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Mr. Savethewall. La fine del mondo (conosciuto)

29 Ott

di Ivan Quaroni

 

“It’s the end of the world as we know it and I feel fine”
(R.E.M.)

La fine del mondo, tecnica mista su tela, 2018

La fine del mondo, tecnica mista su tela, 2018

È naturale che un artista come Mr. Savethewall, formatosi nell’orizzonte operativo dell’arte urbana, pur con un’attitudine originale rispetto alla mitologia classica del writing, abbia recentemente volto la sua attenzione al sistema valoriale dell’arte contemporanea. Infatti, se nella prima fase della sua indagine prevalevano i riferimenti al linguaggio pop dell’arte di strada e a un’iconografia d’immediata riconoscibilità, popolata di figure che spaziavano dal fumetto alla cronaca, dall’arte degli old master al folclore, ora affiorano i segni di un più vivo e curioso interesse verso le fondamenta delle avanguardie del secondo dopoguerra. Un interesse che, per la verità, è la diretta conseguenza della maturazione personale e professionale dell’artista, che negli ultimi tempi è finalmente riuscito a fondere gli impulsi comunicativi dei primi lavori con le necessità espressive dettate da nuove istanze psicologiche e culturali.

La recente serie di opere, intitolata La fine del mondo, rappresenta, infatti, la sintesi di un processo di analisi interiore ed esteriore e, insieme, la fusione di una pletora d’intuizioni precedenti. La volontà, prima di tutto, di sviluppare un linguaggio comprensibile, aperto alla lettura di un pubblico più ampio di quello settoriale dell’arte, si unisce ora alla necessità di affrontare temi che esulano dalla cronaca politica, sociale e di costume e attengono, piuttosto, alla dimensione della coscienza individuale e collettiva.

Per raggiungere tale scopo, Mr. Savethewall ha dovuto riformulare la propria grammatica visiva, adattandola a contenuti forse meno espliciti di quelli cui ci aveva abituato. In tal senso, l’incontro con l’opera di Lucio Fontana è stato fondamentale. Lo studio del maestro dello Spazialismo non solo ha stimolato l’artista ad ampliare la propria gamma espressiva, con l’inclusione dell’estensione astratta e concettuale, ma lo ha indotto anche a confrontarsi con la dimensione plastica e scultorea.

Intendiamoci, La fine del mondoè un ciclo di opere che non fa tabula rasadel lavoro precedente, il quale prosegue sui binari di una sempre più solida riconoscibilità, ma, piuttosto, che segna un punto di deviazione dal linguaggio squisitamente pop delle origini. Una deviazione che, peraltro, era già stata preceduta dalla serie degli Hidden Paintings, la quale adattava la tradizione avanguardista del monocromo (e quella delle ricerche optical) alla pratica urbana dello stencil.

La fine del mondo, tecnica mista su tela, 2018

La fine del mondo, tecnica mista su tela, 2018

Pretesto delle nuove riflessioni iconografiche di Mr. Savethewall è la Fine di Dio, il celebre ciclo di opere realizzato da Fontana tra il 1963 e il 1964, formato da tele ovali monocrome perforate. La forma ovale, simbolo millenario che attraversa la storia dell’umanità dall’antichità ai nostri giorni, dischiude una pletora di significati cosmologici e religiosi che hanno ispirato gli artisti di ogni epoca. Dall’uovo di struzzo sospeso sul capo della Vergine nella Pala Brera (1472-74) di Piero della Francesca, al gigantesco cocco dipinto da Hieronymus Bosch in Concerto nell’uovo (1561), passando per le due leonardesche versioni di Leda col Cigno, una agli Uffizi (1505-07) e l’altra alla Galleria Borghese (1510-20), questa ancestrale rappresentazione della vita è sopravvissuta alla furia iconoclasta delle avanguardie del Novecento, conservando intatta la sua allure magica. Uova crepate, dischiuse o al tegame costellano tutta l’opera pittorica di Salvador Dali, reiterando la sua ossessione per la “bellezza commestibile”, ma attraversano anche l’immaginario surrealista di Max Ernst, Man Ray e René Magritte, assumendo, di volta in volta, significati spirituali o psicanalitici. Alle auratiche allusioni di Costantin Brancusi all’uovo cosmico, origine del mondo conosciuto (The Beginning of the World, 1924) e alle iconiche tele perforate di Fontana, che aprono un varco verso una nuova dimensione spaziale e concettuale, si oppongono, invece, le più recenti Cracked Eggsdi Jeff Kons, che celebrano lo scintillante stile di vita del consumismo capitalista, sancendo, allo stesso tempo, la definitiva laicizzazione del simbolismo pasquale.

Mr. Savethewall si pone, idealmente, in posizione mediana tra gli intenti sperimentali di Fontana e quelli comunicativi di Koons. Da una parte, infatti, l’artista comasco recupera la tradizione delle Shaped Canvas, cioè della tela sagomata che infrange la cornice bidimensionale del quadro, mentre dall’altra introduce l’antica simbologia ovoidale nella dimensione prosaica del linguaggio pop.

Mr. Savethewall non si limita ad adottare la forma ovulare delle tele di Fontana, scompaginando così la regolarità dei supporti sui quali è abituato a intervenire con stencil e spray, ma obbliga tale forma a confrontarsi con il patrimonio iconografico della figurazione. Le perforazioni del maestro spazialista sono sostituite dalle forme del planisfero terrestre. Lo spazio dei buchi neri, allusione alla geografia astronomica, lascia il campo alla più nota morfologia dei continenti, immagine universalmente comprensibile del nostro orizzonte esperienziale. La Fine di Diodiventa, così, La fine del Mondo, per effetto di un ribaltamento del punto di vista.

La fine del mondo, tecnica mista su tela, 2018

La fine del mondo, tecnica mista su tela, 2018

Se nel ciclo di Fontana protagonista è la scoperta dello spazio in termini formali (lo spazio oltre la tela), cognitivi (lo spazio delle idee e delle forme astratte) e astronomici (lo spazio cosmico), La fine del Mondodi Mr. Savethewall segna il ritorno al campo delle percezioni sensibili, della vita concreta, delle vicende esperienziali di ognuno. “Mondo” è, infatti, il sostantivo che si usa per designare l’universo creato, ma anche il luogo degli esseri umani. Deriva dalla locuzione latina locus mundus, che significa luogo chiaro, pulito, visibile, affine al greco κόσμοσ (kósmos, ordine) e, dunque, contrapposto a χάοσ (cháos, disordine). Il mondo è quindi un luogo intellegibile, riconoscibile, osservabile. Nelle tele di Mr. Savethewall assume i contorni di una mappa, di una sintetica cartina geografica, deformata e compressa entro un perimetro ovoidale che, come abbiamo detto, è un antico simbolo dell’origine del cosmo. In latino, dire ab ovo, cioè “dall’uovo”, è come dire ab origine, “dalle origini”. Etimologicamente, i nuovi dipinti di Mr. Savethewall riportano il mondo alle sorgenti della vita, all’inizio dei tempi, al primo Big Bang. “Ma, allora”, verrebbe da obbiettare, “perché intitolarli La fine del mondo?”. A ben vedere i planisferi ovalizzati dell’artista sono sottoposti a una forte pressione formale che ne altera la fisionomia. Così schiacciato, il globo terracqueo sembra in procinto di esplodere in una miriade di gocce di colore. I continenti, almeno in un caso (La fine del mondo su fondo nero), sono percorsi da profonde faglie, come per effetto di una sequenza di cataclismi. Pare, quasi, una visione apocalittica e catastrofica, la descrizione allegorica di una terribile crisi, eppure la mappa è ancora leggibile, comprensibile, chiara, il locusè ancora mundus.

Mr. Savethewall usa il planisfero come metafora del mondo interiore. Quando le cose sembrano precipitare e la pressione del mondo esterno diventa insostenibile, gli individui subiscono l’equivalente emotivo di un’apocalisse psichica. Ogni crisi è una perturbazione degli equilibri precedenti, la modificazione improvvisa della vita di un individuo o di una comunità. Tuttavia, il significato originario di questo termine è “discernere, valutare, prendere decisioni”. Le ultime tele e sculture di Mr. Savethewall sono la rappresentazione visiva e plastica dello stato di crisi, la mappa simbolica di uno stato d’animo necessario e vitale per lo sviluppo di ogni individuo e di ogni comunità. La dimostrazione, insomma, che La fine del mondo non sancisce in assoluto “la fine del mondo”, ma solo il compimento di una transizione, la conclusione di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. In natura tale transizione si chiama evoluzione. Mr. Savethewall è certamente un artista evolutivo, uno di quei curiosi individui dai quali ti aspetti una continua crescita e anche improvvise deviazioni di percorso.  Ad oggi, la serie La fine del mondoè quella che meglio fotografa questa sua attitudine. In fondo, come afferma il filoso francese Edgar Morin, “l’evoluzione è deriva, devianza, creazione, ed è interruzioni, perturbazioni, crisi”.[1]


NOTE

[1]Edgar Morin, Dove va il mondo?, Armando Editore, Roma, p. 23.


 

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Pensierini sull’ultimo libro di Francesco Bonami

14 Lug

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Un amico mi ha appena regalato l’ultimo libro di Francesco Bonami (L’arte nel cesso, Mondadori, 2017) che, come sempre, si legge facilmente e con una certa rapidità, cosa davvero apprezzabile e che ci evita, vivaddio, di cimentarci con il solito linguaggio astruso e insensato di molti suoi colleghi. Anche questa sua ultima fatica mi produce lo stesso effetto delle sue precedenti scritture, un effetto col tempo divenuto familiare e che mi lascia sempre in bocca un retrogusto amaro. Dentro ci sono molte considerazioni condivisibili su quel circo mediatico che è diventata oggi l’arte contemporanea, come di consueto espresse con raro acume e spiazzante sarcasmo, come quando afferma che “viene il dubbio che l’arte stia virando verso la dimensione del parco giochi” o che “l’arte non dovrebbe mai far passare per cretino nessuno”. Alcuni amici che come me condividono da molti anni questo genere di lamentela (si perché in fondo non si tratta che di lamentele, di sfoghi da frustrati) rimangono piacevolmente sorpresi da questa ennesima confessione a cuore aperto dell’autore, non nuovo a ripensamenti e sconfessioni, indici indubbi d’intelligenza, ma anche di una certa, nemmeno troppo malcelata, volontà di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

Ogni volta che leggo un libro di Bonami – e L’arte nel cesso non fa eccezione – mi viene la certezza che da curatore deve aver passato più di qualche brutto quarto d’ora, che deve aver inghiottito, di tanto in tanto, qualche amaro rospo e che, insomma, nell’imperterrito tragitto della sua fulgida carriera sia stato più volte sul punto di mandare tutto a ramengo. Un’impressione, questa, che me lo rende davvero simpatico, anche se forse così simpatico non è. Il succo del libro è che l’arte contemporanea è un grande contenitore in cui la fuffa abbonda più del riso sulla bocca degli stolti e che, in buona sostanza, tante cose per le quali oggi il bel mondo dell’arte si sdilinque non sono ne più e ne meno che colossali prese per i fondelli. Noi da buoni lettori annuiamo, scotendo il capo consenzienti e un po’ compiaciuti che un tale curatore internazionale, divenuto ormai opinion leader, ratifichi con la sua la nostra anticipatoria intelligenza critica. Poco importa che Jean Clair suoni da anni una solfa analoga e che schiere d’intellettuali in controtendenza denuncino da lustri gli stessi soprusi perpetuati dalla casta delle gallerie e dei curator più accreditati. Poco conta l’uscita proditoria del polemico libello di Angelo Crespi (100 anni di arte immonda. Dall’orinatoio di Duchamp alla merda di Manzoni: come il politically correct ci obbliga ad adorare il brutto, Il Giornale, collana Fuori dal coro, 2017) che tratta la stessa sostanza e sovente con esempi coincidenti. Quel che conta è che la denuncia dei birignao del contemporaneo sia compiuta dall’interno del sistema, e per giunta ad opera di uno dei suoi più celebrati esponenti, curatore di Biennali e di Musei, massimo divulgatore di valori che, al netto di qualche polemico colpo di testa – come ad esempio l’inserimento di Pietro Annigoni nella mostra Italics che valse il rifiuto a partecipare di Jannis Kounellis – quasi mai si sono discostati da quelli che ora così zelantemente ripudia.

Ma, intendiamoci, non mi sogno minimamente di fare le pulci a Bonami. Lui è un super curatore internazionale, io, al più, uno scrivano nazional-popolare (forse nemmeno tanto popolare). Se fosse un commentatore sportivo a lui spetterebbe l’onore della telecronaca della finale dei Mondiali di calcio, a me quello della partita di recupero della Spal.

Le persone cambiano ed è una cosa bellissima, che rende un grande merito a Bonami. Quando afferma che forse il problema dell’arte contemporanea è che “nel corso del tempo ha parlato sempre di più a un numero ristretto di persone mentre paradossalmente quelli che volevano ascoltare aumentavano a vista d’occhio” il mio cuore giubila, malignamente vendicato di tutti i bastoni appoggiati ai muri e di tutti i mucchietti di carta tritata depositata sui pavimenti delle fiere d’arte. Sì, il mio cuore esulta trepidante, ora finalmente incline al perdono di tutti i nemici, di tutti i pentiti che oggi sbandierano la nullità delle tante e tante vili offese recate al pubblico pagante, soprattutto quando leggo che “guardarsi l’ombelico, parlare troppo dettagliatamente dei cazzi propri è un errore fatale per l’arte”, oppure che, sulla scorta di J.S.G. Boggs, bisogna ammettere che l’arte è denaro e che allora è meglio tagliare “i vari passaggi intermedi, ossia la creazione dell’arte che pretende di nascondere il suo valore commerciale”.

Bonami indirettamente ci conferma che tutti quei cartellini con le courtesy delle Gallerie di riferimento degli artisti che abbiamo visto all’ultima Biennale di Venezia, quelli in cui mancava giusto il numero di telefono della sede di New York, sono la vera sostanza di tutto, l’invisibile nascosto in piena vista. Tanto valeva, allora, tornare all’ufficio vendite della Biennale, che un tempo si occupava di dirimere “onestamente” le transazioni commerciali. Io non mi scandalizzerei affatto, anzi lo considererei un segnale positivo. D’altra parte – pecunia non olet – l’arte ha sempre avuto a che fare con i soldi… e meno male!

Ma sto uscendo fuori tema, non m’interessa tanto la natura polemica del satirico pamphlet di Bonami (ah… dite che non è satirico?), ma l’amarezza di fondo. Per me leggere i suoi libri è quello che gli inglesi definiscono un guilty pleasure, un piacere non esente da sensi di colpa. Intanto perché sono libri scritti bene, pragmaticamente semplici, che mi ricordano le indicazioni del vecchio caporedattore di Arte (Cairo editore) Mario Pagani, il quale mi ammoniva così: “Quaroni, devi scrivere d’arte come se dovessi spiegarla a tua zia o al fornaio sotto casa” (consiglio per il quale gli sarò eternamente grato). Poi perché sono sempre suddivisi in capitoli brevi, che si esauriscono nel tempo di una seduta al gabinetto (e questo caro Bonami è un complimento!). Però l’amarezza che sprizza dalle loro pagine, quella cinica, persino ottusa, voglia di vendetta proprio non mi va giù. La trovo indigesta come un calippo a gennaio, soprattutto perché l’autore non ne ha davvero bisogno (tutti noi curatorini sogniamo, un giorno o l’altro, di lambire anche solo per un minuto le sue glorie). E qui viene il senso di colpa, cioè il fatto di trarre piacere da un atteggiamento che proprio da gentiluomo non è e che, ho l’impressione, non sia mosso da un improvviso bisogno di onestà intellettuale. Mi aspetterei, beata ingenuità!, che alla critica seguisse almeno qualche indicazione di via d’uscita, che alla bruttura non seguisse la “Bottura”, ma la “rottura” con un sistema che fa acqua da tutte le parti e che diventa ogni stagione più intollerabile.

Lui, Bonami, ammette di non sapere quale sia la soluzione ed io rimango un po’ basito e un po’ sollevato, perché capisco che il mio è solo un bisogno infantile di consolazione e che, vergognandomene un po’, covo, nell’intimo, il desiderio di credere che l’arte contemporanea sia una cosa utile, capace di illuminare le coscienze. E, peggio ancora, che il lavoro che faccio tanto modestamente serva a qualcuno, oltre al sottoscritto. Perciò, in fin dei conti, presumo di dover ringraziare l’autore del libro per la sua capacità di liberarmi, un poco alla volta, da questa pia illusione.

 

Una decina di buoni motivi per frequentare il workshop “Manuale per gli artisti”

13 Mar

Cari amici, il workshop “Manuale per gli artisti” è un’esperienza didattico-formativa che ho affinato nel corso degli ultimi quattro anni. Dopo due edizioni tenute all’Accademia di Brera per il CRAB (Centro Ricerche dell’Accademia di Brera) e ben otto all’associazione culturale Circoloquadro di Milano, è giunto il momento di spiegare perché credo che il “Manuale per artisti” sia oggi, almeno per quanto ne sappia, l’unico strumento formativo che affronta il tema dell’approccio e dell’inserimento degli artisti nel cosiddetto Sistema dell’arte. Si tratta, infatti, di un argomento che normalmente nelle Accademie, negli Istituti d’Arte e, in generale, nel sistema didattico nazionale, non viene trattato con la dovuta attenzione e che, nel migliore dei casi, è affidato alla buona volontà di pochi insegnati illuminati, che hanno a cuore il futuro dei loro allievi.

Workshop 3

“Manuale per gli artisti” è un’idea nata durante uno dei miei workshop all’Accademia di Brera, incentrato sulla nascita e l’evoluzione dei linguaggi nell’arte contemporanea. Ad un certo punto, mi sono accorto che la formazione nozionistica non poteva bastare e che forse non era mai bastata. Quello di cui gli studenti avevano bisogno era di capire come funziona il mondo dell’arte fuori dall’Accademia, com’è organizzato il sistema economico dell’arte, quali sono gli attori principali, i luoghi e le norme che lo regolano. Non solo. Avevano anche bisogno di sviluppare una capacità critica e analitica nei confronti del proprio lavoro e di sapere in che modo far conoscere i frutti della loro creatività per trasformare il proprio talento e la propria passione in una “professione”.

workshop 2

Coloro che hanno frequentato i miei workshop e seguito i miei consigli, hanno potuto constatare di persona la veridicità delle informazioni che hanno ricevuto. Alcuni di loro hanno iniziato un percorso professionale partecipando a premi, concorsi, residenze per artisti e ottenendo borse di studio in Italia e all’estero, altri hanno cominciato a esporre in mostre personali e collettive in gallerie private e spazi pubblici. In pratica, hanno imparato a frequentare il sistema dell’arte e, in breve, sono diventati degli “insider”.

La mia più grande soddisfazione consiste nell’osservare che lavorando sodo, frequentando le gallerie, visitando le fiere, partecipando ai premi, viaggiando all’estero, tenendosi sempre aggiornati, continuando a studiare e soprattutto intessendo nuove e proficue relazioni con gli “addetti ai lavori”, molti studenti hanno abbandonato i limiti e i preconcetti che impedivano loro di prendere decisioni in merito al proprio futuro professionale.

workshop 4

Sono certo che l’artista abbia una predisposizione, un talento innato. Si dice spesso che “artisti si nasce”. Forse è vero, ma è altrettanto vero che il talento deve essere coltivato attraverso la formazione e l’apprendimento costanti. Quanti sono gli artisti mancati, frustrati che danno la colpa dei propri fallimenti ad altri, all’accademia, al sistema, alle gallerie, ai critici e ad altri fattori esterni? Io credo, piuttosto, che “artisti si diventa”, con la volontà, la determinazione e l’esperienza, ma anche con la capacità di imparare. E’ per questo, in fondo, che ci si iscrive alle Accademie, agli Istituti d’arte, che si decide di “andare a bottega”, di aumentare le proprie conoscenze attraverso master e stage. Per imparare. L’artista è una persona che non smette mai di imparare e che, per questo, è capace di osservare il mondo da una prospettiva nuova, inconsueta. Questo tipo di artista è una risorsa per tutta l’umanità.

Ora, permettetemi di elencarvi 10 motivi per cui ritengo sia importante frequentare il workshop “Manuale per gli artisti”, 10 argomenti che illustrano in sostanza i contenuti del mio corso:

    • Il sistema dell’arte

. Com’è composto, quali sono gli attori principali. Il sistema delle relazioni che coinvolge artisti, gallerie, critici, giornalisti, musei e istituzioni. Il ruolo delle fiere e di altre kermesse in cui si concentra l’attenzione degli addetti ai lavori. Capire la logica e il funzionamento del sistema dell’arte per capire l’orizzonte entro cui l’artista deve muoversi per promuovere il proprio lavoro.

  • Il portfolio. A che cosa serve e qual è la sua utilità. Imparare a costruire e organizzare il proprio portfolio per farne uno strumento di autopromozione, ma anche e soprattutto un valido mezzo di auto-verifica, un registro della propria crescita, che come uno specchio permetta all’artista di riflettere il  proprio percorso creativo e professionale.
  • Il Curriculum espositivo. Come si struttura, quali sono le voci, come si organizza. La sua chiarezza e leggibilità, la sua estrema sintesi sono gli elementi fondamentali per garantirne l’efficacia.
  • Lo Statement. Poco usato in Italia, è invece fondamentale per presentare e descrivere chiarire le ragioni della propria ricerca artistica ed è, al contempo, il primo esercizio di analisi critica. Come si fa uno statement, quali informazioni deve contenere: la regola del “Cosa – Come – Perché”.
  • Il coefficiente. L’arte si vende. L’aspetto commerciale, scarsamente considerato nell’ambito dell’insegnamento tradizionale, è regolato da un coefficiente o chiave, ossia un indicatore numerico che serve a stabilire il prezzo (non il valore in termini assoluti) di un’opera. Da che cosa dipende, come si calcola e come cambia nel tempo. Come si regola il rapporto di vendita tra artista e galleria (e talvolta tra artista e collezionista). Le percentuali di acquisto preventivo. Il conto vendita e altri fattori.
  • La mostra. Come si organizza, quali sono gli elementi da considerare. Il ruolo della comunicazione, del critico e curatore e della galleria. La distribuzione dei compiti. Diritti e doveri che regolano i rapporti nella preparazione di una mostra.
  • La Criticality. E’ il termine con cui gli anglosassoni definiscono la capacità e attitudine critica ad analizzare una ricerca artistica non solo sul piano stilistico e formale, ma soprattutto in relazione alle motivazioni e al confronto rispetto all’attuale contesto artistico, politico e sociale. Questa capacità è misurata attraverso il confronto dialettico con gli altri partecipanti al corso. Ogni studente dovrà, infatti, impegnarsi a “leggere” l’opera degli altri studenti e, sottoporsi, a sua volta, a tale “lettura”. Si tratta di una vera e propria ginnastica dello sguardo e della mente, che abituerà l’artista a interrogarsi sulla validità di una ricerca artistica.
  • Lo studio. Studiare significa non solo tenersi aggiornati su quanto accade nell’arte contemporanea attraverso la lettura di cataloghi e saggi sull’argomento, ma soprattutto adottare l’abitudine a visitare le mostre, per avere una conoscenza diretta delle opere e delle evoluzioni che contraddistinguono lo scenario artistico italiano e internazionale. Ciononstante, lo studente riceverà  una lista di letture consigliate, che solitamente non sono contemplate nel percorso formativo tradizionale. Oltre a cataloghi e libri illustrati sull’arte contemporanea, sono consigliati saggi, romanzi e manuali su vari argomenti, dal funzionamento del sistema dell’arte contemporanea alle nuove teorie sociologiche, fino ai modelli di self help e alla psicologia del denaro. 
  • I Feed back. Oltre al confronto con gli altri partecipanti al seminario, gli studenti potranno ricevere suggerimenti e critiche da parte di critici d’arte, galleristi e artisti professionisti che di volta in volta saranno invitati a “leggere” i loro portfoli e a valutarne l’opera. Un feed back ulteriore viene dato allo studente attraverso il confronto diretto, one-to-one, con me, durante una sessione personale e dedicata.

workshop 1

Come accennavo sopra, “Manuale per gli artisti” è un workshop che si è sviluppato e definito nel tempo, uno strumento che continuerà ad affinarsi progressivamente, includendo nuovi temi e nuovi percorsi, dalla promozione dell’artista nell’epoca del web 2.0, attraverso i blog e i social network, fino all’approfondimento della psicologia del denaro e del successo.Molti dei partecipanti mi hanno confermato la validità di questo strumento con passione ed entusiasmo. Posso solo dire che anche per me è stata, e continua ad essere, un’occasione di crescita. Mi ha dato tantissime soddisfazioni e mi ha fatto conoscere molti artisti validi. Spero davvero che possa essere utile anche a voi.

Dove:

MILANO:

CircoloQuadro
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Contatti: Cell. +39 348 5340662; Tel  +39 02 6884442
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