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Il canto della solitudine

31 Mag

Dangiuz meets Giovanni Motta

di Ivan Quaroni

Non è la collisione di due mondi, il forzato innesto di due diverse infosfere, ma piuttosto un’intersezione temporale, la momentanea confluenza di due visioni parallele che raccontano la stessa storia da due prospettive differenti. Ciò che caratterizza la collaborazione tra Dangiuz (Torino, 1995) e Giovanni Motta (Verona, 1971) è anche la possibilità di due generazioni, la Z e la X, di parlare attraverso il codice binario della macchina e il linguaggio tecnologico della pittura. Entrambi costruiscono la propria visione nell’ambiente digitale, ma vogliono tradurre le immagini costruite da bit nella realtà particellare e atomica dell’oggetto. Motta offre a Dangiuz la possibilità di trasformare l’alchimia digitale delle sue proiezioni nella caduca materialità della pittura. In cambio, gli chiede di ospitare Jonny Boy, il suo avatar pittografico, all’interno del suo malinconico universo cyberpunk. Sembra uno scambio equo, l’esplorazione di una potenzialità in cui finalmente reale e virtuale si espandono reciprocamente.  

Il comune terreno d’incontro sono gli anni Ottanta, il decennio che ossessiona le subculture della rete del nuovo millennio con una pervasiva moltiplicazione di generi estetici e musicali, dalla Vaporwave all’Outrun, dalla Synthwave alla Dreamwave, passando attraverso sottogeneri come l’Horror Synth e il Dark Synth, e mediati da reminiscenze cinematografiche e videoludiche che aleggiano, come fantasmi elettrici, nei circuiti neurali dei naviganti. Giovanni Motta gli anni Ottanta li ha vissuti, metabolizzati, rievocati nella memoria e poi perlustrati attraverso le pratiche della meditazione regressiva, Dangiuz, invece, li ha sognati, re-immaginati e filtrati attraverso i paesaggi sintetici di GTA Vice Citye le distopie cyberpunk di Blade Runner e Ghost in The Shell.

Dangiuz, What a Dream Looks Like?, 2021, NFT

L’interscambio avviene tramite la fusione di due psicogeografie: quella di Motta, abitata dalle molteplici incarnazioni dell’inner child, l’eterno infante, fonte di ogni entusiasmo vitale, e quella di Dangiuz, che assume la configurazione di una notturna congerie urbana illuminata da ologrammi e scariche incandescenti di neon, insomma lo scenario di un futuro prossimo più che plausibile. In What a Dream Looks Like?, Jonny Boy viene strappato dalle sue fantasie ludiche (e videoludiche) e dalle sue innocenti pulsioni libidiche e catapultato nella dura realtà del conglomerato, quello che William Gibson preconizzava in Count Zero(1986), lo Sprawl, immane megalopoli che si estende da Boston fino ad Atlanta, o, se preferite, la Neo-Tokyo immaginata da Katsuhiro Otomo in Akira (1988), un incubo verticale di sopraelevate e grattacieli collegati da ponti sospesi, affacciati su un’abissale giungla di livelli stradali.

Giovanni Motta, What a Dream Looks Like?, 2021, acrilico su tela, 100×80 cm

È, infatti, nel visionario territorio delle proiezioni retro-futuristiche della Los Angeles di Rick Dekard, filiazione diretta della Metropolis di Fritz Lang, che s’incrociano due solitudini smisurate. Da una parte, ci sono i romantici personaggi di Dangiuz, buie silhouette stagliate sui lampi intermittenti di una metastasi urbana che incarna, sintetizzandoli, tutti gli squilibri della fase terminale del tardo-capitalismo: dalle feroci disuguaglianze di un mondo iper-gerarchizzato all’immane catastrofe ecologica, dalla polverizzazione del patto sociale alla definitiva sostituzione politica del controllo delle nazioni con lo strapotere delle multinazionali, dalla connettività pervasiva e post-umana dei servo-meccanismi e degli algoritmi della Rete alla definitiva e claustrale solitudine dell’individuo isolato nella propria cellula abitativa. Dall’altra parte, c’è la geografia solipsistica di Giovanni Motta, che tramuta l’infanzia in un sogno dilatato oltre i propri limiti organici e affida al corpo astrale di Jonny Boy il compito di farsi messaggero di una gioventù iperbolica, dispositivo energetico e contagioso di un entusiasmo protratto ad libitum, che finisce, però, per diventare, nella dimensione della vita adulta, una sorta di sostituto psichico delle illusorie promesse della chirurgia estetica. La fonte dell’eterna giovinezza in un mondo che cade a pezzi, polverizzato dai processi caotici e distruttivi dell’Antropocene.

Se nell’universo cyberpunk di Dangiuz gli individui fronteggiano la mostruosa e affascinante immensità architettonica di una civiltà morente, così come il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich fronteggiava, nell’età romantica, l’incommensurabile forza della natura, nella nostalgia estetica e post-manga di Giovanni Motta, l’uomo si trova a fare i conti con il proprio sé infantile, nel tentativo di ricostruire un’identità adulta fiaccata e indebolita dal reticolo di obblighi e costrizioni di quella stessa società morente. Sono due esorcismi che si corrispondono: la fuga in avanti verso un futuro impossibile da scongiurare, la fuga interiore, verso un microcosmo che si oppone all’inevitabile senescenza dei circuiti cerebrali.

Painting – Details, Acrylic on canvas – 2021

Il lavoro bicefalo di Dangiuz e Giovanni Motta è la traduzione visiva di una pletora di dubbi e domande la cui risoluzione richiederebbe pagine e pagine di trattati filosofici, scientifici e sociologici, la condensazione estetica di tutti i dilemmi di un futuro che da tempo non ci appare più roseo. Ma è anche, inevitabilmente, la fotografia di una traiettoria iperstizionale che può essere deviata dal proprio corso ineluttabile e commutata in una potenzialità già inscritta nel presente e, dunque, percorribile. Una via d’uscita forse c’è.

“La possibilità è ancora lì”, scrive Franco “Bifo” Berardi in Futuribilità (Nero edizioni, Roma, 2018), “nascosta nella connessione tra cervelli attualmente costretti a operare per il solo profitto delle grandi corporation, ma potenzialmente in grado di inventare un altro modello fondato sull’utilità sociale, costruire una piattaforma tecnica e sociale che punti all’autonomia dell’intelletto generale: questo è il programma di lungo periodo che può produrre degli effetti”. La collaborazione tra due artisti è il primo passo di questo programma, l’alleanza cognitiva ed estetica intesa come primitivo nucleo utopico e rivoluzionario. L’amicizia come cellula curativa e ricostruttiva di una socialità polverizzata. 

A che cosa somiglia un sogno? Forse a un conglomerato industriale, a una megalopoli ipertrofica, solcata dalle tortuose volute dei viadotti e dei rettifili autostradali. Forse all’immagine di un bambino e di un gatto che attraversano le macerie di una periferia senza fine.  Forse, se ci crediamo abbastanza, a un mondo in frantumi, tutto da ricostruire, un mondo ancora coperto di detriti e rottami, ma in cui finalmente non ci sentiamo più soli.

Giovanni Motta, Painting Detail

Dangiuz, NFT Detail


What a Dream Looks Like? è il frutto della collaborazione tra gli artisti Dangiuz (Leopoldo D’Angelo) e Giovanni Motta che consiste nell’incontro tra due universi visivi paralleli ma coerenti. Dangiuz ha sviluppato l’opera digitale, l’NFT nel quale ha inserito nei suoi classici scenari urbani cyberpunk il personaggio di Jonny Boy creato da Giovanni Motta per rappresentare il bambino interiore che è in tutti noi. Giovanni Motta ha trasferito in pittura l’opera digitale di Dangiuz, realizzando un acrilico su tela in formato 100×80 cm. What a Dream Looks Like? è un’opera di realtà espansa in cui materiale e immateriale s’incontrano nella perfetta combinazione di due pensieri e di due modalità operative. Chi acquista l’NFT si aggiudica anche il dipinto, ottenendo, così, entrambe le opere, espressione di un’unica creazione condivisa.


The English Version on SuperRare.com

The Drop on SuperRare.com

Giovanni Motta Web Site

Dangiuz Web Site

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Giovanni Motta. Game Over. Play Again?

9 Apr

di Ivan Quaroni

Huge Me, 2021, acrilico su tela, 120×120 cm

Intro

La pittura è una “tecnologia”. La parola deriva dalla combinazione di due termini del greco antico, techne (arte, abilità) e loghía (discorso, spiegazione), che insieme significano “trattazione sistematica su un’arte”. Nella concezione classica non c’è distinzione tra arte e tecnica. Entrambe comprendono ogni prodotto dell’abilità umana, si tratti di pittura, scultura, architettura o di qualsiasi altro manufatto e utensile la cui costruzione richieda una conoscenza pratica. Più tardi, nella cultura romana, venne introdotto il concetto di Ars, ma anche in questo caso con l’accezione di “abilità”, cui doveva aggiungersi un aggettivo che ne specificasse il campo: Ars poetica (la poesia), Ars amandi (l’arte amatoria), Ars venandi (la caccia) e così via. Fu nel XVII secolo che lo studioso fiorentino Filippo Baldinucci scrisse, per la prima volta, delle “arti belle dove s’adopera il disegno” riferendosi alla pittura, scultura e architettura. Oggi, alla luce dell’esplosione dell’arte digitale, della crypto art, degli NFT, mentre assistiamo all’esponenziale ampliamento delle possibilità espressive nel campo delle arti visive, ci viene spontaneo recuperare l’antica definizione dei greci. Arte e tecnologia sono intrecciati indissolubilmente nei nuovi linguaggi e non si può essere artisti digitali senza essere anche tecnici che conoscano il funzionamento di software di elaborazione grafica, di animazione, di modellazione 3D e che sappiano agevolmente muoversi tra piattaforme come Rarible, SuperRare o Opensea, che consentono agli utenti di vendere e acquistare NFT (Non Fungible Token) e i diversi social media in cui si approfondiscono temi e argomenti legati all’attuale Rinascimento digitale che promette di ridefinire il concetto stesso di “belle arti”.

L’arte di Giovanni Motta s’inquadra in questo epocale momento di transizione, configurandosi come una pratica, o se preferite una techne, capace di sommare le abilità tecnologiche della digital art con quelle artigianali della pittura propriamente detta. 

Tutte le sue opere nascono in un ambiente digitale, sono, cioè, il prodotto dell’utilizzo di software di elaborazione digitale come Photoshop o Cinema 4D, che successivamente subiscono un ulteriore processo di raffinazione nella dimensione analogica della pittura tradizionale. I suoi lavori possono, quindi, assumere la forma di file Jpeg, Gif o MP4, ma anche avere la consistenza fisica di disegni su carta o di dipinti su tela realizzati manualmente con una precisione quasi maniacale. Questa combinazione di procedure, questa multimedialità, non solo definisce l’estensione del suo campo d’azione ma, corrisponde a una volontà programmatica di rivolgersi a un pubblico ben più ampio di quello convenzionalmente ristretto dell’arte contemporanea. Insomma, Motta vuole trasmettere il suo messaggio visivo a una platea virtualmente molto più estesa, che include il pubblico dei Baby Boomer e della Generazione X, dei Millennial e della Generazione Z. 

Message

Il tema, cioè il contenuto, delle immagini create da Giovanni Motta, è tanto semplice quanto potente: la ricoperta del bambino interiore, la trasmissione di una potenzialità energetica e vitale che risiede nella memoria di ogni individuo. Il bambino interiore è un elemento primordiale della personalità che deve essere recuperato nella vita adulta, un serbatoio pulsionale, emozionale, profondamente vitalistico che ha tutte le qualità dell’archetipo. 

Carl Gustav Jung lo chiamava puer aeternus, l’essere incontrollabile, caotico, passionale, dominato dalle emozioni. Insomma, per dirla con Friedrich Nietzsche, l’incarnazione del principio dionisiaco, orgiastico, furioso che si identifica con gli stati di esaltazione ed ebbrezza spirituale e fisica. La sua ombra, il suo negativo è il senex, l’uomo maturo, disciplinato, controllato, razionale, obbediente al principio apollineo, espressione dei concetti di armonia, ordine, proporzione. L’immaginario pittorico, ma anche esistenziale, di Giovanni Motta è la traduzione visiva di questa strenua volontà di reintegrazione del bambino interiore nella dimensione quotidiana. Reintegrazione condotta attraverso il recupero mnemonico e iconografico di una congerie di segni e simboli transazionali, che catapultano l’osservatore nel meraviglioso caos emozionale dell’infanzia e della pubertà. 

Appartenendo alla cosiddetta Generazione X ed essendo cresciuto, dunque, negli anni Ottanta, non stupisce che i segni e i codici dell’età evolutiva assumano, per lui, la forma di oggetti riconducibili a quel decennio. I manga e gli anime giapponesi, i cartoni animati americani e i primi videogame, la tecnologia user-friendly delle origini, con quel misto di semplicità e candore, e tutto il catalogo merceologico del consumismo degli Eighties compaiono all’interno dei suoi dipinti come epifenomeni, rivelazioni che corrispondono a stati d’animo perduti tra i meandri della memoria, rimossi dagli strati coscienziali della vita adulta. 

Fruit Ninja, 2021, acrilico su tela, 140×120 cm

La personificazione del puer aeternus di Giovanni Motta è Jonny, un bambino che sembra uscito dalla matita di un mangaka, la cui morfologia anatomica è quella tipica dell’individuo in crescita, col corpo minuto e la testa ipertrofica. Jonny è la controfigura infantilizzata dell’artista, l’avatar puberale, il fantasma interiore, la conformazione estetica di una proiezione inconscia, ma è anche, per estensione, un segnale, un simbolo che indica un’assenza, che sottolinea il vulnus, la ferita, lo squarcio che dilania l’esistenza dell’uomo adattato e uniformato. 

Motta usa Jonny come monito per sé stesso e per gli altri, ma anche come dimostrazione empirica che la guarigione, quella di tutti, è possibile attraverso la riscoperta e il recupero di questa entità imperitura, che ci libera dal tempo e dalla senescenza. 

Ad eccezione del dipinto, intitolato To be continued, in cui la figura del bambino è resa con un linguaggio mimetico e realista, le tele dell’artista mostrano Jonny come una sorta di costrutto astratto, come un’identità sintetica, generica, ma pur sempre customizzabile, progettata per assumere multiformi aspetti. Nei quadri di Giovanni Motta Jonny è un’entità sospesa, fluttuante, instabile, che trascina nel suo vortice una pletora di oggetti, complementi o appendici della sua personalità che ne rivelano gusti e passioni, desideri e aspirazioni. Jonny non tocca mai terra, vola, come i cowboy virtuali della mitologia cyberpunk di William Gibson, come l’altro Johnny, il Mnemonico[1], ma il suo scopo non è quello di infrangere lo strapotere delle multinazionali, ma di perpetuare la dimensione del gioco o, meglio, l’esperienza entusiastica del piacere, sia esso legato a un oggetto, un cibo, un giocattolo, un personaggio dei videogame. Anche “entusiasmo” è una parola che deriva dal greco antico (enthusiasmós), che significa “Dio dentro di sé”, “invasamento divino”. Non indica un semplice stato d’animo, un afflato di partecipazione emotiva, ma una forza attiva, travolgente, ilare, contagiosa, che, insomma, ci permette superare ogni ostacolo e di realizzare i propri sogni. Motta cerca l’enthusiasmós che anima il bambino interiore, gli dà corpo, sostanza pittorica e plastica, semplicemente perché le immagini sono potenti attrattori, mille volte più efficaci delle parole. 

Forgetting, 2021, acrilico su tela, 120×120 cm

Process

Tutta l’arte si fonda sulle idee, le matrici di ogni forma, le stringhe di codice che programmano la realtà tangibile e intangibile delle opere. Ma le idee non sono concetti. Non sono nemmeno parole. Sono immagini. Nella procedura creativa di Giovanni Motta, la memoria è il serbatoio da cui affiorano visioni sinestetiche, forme associate a contenuti tattili, olfattivi, emotivi. Questo tipo di immagini non si trovano su google, ma nei recessi profondi del subconscio. All’origine dei lavori dell’artista c’è, dunque, un particolare modo di raccogliere le informazioni, una metodologia di scandaglio interiore che è, essa stessa, una forma di tecnologia, un sofisticato strumento contemplativo chiamato meditazione. Motta usa la tecnica della meditazione regressiva per “tornare a vite precedenti” e “raccogliere e circoscrivere singoli eventi del periodo della pubertà”. Gli oggetti, i colori, le atmosfere presenti nei suoi dipinti sono informazioni derivate dalle sessioni meditative. Ricordi, impressioni, sensazioni, annotati sotto forma di appunti e bozzetti, costituiscono, dunque, il materiale primario per la costruzione dell’opera. 

In tutti i processi di regressione che sono all’origine di questi lavori di Motta, sono tre gli elementi ricorrenti: i videogame, i cartoni animati e l’estate, tutti riconducibili a esperienze di gioia, piacere, divertimento. “Mi sono accorto”, confessa l’artista, “che tutti i miei viaggi nel tempo riguardavano un bambino che voleva giocare e non voleva fermarsi, ma, come si sa, tutti i giochi finiscono.” Sfruttando questa capacità di retrospezione, l’artista cerca di risolvere il problema di come recuperare alla vita adulta l’entusiasmo del bambino interiore, la sua naturale propensione al godimento. 

La sua arte – pazientemente costruita con l’uso di software e poi declinata nei linguaggi della pittura o della scultura – ruota ossessivamente attorno a questo tema. Motta usa icone dell’immaginario videoludico (da Mario Bros a Pac-Man), richiami ai giocattoli vintage (dai soldatini ai Lego, dal cubo di Rubik ai dinosauri di plastica) allusioni ai cibi che piacciono ai bambini (dalla torta agli hamburger, dalle caramelle alle bevande gassate), per rappresentare quegli oggetti del desiderio che simbolizzano il Principio di piacere Freudiano (Lustprinzip)[2], cioè l’istintiva ricerca di appagamento che domina l’esperienza infantile. Produrre immagini digitali è una condizione necessaria ma non sufficiente del suo processo creativo. Le immagini devono anche tradursi in oggetti tangibili, in dipinti e sculture che amplificano il piacere e il godimento dell’osservatore attraverso l’evidenza sensibile e percettiva. Si può, tuttavia, interpretare tale attitudine come l’espressione della volontà di riconnettersi alla grande Storia dell’arte e alla pratica creativa nella sua dimensione squisitamente artigianale.

Jonny & Sam, 2021, acrilico su tela, 140 cm x 120 cm

Outro

In tutti i dipinti di Giovanni Motta l’enthusiasmós è codificato nella forma della metafora videoludica. La condizione del giocatore, estraniato dalla realtà quotidiana, è rappresentata attraverso l’immagine della fluttuazione di Jonny. La sua pneumatica sospensione simbolizza il flusso dinamico del gioco, una dimensione di dilatazione sensoriale in cui la percezione del tempo è alterata da massicce dosi di endorfina che riducono i livelli di stress, ansia e irritabilità. Secondo Matteo Bittanti, uno dei massimi esperti di Digital Game Culture, “Il videogame è una macchina della felicità: è appositamente sviluppato per soddisfare il giocatore per mezzo di una gratificazione istantanea”[3].  Ma per Giovanni Motta il videogame è – come i giocattoli, i cibi e i beni di consumo -, soltanto un simbolo. Quel che conta è lo stato d’animo del giocatore, quella sensazione di “divino invasamento” che accompagna i momenti di euforia e di stupore della fanciullezza, un patrimonio emozionale che sembra destinato a sbiadire nel tempo. In un certo senso, i dipinti dell’artista, e specialmente quelli più narrativi come Huge meJonny & Sam o Fruit Ninja, sono dei dispositivi visuali di intensificazione vitale. Essi si collocano in una posizione antitetica rispetto al genere delle Vanitas, le nature morte che alludevano alla condizione effimera dell’esistenza interpretando il memento mori dei frati trappisti, con immagini di allegoriche. I Memento vivere di Giovanni Motta sono come l’ultimo gettone nella tasca di un bambino, quando compare sullo schermo la scritta Game Over. Insert coin to continue… La moneta che ti serve per fare un’altra partita. O un altro giro di giostra nel luna park della vita. 


[1] William Gibson, Johnny Mnemonic, in Bunring Chrome, 1986, Arbor House, New York.

[2] Sigmund Freud, Jenseits des Lustprinzips, 1920, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Wien.

[3] Grazia Casagrande, I videogiochi e la loro filosofia: intervista a Matteo Bittanti, 27 maggio 2008, Wuz.it, https://www.wuz.it/intervista-libro/2224/intervista-matteo-bittanti.html.


Giovanni Motta – GAME OVER play again?
a cura di Ivan Quaroni
Gallery Func
No.13, Lane 182 Fumin Road, Jingan District, Shanghai, China

Opening: Domenica 18 Aprile 2021
Durata: 24 Aprile – 6 Giugno 2021
Riferimento: Ric Liu


Per ulteriori informazioni:
info@giovannimotta.it
ric@galleryfunc.com
Elena Stizzoli – assistente personale Giovanni Motta – Tel. +39 340 1295227
elena@giovannimotta.it
Sito web:
http://www.giovannimotta.it