta dai romanzi Cinquanta sfumature di grigio (2011), Cinquanta sfumature di nero (2012), Cinquanta sfumature di rosso (2012).

Punto sull’Arte – Viale Sant’Antonio 5961











































































































































