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Annalisa Fulvi. Architetture in transito

11 Mag

di Ivan Quaroni

Vous savez, c’est la vie qui a raison, l’architecte qui a tort.

(Le Corbusier)

Credimi, quella era un’età felice, prima dei giorni

degli architetti, prima dei giorni dei costruttori.

(Lucio Anneo Seneca)

Aria di Expo 2, acrilico su tela, 69x95 cm., 2015

Aria di Expo 2, acrilico su tela, 69×95 cm., 2015

La città come teatro delle trasformazioni culturali e sociali è un tema iconografico ricorrente fin dalla fine del diciannovesimo secolo. Prima le visioni dinamiche dei futuristi, poi gli squarci silenti delle periferie di Sironi hanno trasformato il landscape urbano in un vero e proprio genere. In particolare tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, la pittura figurativa si è spesso cimentata con soggetti metropolitani.

Sulla scia delle teorie dell’etnoantropologo francese Marc Augé, molti artisti hanno sviluppato il tema dei non-luoghi, dedicandosi da un lato alla rappresentazione di spazi abbandonati, dall’altro a quella di luoghi di passaggio, caratterizzati da una riduzione ai minimi termini della socialità. Fabbriche in disuso, vecchi gasometri, scheletri di archeologia industriale, ma anche aeroporti, centri commerciali, ipermercati, autostrade sono entrati stabilmente nell’immaginario della nuova figurazione italiana, documentando la transizione tra una società di tipo industriale e una basata essenzialmente sullo sviluppo del terziario avanzato.

Spazi retrostanti, tecnica mista su lino, 100x120 cm, 2013

Spazi retrostanti, tecnica mista su lino, 100×120 cm, 2013

In anni più recenti, il sociologo Zygmunt Bauman ha messo in discussione la vita quotidiana delle persone nelle grandi aree metropolitane. Nel saggio intitolato Fiducia e paura nella città, Bauman ha documentato come la metropoli, un tempo luogo di sviluppo e promozione sociale, ma anche di sicurezza, sia diventata un ricettacolo di problemi difficilmente risolvibili, che generano un senso di frustrazione e insicurezza. Le città postmoderne sono diventate oggetto di un fenomeno inverso di abbandono, dovuto non solo alle proibitive condizioni materiali ed economiche, ma anche al senso di precarietà e paura, due elementi chiave della teoria di Bauman sulla modernità liquida. Il tema centrale del pensiero del sociologo, è però l’effetto sugli individui provocato dai rapidi cambiamenti della società dei consumi. Rapidi cambiamenti che riguardano anche l’assetto urbanistico, attraverso l’insorgere di cantieri edili che riecheggiano nel panorama visivo di milioni di cittadini, diventando il simbolo della precarietà esistenziale teorizzata dal sociologo polacco.

Aria di Expo, acrilico su tela, 100x130 cm., 2015

Aria di Expo, acrilico su tela, 100×130 cm., 2015

La ricerca di Annalisa Fulvi è incentrata sull’analisi delle trasformazioni del territorio (non solo urbano, ma anche naturale) attraverso la rilevazione di spazi e ambienti in continua metamorfosi. L’artista non documenta soltanto i cambiamenti tangibili del paesaggio, ma anche quelli virtualmente possibili, includendo nel campo della rappresentazione pittorica anche i potenziali sviluppi dell’architettura e delle forme naturali. Fulvi parte dall’osservazione della realtà, e in particolare dall’analisi delle strutture culturali che la definiscono, per costruire una pittura ambiguamente sospesa tra astrazione e figurazione. Una pittura affastellata, in cui si sommano elementi realistici e pattern geometrici, fughe prospettiche e icone segnaletiche. Proprio da Zygmunt Bauman, l’artista ha mutuato l’idea di una società liquida, insieme mobile e instabile, dove la provvisorietà del tessuto urbano diventa il riflesso, e insieme il sintomo, della incertezza psicologica ed esistenziale.

Piovono s t r n z, acrilico su tela, 145x195 cm, 2014

Piovono s t r n z, acrilico su tela, 145×195 cm, 2014

La sua è una pittura che individua nell’indeterminatezza e nella contraddizione i segni caratteristici della realtà contemporanea, restituendoci la visione di uno spazio incompiuto, prospetticamente ambiguo, basato sulla caotica giustapposizione e interferenza di strutture temporanee come impalcature, segnali, tralicci, elementi che evidenziano la natura aleatoria e impermanente del tessuto urbano. “Il concetto che m’interessa sottolineare”, ha spiegato più volte l’artista, “è quello della mutazione delle strutture, in contrapposizione alla solidità della natura”. Mentre il paesaggio naturale trasmette, infatti, un’impressione di stabilità, quello antropico è soggetto a forti pressioni dinamiche che ne ridisegnano l’aspetto, rendendolo, via via, più congestionato e inospitale. Di conseguenza, le trasformazioni ambientali inducono l’osservatore a riflettere sui comportamenti individuali che, spesso inconsapevolmente, hanno causato tali squilibri.

Ironica osservazione, acrilico su tela, 69x95 cm, 2013

Ironica osservazione, acrilico su tela, 69×95 cm, 2013

Aldilà dei risvolti sociologici, l’indagine di Annalisa Fulvi è innanzitutto volta alla definizione di una grammatica pittorica capace di riflettere le tendenze centrifughe dei nuovi modelli di rappresentazione. Assimilabile, per certi versi, alle ricerche di artisti provenienti dalla Nuova Scuola di Lipsia – uno su tutti, David Schnell – la pittura dell’artista italiana è caratterizzata da un approccio figurativo anti-classico, in cui la cultura di progetto si fonde con memorie di matrice cubo-futurista e con riferimenti alla cultura pop. Le sue architetture provvisorie, così come i suoi scorci di paesaggio, sono costruiti attraverso la sovrapposizione dei piani prospettici, il decentramento e la moltiplicazione dei punti di vista e la coesistenza di tecniche e perfino di linguaggi antitetici.

Il paesaggio del passato nel presente e nel futuro, acrilico su tela, 69x95 cm, 2013

Il paesaggio del passato nel presente e nel futuro, acrilico su tela, 69×95 cm, 2013

L’artista non solo mescola dettagli realistici e campiture astratte, ma opera sulla superficie della tela stratificando interventi pittorici e serigrafici, creando, così, un’originale alternanza di elementi caldi e freddi, di apporti grafici e gestuali che alterano la continuità spazio-temporale della rappresentazione. Si può che la pittura ibrida di Annalisa Fulvi sia debitrice tanto nei confronti del collage tradizionale, quanto della moderna pratica del cut & paste digitale, perché in essa la logica combinatoria dell’assemblaggio si fonde con la tendenza a utilizzare fonti iconografiche disparate. Insomma, l’artista, nonostante l’ironico e affettuoso tributo al De Re Aedificatoria di Leon Battista Alberti – il trattato rinascimentale che si proponeva di attualizzare le norme architettoniche vitruviane – è ben lontana dall’adottare la visione unitaria (e unificante) della tradizione classica. La sua pittura è piuttosto la conferma dell’affermarsi di una nuova visione, aperta, ma anche frammentaria della realtà, che ammette la coesistenza simultanea di una pluralità di punti di vista e che concepisce la rappresentazione come una sommatoria d’immagini e segni contradditori.

Sintesi di una collina 1, tecnica mista su carta, 35x50 cm

Sintesi di una collina 1, tecnica mista su carta, 35×50 cm

A questo principio d’indeterminazione pittorica, a questa intrinseca ambiguità stilistica, fa capo l’insistito contrasto tra le linee razionali dell’architettura e le trame testurali, entrambe portatrici di un’idea tradizionale di ordine ed equilibrio, e la presenza di segni essenziali, campiture informi e tracce incompiute che, invece, testimoniano la natura caotica e destabilizzante delle esperienze percettive contemporanee. “Ogni mia opera”, racconta lei, “è la messa in scena di una prospettiva effimera che ci porta a interpretare il nostro tempo indagandolo e cercando di comprenderne i meccanismi, le novità, e le contraddizioni”.

Artista cosmopolita, già vincitrice di premi nazionali e di residenze all’estero (in Islanda, Turchia e Francia), Annalisa Fulvi sembra aver intuito il fondamentale paradosso della cultura occidentale, basato sul contrasto tra l’impulso espansivo dell’homo faber e la necessità di ripensare un nuovo rapporto etico con le forze della natura e, così, ha trasferito questa polarità in un linguaggio dal sicuro impatto visivo, capace di catturare l’attenzione dell’osservatore e, allo stesso tempo, di condurlo a riflettere sui problemi e le urgenze di un modello di sviluppo che appare ormai insostenibile. A una giovane artista, già in possesso di un linguaggio maturo, in linea con i recenti sviluppi della pittura internazionale, non si può chiedere di più.

Aria di Expo, acrilico su tela, 100x130 cm., 2015

Aria di Expo, acrilico su tela, 100×130 cm., 2015


Info:

Annalisa Fulvi. De Re Aedificatoria

a cura di Ivan Quaroni

Riva Artecontemporanea, Via Umberto 32, Lecce

Tel. +39 3337854068

e.mail: danilo@rivaartecontemporanea.it

Opening: sabato 16 maggio 2015

Durata: 17 maggio – 18 luglio 2015


Puzzle City, acrilico su tela, 32x35 cm.

Puzzle City, acrilico su tela, 32×35 cm.

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Painting as a mind field

18 Mar

by Ivan Quaroni

“Consciousness is the stage, the only stage, to be precise, where everything happening in the universe is performed, a comprehensive container, outside which nothing exists”¹ That is what the Austrian physicist and mathematician Erwin Schrödinger , who won the Nobel Prize in 1933 for his crucial contribution to quantum mechanics studies, used to affirm. One of the most distinguished scholars, a pioneer in studying consciousness, was the American neurophysiologist and psychologist Benjamin Libet, author of the theory of the “Conscious Mental Field” (CMF) , which made a distinction between the brain activity, considered an elementary function, and the mental activity, valued as much more complex.

According to Libet, consciousness (or mind field) is not a defined function; it is instead something that emerges thanks to a series of adjustments and re-definition processes that fill up the holes of the brain activity, giving consistence, for example, to the perception of spaces, shapes and colours. Basically, the conscious mental field cannot be reduced to a simple neural process neither it can be described as a merely physical event. During a series of studies, in 1985, Libet showed how the personal experience of will comes right after a pre-conscious or even unconscious choice. Any action, any simple motoric act, comes after an unconscious neural decision. In other words, it takes a fraction of a second to a single human being to be aware of his own action. This discovery brought the academics to ask themselves about the exact location of decisions making, the true headquarter of actions. As known, the brain produces an intense activity, cerebral waves create a magnetic and electric field, but also, as a result, a morphemic field. Libet called mental field the morphemic field of the mental activities, to define the way personal experiences arise among the functions of the brain.

Paolo De Biasi, Bildo, tecnica mista su tela, 100x150 cm., -2014

Paolo De Biasi, Bildo, tecnica mista su tela, 100×150 cm., -2014

Rupert Sheldrake, a British biologist, who invented the theory of Morphemic Resonance that introduced the idea of a non-mechanical universe, needs to be involved to comprehend what the mind field really is. According to Sheldrake, each member of a species draws the experiences of his ancestors from a collective memory. The most revolutionary aspect of his idea is the assertion that memories do not lie in the brain itself, but in a field of information, somehow similar to remote archive systems such as Cloud, accessible to every human being. This morphemic field interacts with the brains and the neural systems of each member of the species, by imposing schemes and structures to those processes otherwise chaotic and undefined. Without being too specific, it’s enough to know that the mind field ( or morphemic) can help us understand how each individual has access to a superior quantity of information, compared to the ones he can accumulate himself through sensorial experiences, during an entire life.

Valerio Melchiotti, Resistence, oil on canvas , 30x40 cm,  2015

Valerio Melchiotti, Resistence, oil on canvas , 30×40 cm, 2015

As a matter of fact , throughout the times, art has always related itself to philosophy and science, in a complex knot of mutual influences. For instance, we can observe how the results of the most recent researches on the mental field and on the concept on “non-locality” quantum, actually affect the way contemporary painting distances itself from a mere depiction of reality as much as from the representation of purely abstract concepts. The two opposite foundations of Nineteenth Century Painting, Abstract and Figuration, have left some space to the birth of a hybrid language, born from the interpolation between the two models. This language is visually defined by incongruous narrations, simultaneous representations, dissociations between subjects and meanings, deformations of anatomy, perspective, and of the time-space perception. The simultaneity of the narrative episodes that nullify the continuity of the story, but also the constant redefinition of the space concept through the acquisition of multiple points of view, mirrors the potential dimension of the mind field, which is determined by the inference of many individuals. The breech of traditional schemes in depicting space and time, actually typical of every visual expression of the twentieth Century, acquires a major role in contemporary painting. Simultaneity is a feature of the mind field, where present, past and future information coexist. The physic and theorist Amit Goswami affirms that the “non-local quantum”, the one that distinguishes subatomic particles, also happens between brains. According to Sheldrake as well, the morphemic field keeps the memory of the species, in order to register any information and at the same time let them evolve thanks to present experiences.

Annalisa Fulvi, Geometrie Rurali 8, acrylic on canvas, 80x100 cm, 2014

Annalisa Fulvi, Geometrie Rurali 8, acrylic on canvas, 80×100 cm, 2014

A look to Neo Rauch painting can help explaining this concept by images. In the fundamental paintings of the Neue Leipziger Schule, the visual narration appears segmented in different episodes that do not allow a logic reconstruction of the events. The space is incongruous; locations fade into one another, with no continuity, while historical time is confused and fragmented.

This depiction model rapidly diffused across Europe, influencing many contemporary painters , from Daniel Pitin to David Schnell, from Martin Kobe to Tilo Baumgaertel, to Justin Mortimer and Adrian Ghenie, just to mention a few. What combines them all, no matter the stylistic differences, is indeed the discontinuity of the narration, the overlapping of images and the tendency to leave some parts of the painting unfinished, as if it was an open story, constantly becoming. This operating approach leaves the narrative content to a secondary level, focusing instead on the formal analysis of representation processes.

Dario Maglionico, Reificazione #5, oil on canvas, 132 x 188 cm, 2014

Dario Maglionico, Reificazione #5, oil on canvas, 132 x 188 cm, 2014

For example, a similar conception can be found in Paolo De Biasi’s painting, as he affirms, “even if a painting is enclosed in a perimeter, his borders are paradoxically infinite”. The artwork is, to the artist, the result of a discovering process that not only involves the individual dimension, but also the field of collective imagery. The sources are multiple and virtually unending, they can include images drawn from personal memories, from dreams and unconscious projections, from the web and even from other artists. De Biasi’s painting generates from the intersection between the stream of consciousness and a sea wide amount of information and it is distinguished by a juxtaposition of apparently senseless images.

Paolo De Biasi, Untitled, acrylic and collage on canvas, 60x50 cm, 2015

Paolo De Biasi, Untitled, acrylic and collage on canvas, 60×50 cm, 2015

The representation happens within an undefined space, lacking sure references, within a fluid and simultaneous timely dimension, built after the compositional approach typical of the surrealistic collage technique. De Biasi takes cognizance of the impossibility of producing a unique (and identifying) vision of reality, which is nowadays too complex and fragmented, leaving to the observer the task of detecting relationships and connections among the figures. What really arises from his research, which is ambiguously suspended between abstract schemes and figurative models, is the idea of an uncatchable contemporaneity, “no more synthesizable nor limited” to a single point of view. All the subject has to do is select images from the menu of his mind field, trying to give back a most holographic vision of the existential complexity, to the observer.

Paolo De Biasi, Potreto, acrylic and collage on canvas, 50x40 cm, 2014

Paolo De Biasi, Potreto, acrylic and collage on canvas, 50×40 cm, 2014

Even Annalisa Fulvi’s artworks result from the combination and juxtaposition of estranged elements. The artist focuses on the evolution of the urban and natural landscape, revealing the presence of constantly changing locations and spaces. Fulvi does not limit herself to documenting effective changes, but she also takes in consideration those that are virtually possible, opening her representation field to the potential developments of architectural structures and natural shapes. Her painting, based on the accumulation of abstract hatches and realistic elements, geometrical patterns and iconic signs, is the result of an accurate study of the space, derived from the observation of reality and from the analysis of the cultural structures reality is made of. Drawing by Zygmunt Bauman the idea of a liquid society , mobile and in constant evolution, Annalisa Fulvi tries to catch the uncertain disposition of existence through a painting that seizes the sudden and contradictory aspects of contemporary reality.

Annalisa Fulvi, Geometrie Rurali 3, acrylic on canvas, 80x100 cm, 2014

Annalisa Fulvi, Geometrie Rurali 3, acrylic on canvas, 80×100 cm, 2014

It gives back the vision of an unaccomplished and ambiguous space, built on the juxtaposition of unstable elements and structures, such as trellis, scaffoldings and signs that underline their uncertain and random essence. The changes in the landscape therefore become an excuse to reflect on the elements that affect, often unwittingly, people’s behaviour. The rise of new construction sites effectively brings an untreatable imbalance in the natural tissue, which nullifies the architectural premises of bringing a rational order to the chaos of shapes.

Annalisa Fulvi, Sinonimi per una pittura insulare, acrylic on canvas, 55x70 cm, 2014

Annalisa Fulvi, Sinonimi per una pittura insulare, acrylic on canvas, 55×70 cm, 2014

In Dario Maglionico’s painting the space, the domestic one in particular, is close to the traditional mimetic and prospective depiction of reality. On the other hand, the individual subjects are undefined, out of focus. They acquire a ghostly appearance. In the series Reificazioni, the house, permanent centre of gravity of the individual, becomes a transition place, a crossing space, that records the fading and evanescent trace left by the passage of the individuals who inhabit it. This way, while the domestic interiors confer a frame of balance, at least within the depiction, the actions of the subjects multiply in a synchronic dimension where past and present converge.

Therefore, Maglionico’s research points out the impossibility to concretely define the psychological identity of the painted subject, sending it back to the objects and furnishings surrounding him. In the same way , the reification – a philosophical concept by Karl Marx doctrine- indicates the people’s commercialization or the reduction of their psychological , moral and cultural motions, to mere objects. Through his painting, the artist describes reality as a process of human commercialization of human experiences, a sort of gratuitous creation of the mind, who is unable by nature to seize the dynamic and jumble complexity of the existence. That is the reason why in his canvases, people metaphorically appear as incomplete anatomies, undefined looks, as captured in a late, quick and imprecise vision.

Valerio Melchiotti’s painting has a frangmented vocation, where the typical media realism of his portraits is filtered by an inner psychological quest that flows into a bunch of incongruous narrations. The artist himself defines his artworks as “small theatres, sometimes absurd and lacking logic”, and, in fact, they could be considered as segments of a potential surreal tale, or a short movie studded with ambiguous and enigmatic images.

Valerio Melchiotti, Song from Mars, oil on canvas 30x40 cm,  2015

Valerio Melchiotti, Song from Mars, oil on canvas 30×40 cm, 2015

In Melchiotti’s work the preference for small sizes states the will to catch back with his inner self, a dimension the artist reaches thanks to the traces and fragments of lost childhood memory, made of comics, old black and white pictures, sci-fi tales and board games. However, the artist hides all these elements in a coded visual language, almost obscure. We can therefore affirm that the mystery of human psyche, with its sudden pairings and obscure interferences with the collective unconscious, is the real subject of Melchiotti’s painted work. A painting that is full of slips and failures, subtractions and cancellations, ambiguous images, but yet able to depict the imperfect and unavoidably evanescent essence of memory.

Valerio Melchiotti, The silent King,  oil on canvas, 30x40 cm,  2014

Valerio Melchiotti, The silent King, oil on canvas, 30×40 cm, 2014

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[1] Fabrizio Coppola, Ipotesi sulla realtà, Lalli editions, Poggibonsi (Siena), 1991, p. 250.

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INFO:
GALLERIA AREA B
PAINTING AS A MINDFIELD
Paolo De Biasi, Annalisa Fulvi, Dario Maglionico, Valerio Melchiotti.
Curated by Ivan Quaroni
April 2 – May 5- 2015
Opening: April 2 –  h 18.30

ITALIAN TEXT

La pittura come campo mentale

 

di Ivan Quaroni

Paolo De Biasi, Sample, acrylic on canvas, 70x50 cm, 2014

Paolo De Biasi, Sample, acrylic on canvas, 70×50 cm, 2014

La coscienza è il teatro, e precisamente l’unico teatro su cui si rappresenta tutto quanto avviene nell’universo, il recipiente che contiene tutto, assolutamente tutto, e al di fuori del quale non esiste nulla”.[1] Lo sosteneva il fisico e matematico austriaco Erwin Schrödinger, vincitore del Premio Nobel nel 1933 per il suo importante contributo agli studi sulla meccanica quantistica. Uno dei più eminenti studiosi, pioniere negli studi sulla coscienza, è stato il neurofisiologo e psicologo statunitense Benjamin Libet, autore della teoria del Campo Mentale Conscio (CMF – Conscious Mental Field), che distingue tra l’attività cerebrale, considerata una funzione elementare, e l’attività mentale, ritenuta, invece, un’attività molto più complessa.

Secondo Libet, la coscienza (o campo mentale) non è una funzione definita, ma qualcosa che emerge grazie a una serie di processi di aggiustamento e di ridefinizione che colmano i buchi dell’attività cerebrale, dando una coerenza, ad esempio, alla percezione dello spazio, delle forme e dei colori. In pratica, il campo mentale cosciente non è riducibile a un semplice processo neuronale e non può essere descritto come un evento fisico. Durante una serie di studi effettuati nel 1985, Libet dimostrava che l’esperienza soggettiva della volontà è successiva a una scelta compiuta a livello precosciente o inconscio. In sostanza, qualsiasi azione compiuta da un soggetto, come un banale atto motorio, è preceduta da una decisione neurale inconscia. C’è, insomma, uno scarto di una frazione di secondo prima che l’individuo sia consapevole della sua azione.

Annalisa Fulvi, Geometrie Rurali 7, acrylic on canvas, 60x80 cm, 2014

Annalisa Fulvi, Geometrie Rurali 7, acrylic on canvas, 60×80 cm, 2014

Questa scoperta ha portato gli studiosi a chiedersi quale fosse la sede dell’elaborazione delle decisioni, dove fosse situato il centro di comando delle azioni. Com’è noto, il cervello produce un’intensa attività e le onde cerebrali producono un campo elettrico e magnetico ma, di conseguenza, anche un campo morfico. Libet ha chiamato campo mentale il campo morfico delle attività mentali per indicare il modo in cui le esperienze soggettive emergono dall’insieme delle funzioni cerebrali.

Per capire che cosa effettivamente sia il campo mentale bisogna scomodare il biologo britannico Rupert Sheldrake, inventore della teoria della Risonanza Morfica, che introduce l’idea di un universo non meccanicistico. Secondo Sheldrake, ogni membro di ogni specie attinge alla memoria collettiva, alle esperienze anteriori degli individui e dei gruppi appartenenti alla sua specie. L’aspetto più rivoluzionario della sua idea consiste nel presumere che i ricordi, le memorie, non siano localizzati nel cervello, ma in un campo d’informazioni, – simile, per certi versi a sistemi remoti di archiviazione come Cloud – cui il cervello di ogni individuo ha accesso. Questo campo morfico interagisce con i cervelli e i sistemi nervosi di ogni individuo della specie, imponendo schemi e strutture in processi che altrimenti sarebbero caotici e indeterminati.

Senza entrare troppo nei dettagli, basti sapere che il concetto di campo mentale (o morfico) può aiutarci a capire come i singoli individui abbiano accesso a un serbatoio d’informazioni immensamente più grande di quelle che sono in grado di accumulare, attraverso le proprie esperienze sensoriali, nell’arco di un’intera esistenza.

Dario Maglionico, Reificazione #3, oil on canvas, 107 x 107 cm, 2014

Dario Maglionico, Reificazione #3, oil on canvas, 107 x 107 cm, 2014

Sappiamo che in ogni tempo l’arte ha intrattenuto rapporti con la filosofia e la scienza, in un complesso intreccio di reciproche influenze. Si può, ad esempio, osservare come gli esiti delle recenti ricerche sul campo mentale e sul concetto di “non località” quantistica si riflettano nel modo in cui la pittura contemporanea vada sempre di più allontanandosi tanto dalla mera descrizione mimetica della realtà, quanto dalla rappresentazione di concetti puramente astratti. I due antitetici capisaldi della pittura del Novecento, Astrazione e Figurazione, sembrano, infatti, aver lasciato spazio all’insorgere di un linguaggio ibrido, derivato dall’interpolazione dei due modelli.

Si tratta di un linguaggio visivamente caratterizzato da narrazioni incongrue, rappresentazioni simultanee, dissociazioni tra oggetti e significati, deformazioni dell’anatomia, della prospettiva, della percezione spazio-temporale.

La simultaneità di episodi narrativi, che invalidano la continuità del racconto, come pure la continua ridefinizione del concetto di spazio attraverso l’acquisizione di una molteplicità di punti di vista sono elementi che rispecchiano la dimensione potenziale del campo mentale, il quale è determinato dall’inferenza di più individui. La rottura degli schemi tradizionali nella rappresentazione dello spazio e del tempo, tipica, in verità, di tutte le espressioni visive del ventesimo secolo, assume nella pittura contemporanea un’importanza rilevante. La simultaneità è una caratteristica del campo mentale, in cui tutte le informazioni presenti, passate e future coesistono. Il fisico e teorico Amit Goswami sostiene che la “non località quantistica”, quella che contraddistingue le particelle subatomiche, si verifica anche tra cervelli. Anche per Sheldrake, il campo morfico contiene la memoria della specie, poiché in esso tutte le informazioni si registrano e, al tempo stesso, si evolvono grazie alle esperienze del presente.

Uno sguardo alla pittura di Neo Rauch può aiutare a chiarire, in termini d’immagini, questo concetto. Nei dipinti del capostipite della Neue Leipziger Schule, infatti, il racconto visivo appare segmentato in una varietà di episodi che non permettono una ricostruzione logica degli eventi. Lo spazio è incongruo, articolato in luoghi che sfumano l’uno nell’altro, senza soluzione di continuità, mentre il tempo storico è frammentato e confuso. Questo modello di rappresentazione si è diffuso rapidamente in Europa, influenzando molti pittori contemporanei, da Daniel Pitin a David Schnell, da Martin Kobe a Tilo Baumgaertel, fino a Justin Mortimer e Adrian Ghenie, solo per citarne alcuni. Ciò che li accomuna, nonostante le differenze stilistiche, è appunto la discontinuità del racconto, la sovrapposizione d’immagini e la tendenza a lasciare alcune parti del dipinto inconcluse, come se si trattasse di una rappresentazione aperta, ancora in divenire. Si tratta di un approccio operativo che relega in secondo i contenuti narrativi, concentrandosi, piuttosto, sull’analisi formale dei processi di rappresentazione.

Valerio Melchiotti, The trap of the king, oil on canvas 30x40 cm, 2015

Valerio Melchiotti, The trap of the king, oil on canvas 30×40 cm, 2015

Una concezione simile si trova, ad esempio, nella pittura di Paolo De Biasi, il quale sostiene che “pur essendo il quadro delimitato da un perimetro, paradossalmente i suoi confini sono sconosciuti”. Per l’artista, l’opera è il risultato di un processo conoscitivo che coinvolge non solo la dimensione individuale, ma anche la sfera dell’immaginario collettivo. Le fonti sono molteplici, virtualmente infinite, e possono includere immagini derivanti da esperienze e memorie personali, da sogni e proiezioni dell’inconscio, dalla rete informatica e perfino da immagini prodotte da altri artisti. Generata dall’intersezione tra il flusso di coscienza e la marea informazionale, la pittura di De Biasi è caratterizzata dalla giustapposizione d’immagini apparentemente prive di significato. La rappresentazione si svolge in uno spazio indeterminato, privo di riferimenti certi, entro una dimensione temporale di fluida simultaneità, costruita secondo una logica compositiva memore della tecnica del collage surrealista.

Paolo De Biasi, Specimen, acrylic and collage on canvas, 70x60 cm, 2014

Paolo De Biasi, Specimen, acrylic on canvas, 70×60 cm, 2014

De Biasi prende atto dell’impossibilità di produrre una visione unitaria (e identitaria) della realtà, oggi troppo complessa e frammentata, demandando all’osservatore il compito di rintracciare i nessi e i rapporti tra le figure. Ciò che emerge, infatti, dalla sua ricerca, equivocamente sospesa tra schemi astratti e modelli figurativi, è l’idea di una contemporaneità inafferrabile, “non più sintetizzabile e circuibile” nei limiti di un singolo punto di vista. Al soggetto non resta che la facoltà di selezionare le immagini dal menù del proprio campo mentale, nel tentativo di restituire all’osservatore una visione, il più possibile ologrammatica, della complessità esistenziale.

Anche le opere di Annalisa Fulvi nascono dall’accostamento e dalla sovrapposizione di elementi estranei tra loro. L’artista si concentra sull’analisi delle trasformazioni del territorio urbano e naturale, rilevando la presenza di spazi e ambienti in continua metamorfosi. Fulvi non si limita a documentare i cambiamenti tangibili del paesaggio, ma considera anche quelli virtualmente possibili, aprendo il campo della rappresentazione agli sviluppi potenziali delle strutture architettoniche e delle forme naturali. La sua pittura, basata sull’affastellamento di campiture astratte ed elementi realistici, pattern geometrici e icone segnaletiche, è il risultato di un accurato studio dello spazio, derivato dall’osservazione della realtà e dall’analisi delle strutture culturali che la definiscono.

Mutuando da Zygmunt Bauman l’idea di una società liquida, mobile e in costante evoluzione, Annalisa Fulvi tenta di cogliere il carattere precario dell’esistenza attraverso una pittura che tenta di cogliere gli aspetti imprevisti e contraddittori della realtà contemporanea, restituendoci la visione di uno spazio incompiuto e prospetticamente ambiguo, costruito sulla giustapposizione di elementi e strutture instabili, come tralicci, impalcature e segnali che ne sottolineano l’essenza impermanente e aleatoria. Le trasformazioni del paesaggio, diventano così, un pretesto per riflettere sugli elementi che condizionano, spesso inconsapevolmente, i comportamenti degli individui. L’insorgere di nuovi cantieri edili, infatti, porta uno squilibrio insanabile nel tessuto ambientale, che invalida le premesse stesse dell’architettura, la cui missione è, invece, di portare un ordine razionale nel caos delle forme.

Nella pittura di Dario Maglionico lo spazio, in particolare quello domestico, si conforma alle tradizionali regole di rappresentazione mimetica e prospettica della realtà. A essere indeterminate, fuori fuoco, sono invece le persone, che assumono un aspetto fantasmatico. Nella serie delle Reificazioni, la casa, centro di gravità permanente dell’individuo, diventa un luogo di transito, di attraversamento, che registra la traccia sfumata ed evanescente del passaggio degli individui che la abitano. Così, mentre gli interni domestici forniscono una cornice di stabilità, se non altro del campo della rappresentazione, le azioni dei soggetti si moltiplicano in una dimensione sincronica, in cui convergono passato e presente.

Dario Maglionico, Reificazione #6, oil on canvas, 165 x 88 cm, 2014

Dario Maglionico, Reificazione #6, oil on canvas, 165 x 88 cm, 2014

La ricerca di Maglionico rileva, dunque, l’impossibilità di definire concretamente l’identità psicologica del soggetto rappresentato, rinviandola, piuttosto, agli oggetti e alle suppellettili che lo circondano. Analogamente, la reificazione – un concetto filosofico mutuato dalla dottrina di Karl Marx – indica la mercificazione o riduzione a oggetto delle persone e delle loro istanze psicologiche, morali e culturali. Attraverso la sua pittura, infatti, l’artista descrive la realtà come un processo di reificazione delle esperienze umane, una sorta di creazione arbitraria della mente, per natura incapace di cogliere la magmatica e dinamica complessità dell’esistenza. Per questo motivo, nelle sue tele, le persone compaiono, metaforicamente, sotto forma di anatomie incomplete e fisionomie indistinte, come fossero catturate da una visione fugace, tardiva, inevitabilmente imprecisa.

Ha una vocazione frammentaria anche la pittura di Valerio Melchiotti, in cui il tipico realismo mediatico dei suoi ritratti viene filtrato attraverso una dimensione d’introspezione psicologica, che sfocia in una pletora di narrazioni incongrue. L’artista, infatti, definisce i suoi dipinti “piccoli teatrini, talvolta assurdi e privi di logica” e, in effetti, potrebbero considerati come i segmenti di un ipotetico racconto surreale o di cortometraggio costellato d’immagini ambigue ed enigmatiche.

Nel lavoro di Melchiotti, la predilezione per piccoli formati corrisponde alla volontà di riappropriarsi del proprio mondo interiore, una dimensione cui l’artista accede tramite la riesumazione di tracce e frammenti di un perduto immaginario infantile, fatto di fumetti, vecchie foto in bianco e nero, racconti di fantascienza e giochi in scatola. Tutti elementi che, tuttavia, l’artista inserisce in un linguaggio visivo cifrato, quasi incomprensibile.

Si può, infatti, affermare che l’enigma della psiche umana, con le sue imprevedibili associazioni e le sue misteriose interferenze con l’inconscio collettivo, sia il vero soggetto della pittura di Melchiotti. Una pittura piena di lapsus e omissioni, di sottrazioni e cancellazioni, che con le sue immagini ambigue, riesce a riprodurre l’essenza imperfetta e ineluttabilmente effimera dei ricordi.

PAINTING AS A MINDFIELD
Paolo De Biasi, Annalisa Fulvi, Dario Maglionico, Valerio Melchiotti.
A cura di Ivan Quaroni
GALLERIA AREA B
Via Marco D’Oggiono n 10 Milano
DURATA MOSTRA: dal 2 aprile al 5 maggio 2015
ORARI: lunedì 15.00 -18.00, martedì-sabato 10.00-13.00 15.00-18.00
t 02 89059535     m info@areab.org

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[1] Fabrizio Coppola, Ipotesi sulla realtà, Lalli editore, Poggibonsi (Siena), 1991, p. 250.

Premio Griffin | 2014.

5 Giu

Ambiguità e indeterminazione delle nuove ricerche

di Ivan Quaroni

«Il linguaggio opera interamente nell’ambiguità,

e la maggior parte del tempo non sapete assolutamente nulla di ciò che dite.»

(Jacques Lacan,Il seminario, 1953-1980)

I premi servono innanzitutto a valutare lo stato di salute dell’arte di un paese, ma anche a prendere atto delle tendenze e dei movimenti centrifughi che caratterizzano le ricerche delle giovani generazioni. In tal senso, la visione delle opere dei partecipanti al Premio Griffin 2014 conferma lo stato di crisi delle espressioni figurative, già anticipato nella precedente edizione, mostrando una generale tendenza ad attardarsi su stilemi desueti, largamente indagati nel decennio precedente. Si tratta di una crisi che riguarda soprattutto la figurazione di carattere più narrativo, quella che, per intenderci, si esprime attraverso i generi tradizionali del ritratto e del paesaggio. Si avverte, invece, un maggiore interesse da parte delle nuove generazioni verso le espressioni astratte e concettuali, forse ritenute capaci di riportare la pittura entro un dominio operativo puro, non minacciato dalla forza comunicativa e pervasiva dei nuovi media digitali. Sembra, infatti, che sia in atto uno spostamento d’interesse verso forme di rappresentazione ambigue, in cui la convivenza di elementi astratti e lacerti di figurazione confluisce nella costruzione di visioni parziali e frammentarie, che in un certo senso testimoniano un mutato rapporto nei confronti della realtà, sempre più avvertita come una struttura mutevole e instabile. Insomma, il Mondo Liquido descritto da Zygmunt Bauman produce i suoi effetti anche sulla formazione delle nuove sensibilità artistiche, favorendo ora la fuga verso la dimensione introspettiva dell’astrazione, ora la predilezione verso meccanismi di decostruzione della mimesi realistica. Nelle opere dei finalisti di entrambe le categorie del Premio Griffin, dedicate agli Studenti d’Arte e agli Artisti Emergenti, emerge un approccio di tipo formalista e concettuale, con una spiccata predilezione per la pittura aniconica.

Hyeok Lee, Soldaato, acrilico su tela, 80x150 cm., 2014

Hyeok Lee, Soldaato, acrilico su tela, 80×150 cm., 2014

Nella categoria Studenti, l’unica eccezione è il sudcoreano Hyeok Lee, la cui ricerca ruota attorno a temi come la guerra e la violenza. L’artista indaga attraverso un approccio multidisciplinare che spazia dalla pittura al video, la possibilità di esorcizzare la violenza attraverso la pratica artistica. Nei suoi dipinti, caratterizzati da un’estrema sintesi visiva, la figura del soldato, simbolo della guerra, irradia linee circolari e concentriche fino a formare l’immagine di un’impronta digitale, insieme carta d’identità e memoria storica (e genetica) della violenza.

Xhimi Hoti, Senza titolo n. 10, acrilico su tela, 120x150 cm., 2013

Xhimi Hoti, Senza titolo n. 10, acrilico su tela, 120×150 cm., 2013

Ispirandosi ai progetti dell’architetto futurista Antonio Sant’Elia, Xhimi Hoti sviluppa una pittura rigorosa, in cui dominano figure piane e solidi fluttuanti, a disegnare fughe prospettiche e dinamismi spaziali. Hoti usa la geometria come filtro per costruire (o meglio, decostruire) singolari schemi architettonici, che sospende in una dimensione densa, quasi pietrificata, tutta giocata su un registro cromatico di bianchi, neri e grigi.

Chiara Campanile, Mangiando salsicce con Giuseppe Abate, olio e acrilico su tela, 90x85 cm., 2013

Chiara Campanile, Mangiando salsicce con Giuseppe Abate, olio e acrilico su tela, 90×85 cm., 2013

Uno spazio fluido, indefinito è quello che caratterizza i paesaggi astratti di Chiara Campanile, la quale non abolisce del tutto la figura, ma ne sottolinea l’ambiguità, fino a renderla irriconoscibile. Il suo lavoro rientra appieno nella definizione di Astrazione Ambigua, usata dal critico Tony Godfrey per indicare le ricerche pittoriche dove è più labile il confine tra iconico e aniconico.

Livia Oliveti, Flowing, Polistirolo, resina, acrilico, gesso, fumo, fuoco, 74x31 cm., 2014

Livia Oliveti, Flowing, Polistirolo, resina, acrilico, gesso, fumo, fuoco, 74×31 cm., 2014

Una ricerca attenta ai materiali è quella di Livia Oliveti, che sfrutta le caratteristiche tecniche di supporti non tradizionali, come ad esempio il polistirolo, per creare una pittura caratterizzata da ritmi e scansioni quasi scultoree. Nell’opera Flowing, infatti, Livia Oliveti unisce alla tensione lirica e all’impulsività del gesto, una capacità di sintesi progettuale, che la porta organizzare le superfici come una sequenza di texture pittoriche.

Florian Zyba, Suoni emotivi, acrilico su tela, 120x120 cm., 2013

Florian Zyba, Suoni emotivi, acrilico su tela, 120×120 cm., 2013

Fa appello ai processi sinestetici la pittura di Florian Zyba, che rielabora la lezione puntinista di Seurat in uno stile astratto, che cattura su grandi tele circolari, memorie e impressioni del passato. Zyba frammenta le forme in nebulose cromatiche, diagrammi corpuscolari, che irretiscono lo spettatore in un labirinto di emozioni ottiche e sensazioni sonore.

Paolo Bini, Sa, acrilico su carta gommata applicata su tela, 120x120 cm., 2014

Paolo Bini, Sa, acrilico su carta gommata applicata su tela, 120×120 cm., 2014

Nella categoria degli Emergenti, troviamo due artisti che, con diverso approccio, operano nell’ambito dell’astrazione. Il primo è Paolo Bini, che dalle suggestioni del paesaggio, distilla una pittura dominata da cromie intense e caratterizzata da un singolare processo compositivo. Bini costruisce le sue opere giustapponendo strisce di carta gommata, ognuna delle quali viene dipinta singolarmente e poi inserita in un meticoloso assemblaggio. Il risultato sono lavori che formano pattern ad alta densità emotiva.

Claudia Marini, Grovigli, collage su forex, dittico 35x24 cm. cad, 2014

Claudia Marini, Grovigli, collage su forex, dittico 35×24 cm. cad, 2014

Un lavoro di assemblaggio caratterizza anche l’opera di Claudia Marini che, ritagliando e incollando carte incise e dipinte in precedenza, compone oblunghi grovigli di filamenti che alludono ai processi di proliferazione organica. Per costruire i suoi collage, contrassegnati da un raffinatissimo bilanciamento di linee e colori e da una pulizia formale dal sapore orientale, l’artista usa figure modulari desunte dal mondo naturale, che vengono replicate e variate, fino formare lunghe strutture verticali.

Annalisa Fulvi, Non ci resta altro da fare, acrilico su tela, 120x145 cm., 2014

Annalisa Fulvi, Non ci resta altro da fare, acrilico su tela, 120×145 cm., 2014

L’indagine figurativa di Annalisa Fulvi s’incentra sul tema classico della città, attraverso una dettagliata analisi delle trasformazioni delle aree metropolitane. Brani di cantieri edili e edifici in costruzione sono i soggetti di una pittura che abolisce la rappresentazione lineare, accentuando la frammentarietà della visione attraverso un caotico affastellarsi di sovrapposizioni cromatiche. Nei dipinti dell’artista, l’incompiutezza dell’architettura urbana diventa, quindi, simbolo di una condizione di dolorosa precarietà esistenziale.

Giuseppe Costa, Montagna Longa (serie Heimat), Carboncino e grafite su cartoncino, 33x20 cm., 2013

Giuseppe Costa, Montagna Longa (serie Heimat), Carboncino e grafite su cartoncino, 33×20 cm., 2013

Il paesaggio, filtrato attraverso una sensibilità nostalgica, è il soggetto principale dell’indagine di Giuseppe Costa, che nella serie Heimat s’interroga sul senso di appartenenza a un territorio e a una cultura specifici. Artista palermitano, trapiantato a Milano, Costa oppone allo spaesamento provocato dalla globalizzazione, la ricostruzione di una memoria personale, sorta di diario intimo, dove i luoghi della sua città sembrano perdersi nelle nebbie del tempo, avvolti in una coltre lattiginosa che rende i contorni labili e le forme evanescenti.

Stefania Ruggiero, #qualité, arkers e pastelli a olio su carta, 35x24 cm., 2014

Stefania Ruggiero, #qualité, arkers e pastelli a olio su carta, 35×24 cm., 2014

Con una pittura sintetica e analitica, Stefania Ruggiero priva le persone (ma anche le cose) di tratti distintivi e dettagli che possano rivelarne lo status sociale. Così, spoglia la realtà di ogni particolare descrittivo, riducendo i “soggetti” a una dimensione puramente oggettuale, al fine di stigmatizzare l’importanza di marchi e simboli commerciali nei meccanismi d’interazione della società contemporanea.

PREMIO GRIFFIN. Mostra dei 10 finalisti
Milano, Fabbrica del Vapore
6-26 giugno 2014
Inaugurazione: 5 giugno ore 18.30

Orari: dal lunedì al sabato, ore 16.30 – 19.30 e su prenotazione a segreteria@premioartegriffin.it

PREMIO GRIFFIN 2014
www.premioartegriffin.it
segreteria@premioartegriffin.it

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